I sindacati italiani. Crisi (e rinascita?) di un ruolo.

I sindacati possono rappresentare i lavoratori, così come le aziende e i datori di lavoro, anche se normalmente quando si parla di organizzazione sindacale lo si fa pensando alla tutela di diritti di chi svolge un lavoro subordinato. Attività precipua di un sindacato in questo caso è infatti la partecipazione alla contrattazione collettiva e lo sciopero è il metodo di sovente utilizzato da tali organizzazioni i per raggiungere determinati obiettivi e rafforzare la posizione dei lavoratori in un rapporto professionale. Per sua natura, il sindacato è differente da un partito politico, in quanto il suo ruolo è quello di sostenere e difendere i diritti e gli interessi economici dei lavoratori, più che quello di innovare/ trasformare l’ambiente sociale. Tuttavia, i sindacati possono trovarsi allineati con ideali simili o identici a quelli di partiti politici, dai quali però si distinguono per la loro vicinanza al mondo del lavoro e del suo sviluppo e la specifica mission di tutela dei lavoratori. Strutture sociali pragmatiche, dovrebbero essere orientate a produrre reale valore e benessere per i lavoratori, e dovrebbero pertanto essere scevre da autoreferenzialità, anche se permangono verticismi e burocrazia all’interno dei loro meccanismi, almeno nel nostro Paese. Un sindacato, quindi, prima di tutto riveste un ruolo rappresentativo nei confronti dei lavoratori e si occupa di tutelare i loro diritti tramite la firma di accordi collettivi, intervenendo nelle trattative interne alle aziende e nella discussione di contratti integrativi e contratti di categoria, partecipando alle vertenze di lavoro ed impegnandosi a garantire all’intera categoria di lavoratori a cui si riferisce la conservazione dei propri diritti. Tra l’altro fornisce tutta una serie di servizi a favore dei propri tesserati e, più in generale, di tutti i lavoratori appartenenti alle diverse categorie e soggetti a contratti di lavoro subordinato o forme contrattuali atipiche.
Un ruolo che deve evolversi
Quella che si è percepita da un certo punto in poi, è stata però una progressiva perdita di rappresentatività da parte dei sindacati, in conseguenza della più generale disintermediazione che ha caratterizzato ogni ambito dell’attività umana, e in particolare in questo caso per una loro percepita difficoltà ad assicurare una reale difesa delle nuove istanze dei lavoratori, che sono sempre più lavoratori dell’immateriale. Lavoratori che si muovono in un contesto giuridico del mondo del lavoro profondamente mutato, segnato dall’implementazione del digitale e delle nuove tecnologie, da processi produttivi anch’essi mutati e orientati ad essere funzionali ad un sistema economico globalizzato e dalla flessibilità delle prestazioni, sicuramente più difficile da gestire. Si impone un aggiornamento costante di competenze, molte delle quali tecniche, ma anche di mindset e quindi psicologiche, veri e propri cambi di mentalità all’interno delle organizzazioni e di chi ci lavora. Aumenta la concorrenza, diverse ragioni hanno causato dal 2007 in poi una forte crisi economica per diversi settori, e si inasprisce, se vogliamo, la dialettica tra datore di lavoro e lavoratore, in conseguenza di queste difficoltà a far quadrare i bilanci e sopportare i costi dell’adeguamento delle strutture. E proprio adesso, invece, cala il numero degli iscritti ai sindacati, e, – il dato si evince da una tabella aggiornata fornita a 2duerighe dal Direttore del Censis, Massimiliano Valerii, qui pubblicata – per quanto riguarda gli iscritti ai principali sindacati (Cgil, Cisl, Uil e Ugl), su quasi 13,5 milioni di iscritti complessivi 5,3 milioni (ovvero quasi 4 su 10) sono pensionati…

Un dato che deve far riflettere su una evidente percezione dei sindacati come non sufficientemente aderenti alle nuove istanze e sostanzialmente in difficoltà nel favorire quella creazione di valore condiviso dentro e fuori le aziende, che dovrebbe muovere verso un nuovo concetto di welfare personalizzato e pensato per ogni singolo individuo, che pure si va affermando. Quella attuale è una società di transizioni: ecologica, ambientale, culturale, di modelli di business ed economici, molti dei quali in crisi, o con passaggi ancora incompleti ai nuovi. Riprendere ed assicurare lo sviluppo di una simile società è anche – lo leggiamo da ultimo nello studio che il Censis dedica anno dopo anno allo stato sociale del nostro Paese – riprogettare e ricostruire, anche fisicamente, i luoghi che ospitano il pensare e non solo le strutture espressamente deputate a questo scopo, ma anche i soggetti che per anni hanno svolto funzioni di mediazione: dai sindacati alle associazioni di categoria, dagli albi e casse professionali all’associazionismo, fino ai partiti politici.
Insomma, il mondo del lavoro cambia e necessariamente devono cambiare anche i sindacati, per adeguarsi al nuovo mondo, ma sempre con lo sguardo rivolto alla tutela della dignità umana e professionale dei lavoratori. In altri Paesi troviamo i sindacati all’interno dei consigli di amministrazione a cogestire insieme agli imprenditori le imprese, e un modello è anche quello dei lavoratori che partecipano agli utili di impresa, favorendo così con un autentico coinvolgimento il superamento dell’eventuale conflitto sociale e il raggiungimento di un percepito e diffuso benessere all’interno dell’azienda. In un osmotico ideale accordo armonico tra salario, reddito e produttività (Lama) e con l’ormai irrinunciabile ricorso alla flessibilità, strettamente legata, però, a tutele rafforzate verso i lavoratori (Iachino). Cose cui un sindacato meno ideologico e più riformista potrebbe/dovrebbe tendere. Un’altra strada di legittimazione di compiti e ruolo dei sindacati oggi potrebbe essere quella della formazione, attraverso la coprogettazione di piani formativi insieme all’impresa dove possa essere ben rappresentato anche il punto di vista dei lavoratori. Una strada moderna ed estremamente allineata con le esigenze di adeguamento costante e permanente delle competenze dei lavoratori e dello sviluppo delle loro professionalità (e dei loro talenti) che è tra i fattori più importanti tra quelli che possono garantire loro occupazione e anche mobilità all’interno del mercato del lavoro.
Un’apertura maggiore del sindacato verso l’esterno poi, proattivo nella generazione e nella diffusione di studi aggiornati sulle tematiche del lavoro e dei diritti/doveri di chi lavora, nell’orientare politiche attive di sicurezza aziendale, welfare aziendale, gender equality, cura del collocamento dei più giovani nel mondo del lavoro e del riposizionamento degli over 50 in quello stesso mondo del lavoro, potrebbe completare il quadro di un sindacato in linea coi tempi, complessi, che stiamo vivendo.
Presente (e futuro) delle organizzazioni di rappresentanza del mondo “datoriale”
Nel nostro Paese, da almeno due decenni, si parla molto della crisi dei corpi intermedi, intesi come “organizzazioni che si assumono la funzione di rappresentare gli interessi dei loro iscritti (siano questi singoli cittadini, siano impese o altri soggetti collettivi) presso le istituzioni”. Un loro inarrestabile declino era previsto da qualche sociologo, era auspicato da diversi politici ed esponenti di governo, era variamente commentato sui media. Oggi diversi autori parlano invece di un ritorno dei corpi intermedi e di una riscoperta dalla loro funzione.
Le considerazioni che seguono sono frutto di una conversazione con Luca Barrera, Responsabile del coordinamento sindacale della CNA di Roma, e sono relative a quei particolari corpi intermedi costituiti dalle organizzazioni di rappresentanza del mondo imprenditoriale.

In Italia – ci ricorda Barrera– il sistema della rappresentanza imprenditoriale, dalla caduta del fascismo in poi, è sempre stato molto articolato, per non dire frammentato. Si sono costituite organizzazioni che aggregavano specifiche tipologie di impresa (imprese agricole, imprese del commercio, imprese artigiane, imprese industriali, cooperative, ed altro ancora). Per ognuno di questi ambiti poi si erano create nel tempo diverse organizzazioni, caratterizzate da riferimenti politici ben chiari. Esistevano poi organizzazioni di rappresentanza che facevano riferimento ai diversi schieramenti politici. Ad esempio, nel commercio la Confcommercio e la Confesercenti, nell’artigianato la CNA, la Confartigianato e la Casartigiani, nel mondo della cooperazione la Lega delle Cooperative e la Confcooperative. Motivo di adesione di un’impresa ad un’organizzazione di rappresentanza era anche il senso di appartenenza dell’imprenditore ad uno schieramento politico. Era il cosiddetto “collateralismo” che caratterizzava anche le associazioni sportive e del tempo libero ed altro ancora.
Le vicende degli anni recenti hanno prodotto profonde trasformazioni nel mondo della rappresentanza che si sono manifestate in modo diverso nei diversi contesti, ma con alcune costanti. È ulteriormente aumentato il numero delle Associazioni di impresa, anche (ma non solo) per il nascere di nuove tipologie di impresa, esasperando la frantumazione del sistema della rappresentanza. Hanno avuto un crescente spazio Associazioni che aggregavano imprese dello stesso territorio a prescindere dal tipo di impresa o dal settore di attività. Si è affievolito fino quasi a scomparire quel senso di appartenenza politica a cui si è fatto cenno. Si è perso in tutta la società il valore dell’associazionismo e della valorizzazione di interessi collettivi. Si è ritenuto che la tecnologia potesse consentire a ciascuno di relazionarsi autonomamente con le istituzioni, di gestire autonomamente funzioni che prima si delegavano alle Associazioni e di ottenere servizi migliori e più economici (la famosa “disintermediazione”).
Molte delle grandi Associazioni storiche della rappresentanza di impresa hanno visto ridursi anche in modo significativo il numero dei loro aderenti ed hanno dovuto procedere a ristrutturazioni delle loro strutture. La crisi economica innescata dal fallimento nel 2018 della Lehman Brothers che ha condizionato per molti anni il nostro sistema produttivo ha ulteriormente aggravato la situazione di divere organizzazioni di rappresentanza.
Tuttavia, se ci si concentra sugli ultimissimi anni, Barrera percepisce come per le Associazioni di impresa si stiano aprendo nuovi spazi e che le imprese ricominciano ad avvertirne il bisogno. La crisi economica a cui si è fatto sopra cenno, ad esempio, ha spinto molte imprese prima legate esclusivamente da un mercato di vicinato o comunque interno, a cercare nuovi mercati. Esemplare in tal senso è la situazione romana, dove tradizionalmente alle imprese era più che sufficiente il mercato locale. La crisi dei consumi interni ne ha spinte molte verso l’export, ma imprese di piccole o piccolissime dimensioni ben difficilmente avrebbero potuto affacciarsi ai mercati esteri senza il supporto di un soggetto intermedio che anzitutto agisse nei confronti degli interlocutori istituzionali, affinché attivassero misure di sostegno in tal senso, e poi svolgesse attività di consulenza, assistenza, accompagnamento.
Negli anni del Covid poi si è progressivamente fatta strada la cultura del “nessuno si salva da solo”, in netta controtendenza con orientamenti precedenti. Le piccole, piccolissime e micro imprese hanno scoperto di aver bisogno di informazioni tempestive, di assistenza per l’attivazione di misure di sostegno, di consulenza per riorientare le loro attività, di aiuto per poter accedere a forme di sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti. E molto spesso le Amministrazioni locali hanno richiesto la collaborazione delle organizzazioni di rappresentanza per poter dare risposte ai tanti pressanti interrogativi che ponevano loro le imprese del territorio.
Si può aggiungere – conclude Barrera – che, seppur con un certo ritardo, da parte di almeno alcune Associazioni di impresa si è scoperto che le nuove tecnologie, che prima, secondo un’assai diffusa opinione, si pensava ne avrebbero progressivamente eroso il numero degli aderenti, si possono dimostrare al contrario un validissimo strumento di coinvolgimento e di partecipazione.
Anche qui, la comunicazione al centro
Una parte importante in un rinnovamento del ruolo delle organizzazioni sindacali può infatti ricoprirla la comunicazione con la base, ma sviluppata come capacità di divulgare correttamente la loro attività e la loro immagine in maniera efficace e strategica. Una comunicazione pertanto pensata, come organizzazione, relazione e progettualità, e che sviluppi strategie servendosi delle Tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT), può essere una delle strade per recuperare il consenso e rinverdire la propria reputazione presso l’opinione pubblica e le istituzioni. Internet e i social network possono offrire grandi vantaggi e potenzialmente migliorare la comunicazione sindacale l’efficacia della consultazione dei lavoratori.
Resta naturalmente centrale il rapporto diretto con i lavoratori, il canale più importante di confronto. Ma le tecnologie permettono di raggiungere soggetti geograficamente o culturalmente distanti dal sindacato, di mobilitare facilmente i lavoratori, di rendere virali le rivendicazioni, di raccontare anche attraverso immagini e video, sicuramente sempre più immediati e d’effetto.
Si pone come sempre il problema delle competenze che vertici e funzionari tutti delle organizzazioni sindacali dovrebbero acquisire per usare appieno le nuove tecnologie e i social network come strumento organizzativo e all’interno della propria attività, riuscendo così a trasferire facilmente parte del proprio operato sul web.
Ad oggi, però, l’interazione online tra gli iscritti e le organizzazioni di rappresentanza è ancora poco sfruttata in Italia. Quando invece saper gestire le tecnologie dell’informazione è una via per il sindacato per non rischiare di vedere percepito come superfluo il suo ruolo di intermediazione e rappresentazione dell’interesse collettivo. Con il web, infatti, viene anche meno la funzione di filtro e si sviluppano forme dirette di confronto tra datori di lavoro e lavoratori. È essenziale che il sindacato si adegui e sfrutti al meglio le potenzialità offerte dai nuovi strumenti della comunicazione dimostrando anche così di saper leggere i nuovi moderni orizzonti del lavoro.
Senza, lo si è detto, rinunciare al lavoro “sul campo”. Magari ripartendo dai territori, veri e propri laboratori di futuro, perché “costituiscono il contesto di ancoraggio delle politiche pubbliche. Di fronte ai processi di disintermediazione dello Stato – ma anche del mercato e posto che l’identità delle persone non si esaurisce nelle caratteristiche dell’homo oeconomicus – è necessario partire da qui”. (Elena Battaglini).
La Mappa
Anche se agli onori della cronaca sono solite salire sempre tre o quattro sigle, ben più lunga è la lista delle organizzazioni sindacali che operano sul territorio italiano. Un elenco sufficientemente esaustivo delle sigle impegnate per autonomi e dipendenti, potrebbe essere quello che segue, in ordine alfabetico. ARE: Associazione Riprese Esterne Televisive e Cinematografiche; CGIL: Confederazione Generale Italiana del Lavoro; CGIL Scuola: Confederazione Generale Cgil Scuola; CISAL: Confederazione Sindacati Autonomi; CISL: Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori; CISL Scuola: Confederazione Italiana Cisl Scuola; CNA: Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa; COBAS: Comitati di Base della Scuola; Codires: sindacato del sud Francesco Crocitti; Confapi: Confederazione Nazionale della Piccola e Media Industria Privata Italiana; Confartigianato: Confartigianato; Confcommercio: Confederazione Generale Italiana delle Imprese, delle Attività Professionali e del Lavoro Autonomo; Confesercenti: Confederazione Esercenti delle attività commerciali e turistiche; Confimpresa: Confederazione Italiana della Piccola Media Impresa e dell’Artigianato; COISP: Coordinamento per L’indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia; Federmeccanica: Federazione Industria Metalmeccanica; FedImprese: Federazione del Commercio, Turismo, Artigianato, Agricoltura, Terziario, Piccole e Medie Imprese, dei Professionisti e Dirigenti d’Azienda.; Filcams: Federazione Lavoratori Commercio e Servizi; GILDA: Sindacato Nazionale Gilda Insegnanti; ISA: Intesa Sindacato Autonomo; Libersind: Sindacato Autonomo Lavoratori Dello Spettacolo; SNS: Sindacato Nazionale Scrittori; SILPOL: Sindacato Lavoratori Polizia Locale; SIVELP: Sindacato Veterinari Liberi Professionisti; SIULP: Sindacato Nazionale Unitario Lavoratori Polizia; UIL: Unione Italiana del Lavoro; Unimpresa: Unione Nazionale di Imprese; Usb: Unione Sindacale di Base. Il più antico sindacato italiano è la CGIL, fondata nei primi anni del Novecento. Dalla sua scissione, avvenuta nel 1950, sono nate la CISL e la UIL. Dopo un periodo di unità sindacale, alla fine degli anni ’60, i tre organismi sindacali sono attualmente indipendenti. Ma se la lista è lunga, più sfilacciato è andato farsi, negli anni, l’impatto e il ruolo di tali organizzazioni, complici tutta una serie di ragioni.