Erdogan mediatore: il ruolo nella politica estera

Il presidente Turco, Recep Tayyp Erdogan, avrebbe in mente un obiettivo preciso: far incontrare Zelensky e Putin in “territorio neutrale”, la Turchia.
Una notizia trapelata nella serata di venerdì, dopo un colloquio telefonico avuto poco prima con il presidente russo e un altro con Zelensky nella giornata del 31 marzo. Ma dalla Russia arrivano smentite sulla possibilità di un colloquio, come riportato dal capo negoziatore Vladimir Medinsky: «la posizione di Mosca su Crimea e Donbass resta invariata. Il progetto di accordo va ancora definito» . E, dopo il massacro avvenuto a Bucha, anche da parte Ucraina le possibilità di un incontro si fanno più ostili. Ma le discussioni per la pace erano già cominciate con il primo giorno di negoziati avvenuti ad Istanbul il 29 marzo. In quella sede, il Cremlino aveva annunciato una “riduzione radicale delle attività militari” sulle città di Kiev e Chernihiv. Una scelta che a detta del viceministro della difesa russo, Alexander Formin, aumenterebbe la fiducia reciproca per il raggiungimento di un trattato di pace. Per quanto riguarda l’Ucraina, dopo i colloqui il governo aveva rilasciato una dichiarazione in cui si stabiliva la rinuncia di entrata alla NATO in caso di pace, ma tenendo in stallo la richiesta di entrare tra i paesi dell’Unione Europea. In cambio dello status neutrale, il governo aveva richiesto garanzie di sicurezza da alcuni “stati garanti” che, richiamandosi all’Art.5 della NATO, sono attivamente coinvolti nella protezione del paese in caso di aggressione militare. Tra questi, Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Turchia (che vanta il secondo esercito all’interno dell’Alleanza).

E mentre gli Stati Uniti continuano a dichiararsi scettici sia sulle reali intenzioni della Russia che sull’efficacia dei trattati in Turchia, come riportato dal segretario di Stato Blinken, Erdogan continua fiducioso il suo ruolo di mediatore: una posizione che mette in primo piano gli interessi commerciali del paese con le due nazioni, in guerra tra loro.
La posizione di Erdogan in Turchia: dal golpe alle oscillazioni economiche
Già sindaco di Istanbul e primo ministro dal 2003 al 2014, Recep Tayyip Erdogan, ricopre la carica di presidente della Turchia dal 2014. Nel 2016, è “vittima” di un tentato golpe che invece di far crollare il suo governo, lo ha reso più forte. Quello che da molti viene definito un leader autoritario ha rischiato il crollo dello “statuto democratico” del proprio paese, nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016. Un colpo di stato frutto di un complotto militare e per molti “costruito a tavolino” per aumentare il potere del presidente. Sta di fatto che la sua posizione si è rafforzata dopo il referendum costituzionale del 2017 e nel 2019, il Royal Islamic Strategic Studies Centre di Amman lo collocava al primo posto fra i musulmani più influenti del mondo. Fondatore e leader dell’Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo), prosegue una politica interna conservatrice.

A dicembre del 2021 aveva dovuto affrontare il crollo della lira turca seguito da un maxi-recupero, dopo l’annuncio di un piano straordinario. Un progetto avviato per tutelare i depositi in valuta locale, nel tentativo di frenare la corsa dei risparmiatori verso il dollaro, l’euro e l’oro. Oscillazioni queste, che sembrano confermare la grande incertezza che circonda la politica monetaria imposta da Erdogan: per sostenere le esportazioni e l’industria manifatturiera turca, il presidente aveva attuato procedure per ribassi in serie dei tassi d’interesse, nonostante l’inflazione in atto.
Per quanto riguarda la politica estera, Erdogan segue un percorso di alleanze su più fronti, sfruttando la posizione geografica della Turchia.
La politica estera
Quella di Erdogan è un’attività diplomatica cominciata nel corso del 2021 e volta a normalizzare le relazioni con diversi paesi confinanti: ad esempio, già a fine novembre, gli Emirati Arabi Uniti si erano impegnati a concedere un fondo di 10miliardi di dollari in investimenti strategici in Turchia (fonte:ISPI). Accordi simili sono stati firmati anche con altre nazioni: secondo l’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’Arabia Saudita potrebbe essere il prossimo paese a riallacciare i rapporti con la Turchia, dopo gli EAU, in seguito alla rottura segnata dall’uccisione del giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi, nel consolidato saudita di Istanbul nel 2018. In Israele, con il governo di Netanyahu invece si erano creati profondi distacchi dopo il sostegno di Ankara ad Hamas. Rapporti che ora, con la nuova leadership di Naftali Bennet, sembrano essersi ravvicinati, facendo trapelare l’opportunità di nuove alleanze.

Ma il presidente turco sembra essersi “intromesso” anche in altre guerre più recenti, oltre al conflitto in Ucraina. Con la presa del potere dei talebani in Afghanistan, la scorsa estate, la Turchia si era impegnata in un accordo, insieme al governo di Doha (Qatar), con i talebani per garantire la sicurezza dell’aeroporto internazionale di Kabul. (fonte: ISPI).
Il rapporto con Usa e Russia
Dopo l’incontro del G20 di ottobre a Roma, i contrasti tra Turchia e Usa non sono stati sanati del tutto ma da entrambe c’è stata la volontà di mantenere un dialogo costante. In quell’occasione, Biden ha espresso apprezzamento per il contributo di Ankara alla missione Nato in Afghanistan. Al centro delle discussioni, oltre alla questione politica in Siria, riguardanti il sostegno statunitense alle forze curde, c’è stata forte preoccupazione per il possesso del sistema di difesa antiaerea russo S-400, ceduto ad Ankara nel 2017 per 2,5 miliardi. Un acquisto che ha causato l’esclusione della Turchia dal programma di jet di nuova generazione F-35, nonché l’applicazione di sanzioni a dicembre del 2020.

Ma i rapporti ambigui non si fermano a Washington: con Mosca il presidente si divide tra concorrenza e collaborazione. A gennaio si erano aperti colloqui tra le due potenze per discutere la continuazione di una partnership vantaggiosa per entrambi. Al centro del tavolo di discussione le questioni riguardanti il Caucaso, la Siria e la Libia. Un incontro avvenuto dopo la dichiarazione di Ankara di aver offerto a Kiev aiuti militari tra cui i droni Bayraktar, utilizzati nei primi conflitti in Donbass contro i separatisti filorussi. Essendo un membro della NATO, la Turchia si era dichiarata contraria all’invasione della Crimea del 2014, nonostante i buoni rapporti con Mosca che vede Erdogan a fianco di Putin nel ruolo di mediatore tra Armenia e Azerbaigian dopo il conflitto del 2020.

La questione Ucraina
Con lo scoppio del conflitto, il presidente Turco non solo ha criticato l’invasione russa ma anche l’operato di NATO e Ue, definendoli “troppo deboli” e “poco determinati”. Ora, la Turchia si trova in una situazione di mediatore perché non può inimicarsi né Mosca né Kiev. L’Ucraina è infatti un partner strategico al pari della Russia. Ankara in passato ha sostenuto i piani del governo di Kiev, per l’adesione alla Nato, condividendo le sue preoccupazioni per l’aumento della presenza di navi militari russe nel Mar Nero. A inizio del 2022 i due paesi hanno stretto anche un accordo di cooperazione nel settore della difesa che non si fermerebbe alla sola vendita di droni. Ma il sostegno a Kiev è stato anche umanitario: si parla di circa 60mila profughi ucraini accolti.

In seguito al dilagarsi dell’inflazione, il conflitto rappresenterebbe inoltre un ostacolo ai piani di Erdogan, intento ad attirare contanti dall’estero e tenere i prezzi dell’energia bassi. Il gas russo rappresenta una grossa fetta del gas naturale acquistato dalla Turchia (circa il 45%). Anche il grano è tra le materie prime importate da entrambi i paesi: si parla di più di due miliardi di dollari di importazioni dalla Russia e più di 800 milioni dall’Ucraina. Ma la guerra affligge anche il settore turistico se consideriamo che nel 2021 ci sono stati 4 milioni e 700mila visitatori dalla Russia. È del 25 marzo infatti la notizia che i due paesi stiano lavorando ad un accordo sul settore del turismo. Come riportato da Ansa, nei due paesi verranno accettate entrate relative in ambito turistico, nelle rispettive monete locali.
Nell’ultimo periodo dunque, l’Erdogan mediatore si pone in mezzo a due fronti: decidendo di non sanzionare la Russia ma condannandola per una guerra definita “inaccettabile”. Una mossa che gli sta facendo guadagnare l’attenzione mediatica di tutto il mondo.
