I Patriarchi di Mosca e il sermone di Kirill

Il patriarca
Il termine “patriarca” deriva dal greco, πατριάρχης “capo di una famiglia o tribù” e nella terminologia biblica designa i tre tradizionali progenitori degli Ebrei, Abramo, Isacco e Giacobbe, ma arriva a ricomprendere a volte, nel Nuovo Testamento, anche i figli di Giacobbe, e David. Patriarca è riferito anche ai personaggi posti dalle genealogie bibliche lungo il periodo dalla creazione del mondo fino al diluvio, i cd. patriarchi antidiluviani, e dal diluvio fino alla nascita di Abramo.
Dalla versione greca dei Settanta, che designa con questo termine i patriarchi d’Israele, il termine passò nel cristianesimo ad indicare prima i dignitari maggiori delle comunità cristiane, poi il capo di un vasto raggruppamento cristiano. Altra cosa “metropolita”, che ha due significati diversi: nella Chiesa latina, arcivescovo, nella Chiesa ortodossa, dignitario che occupa un grado intermedio tra il patriarca e l’arcivescovo.
Si fa presto a dire “patriarcato”
I patriarcati si sono storicamente allocati nei confini delle quattro grandi prefetture dell’impero volute da Diocleziano: il patriarcato di Roma, o d’Occidente, comprendeva le tre prefetture occidentali d’Italia, Gallia e Illirico; il patriarcato di Alessandria estendeva la sua giurisdizione sull’Egitto (diocesi augustale della prefettura d’Oriente); quello di Antiochia su Siria, Palestina, Mesopotamia, Cilicia e Arabia (diocesi orientale della prefettura d’Oriente): questi sono i 3 patriarcati più antichi, collegati al ricordo di S. Pietro, che ebbe la sua cattedra in Antiochia e in Roma e fondò la sede alessandrina per mezzo del discepolo Marco. Altri 2 patriarcati si aggiunsero ai primi: quello di Gerusalemme, la città del S. Sepolcro, alla quale furono attribuiti i territorî di Palestina e di Arabia, e quello di Costantinopoli che ebbe come sua propria giurisdizione le diocesi di Tracia e d’Asia. Cinque i patriarcati quindi: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, e 5 il numero canonico per la Chiesa d’Oriente, la quale dopo la separazione da Roma sostituì a questa proprio il patriarcato di Mosca.
I patriarcati scismatici. Nel momento che vide le grandi eresie cristologiche staccarsi dall’unità della Chiesa tante nazioni dell’Oriente, queste, disobbediendo ai vescovi fedeli all’ortodossia e all’imperatore, i cd. melchiti o imperiali, si costituirono in patriarcati autonomi: i monofisiti di Armenia, oltre a un patriarca di tutti gli Armeni, residente in Ečmiadsin, ebbero per la diaspora armena i patriarchi di Costantinopoli, di Sis e di Gerusalemme; i nestoriani di Caldea ebbero il loro a Seleucia Ctesifonte e poi a Mossul. I monofisiti di Siria (Giacobiti) ebbero il loro capo in Antiochia, mentre quelli di Egitto (Copti) in Alessandria.
Lo scisma di Fozio staccò da Roma i quattro grandi patriarcati d’Oriente e ne fece nascere un quinto a Mosca sotto lo zar Feodor I (1581-98), poi soppresso da Pietro il Grande e ricostituito dopo la Rivoluzione russa del 1917.
Nel sec. XIX le nazioni balcaniche, divenute indipendenti, rivendicarono la loro autonomia ecclesiastica di fronte a Costantinopoli, e si ebbero così altrettanti patriarcati nazionali in Grecia, Bulgaria, Serbia, Romania.
I patriarcati uniti. Nei luoghi dell’Oriente invasi dall’eresia rimasero o si rifondarono nuclei uniti con Roma, che hanno a capo un patriarca del loro rito: il patriarca di Alessandria dei Copti, il patriarca di Antiochia dei Maroniti, il patriarca di Antiochia dei Siri, il patriarca di Antiochia dei Melchiti, il patriarca di Cilicia degli Armeni, il patriarca di Babilonia dei Caldei.
I patriarcati latini di onore. Tra questi, il più antico è quello di Aquileia, trasferito a Grado e infine a Venezia. La scoperta dell’America provocò la nascita di un patriarca delle Indie Occidentali (1520), cui venne annessa la carica di cappellano supremo dell’esercito spagnolo (1572). Il re Giovanni di Portogallo ottenne da Clemente XI nel 1716 l’erezione di Lisbona in patriarcato. Leone XIII istituì un patriarcato delle Indie Orientali con sede a Goa, nel 1886. Tra i patriarcati latini anche quelli di Costantinopoli, di Antiochia e di Gerusalemme.
Il Patriarcato di Mosca, Chiesa ortodossa autocefala
E’ autocefala ogni Chiesa che ha il diritto di organizzarsi autonomamente, scegliendo i propri vescovi, compreso il patriarca o il metropolita o l’arcivescovo che ne è a capo. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli avoca a sé il diritto esclusivo di concedere l’autocefalia, in contesa con il Patriarcato di Mosca, che a volte l’ha concessa autonomamente. Il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, considerato centro spirituale dell’ortodossia, è una delle autocefalie più piccole con 3.500.000 fedeli tra Turchia, Grecia, Europa Occidentale, America e Australia.
Il Patriarcato di Mosca (Chiesa Russa) costituisce invece, per numero di fedeli (circa 150.000.000, la metà del mondo ortodosso) e per l’appoggio del più potente Stato di stirpe slava, si rivela la comunità ortodossa più importante.
Tutte le religioni si stanno esprimendo a favore della soluzione della crisi ucraina, ma è indubbio che quelle maggiormente coinvolte sono le Chiese e le comunità ecclesiali.
In Ucraina l’83,5% della popolazione è cristiana. Di questa, (sono dati forniti dal governativo Razumkov Centre e sono riferiti al 2020, fatta eccezione per la Repubblica autonoma di Crimea e parti del Luhans’k e del Donec’k, la maggioranza, il 62,3%, è ortodossa, mentre il 9,6 è greco-cattolica. Ci sono poi minori percentuali di fedeli di altre confessioni, mentre l’8,9% si professa semplicemente cristiano. Un ulteriore report del giugno scorso pubblicato dal KIIS – Kyiv International Institute of Sociology parla del 73% di ucraini ortodossi, di cui la maggioranza, il 58%, è membri della Chiesa ortodossa d’Ucraina (UOC), meno della metà (il 25%) membri della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca (UOC-MP) e il 12% semplici credenti ortodossi.
Il patriarcato di Mosca dal 1990 aveva riconosciuto un certo livello di autonomia alle Chiese di Bielorussia e di Ucraina (prima suoi esarcati), con la denominazione rispettivamente di Chiesa ortodossa di Bielorussia e di Chiesa ortodossa di Ucraina.
Anche la Chiesa ortodossa di Moldavia aveva avuto riconosciuta l’autonomia dal patriarcato di Mosca nel 1991, ma nel 1992 il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Romania decise di ricostituire in quei territori la metropolia di Bessarabia per cui gli ortodossi lì si trovano divisi tra due giurisdizioni. In Estonia, indipendente dal 1991, la locale Chiesa ortodossa cercò di recuperare l’autonomia perduta nel 1945, quando era stata assorbita dal Patriarcato di Mosca, che però ha rivendicato la legittimità della propria diocesi in Estonia.
Lo strappo di Kirill
L’attuale – il sedicesimo – Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, capo della Chiesa ortodossa russa, Kirill I (al secolo Vladimir Michajlovič Gundjaev) nasce a Leningrado il 20 novembre 1946 e inizia il suo Patriarcato con l’intronizzazione del 1° febbraio 2009. Molto legato a Vladimir Putin, nel solco di quella che è una ben una nota alleanza e reciproca influenza tra il trono e l’altare, recentemente si è posto al centro di una forte ondata polemica quando in due successivi sermoni, il 27 febbraio e il 6 marzo scorsi, l’ultimo nella Cattedrale moscovita di Cristo Salvatore, pur senza mai nominare la parola “guerra”, si è pronunciato a favore del conflitto come giusto, giustificandolo come lotta contro la promozione di modelli di vita (esemplificati come “parata gay”) peccaminosi e contrari alla tradizione cristiana. Per il Patriarca lo scoppio delle ostilità è arrivato dopo 8 anni di tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass dove c’è un rifiuto dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale, quelli del consumo eccessivo, della libertà visibile. Mostrando pietà per le sole vittime filo-russe nel Donbass, ignorando quelle – anche russe – legate all’aggressione in corso, esortando alla preghiera per la sola “terra sofferente del Donbass”, ha esplicitamente incoraggiato la resistenza contro questi valori promossi dalla “lobby gay”, se necessario “con la forza”, in nome di quella che gli appare come una lotta non più solo fisica, ma dal significato “metafisico”, che attiene alla salvezza umana, a dove andrà l’umanità.
Il nazionalismo religioso è una minaccia per la pace?
Tra le reazioni, forte quella del movimento ecumenico, da ultimo con i presidenti della Conferenza episcopale di Francia (Cef), mons. Eric de Moulins-Beaufort e della Federazione protestante di Francia (Fpf), il pastore François Clavairoly, che si sono incontrati a Parigi con padre Maxime Politov, parroco della Cattedrale della Santissima Trinità, sede episcopale della diocesi di Chérsonèse e centro dell’Esarcato dell’Europa occidentale del Patriarcato di Mosca. La nota congiunta che annunciava l’incontro si apriva con una domanda: “Il nazionalismo religioso è una minaccia per la pace?“. Obiettivo dell’iniziativa un approfondimento della situazione nonché la consegna di due lettere ufficiali dei due presidenti destinate a Sua Santità Kirill di Mosca, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. “Il protestantesimo e il cattolicesimo francesi – si legge nella nota diffusa dalle agenzie – non possono rimanere senza agire con i rappresentanti interessati dell’Ortodossia presenti in Francia e decidono di agire. Questa iniziativa mira a contribuire al dialogo, ma anche e soprattutto a interpellare il Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie sull’importanza del senso della sua responsabilità in questo conflitto“. L’appello delle chiese cristiane europee era stato sottolineato dallo stesso Mons. Vincenzo Paglia, arcivescovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita che si era espresso sulla necessità “di una voce più robusta di condanna della guerra da parte del Patriarcato di Kirill”.
Un appello nell’appello lanciato al Patriarca anche quello ispirato dalle ultime parole forti di Papa Francesco – “pazzia” e “crudeltà” della guerra, “fiumi di sangue e lacrime scorrono in Ucraina” – cui seguiva l’impegno della Santa Sede a più livelli, religioso, umanitario e diplomatico, e lanciato dai Vescovi per il tramite del Presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europee (Comece), il cardinale di Lussemburgo, Jean-Claude Hollerich, anche lui in una lunga lettera: “mi permetto di implorare Sua Santità con spirito di fraternità: per favore, rivolga un urgente appello alle autorità russe affinché fermino immediatamente le ostilità contro il popolo ucraino e mostrino buona volontà per cercare una soluzione diplomatica al conflitto, basata sul dialogo, il buon senso e il rispetto del diritto internazionale, consentendo al contempo corridoi umanitari sicuri e accesso illimitato all’assistenza umanitaria“. Nelle conclusioni il cardinale si riferisce poi al tempo di Quaresima invitando alla preghiera per la riconciliazione e la pace in territorio europeo.
Un appello anche dal sud dell’Italia, per il quale sono state già raccolte molte firme, a Kirill affinché “interceda presso il presidente Putin per far cessare la guerra in Ucraina“. È stato lanciato dall’associazione pugliese L’Isola che non c’è che si è rivolta anche a tutti i Vescovi del Mediterraneo chiedendo loro “di farsi voce per la pace”.
Tra le ultime reazioni, ma solo in ordine di tempo, non certo per la forza con la quale è stata espressa, quella di Papa Francesco che nell’Angelus di Domenica 13 marzo ha preso chiaramente le distanze in misura che non ha precedenti dal fin qui “fratello” Patriarca di Mosca. “Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome”. Un monito chiaramente rivolto a Kirill e alle sue presunte giustificazioni politiche, morali e persino metafisiche a sostegno della guerra rivolta da Vladimir Putin contro l’Ucraina. Un appello a fermare «l’inaccettabile aggressione armata» a Kiev prima che «riduca le città a cimiteri»!» quello del Vescovo di Roma: “In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro”.
Chi predica (male) e chi tace
Oltre alle esternazioni in appoggio alla guerra, altrettanto inaccettabile tra i credenti sembra il silenzio sull’aggressione russa dell’Ucraina. E così si apprende che la facoltà di teologia dell’università svizzera di Friburgo ha sospeso il metropolita Hilarion Alfeyev, direttore del Dipartimento delle relazioni esterne ecclesiastiche del Patriarcato di Mosca, dall’incarico di professore ordinario che ricopriva dal 2011 e fino a nuovo ordine, per la sua posizione di “silenzio” di fronte all’intervento militare russo. Nonostante, peraltro, l’esplicita richiesta mossagli dal decano della facoltà, Mariano Delgado, affinché usasse la sua influenza ecclesiastica e politica per condannare pubblicamente l’invasione militare della Russia in Ucraina e chiedere a Putin il ritiro immediato delle milizie e il perseguimento del dialogo per una soluzione pacifica del conflitto sulla base delle norme del diritto internazionale e nel rispetto dei diritti umani. La risposta di Hilarion si è fermata all’impegno umanitario messo in campo, ma questo non è bastato a Delgado che aveva condannato del resto gli stessi sermoni del Patriarca Kirill che giustificavano di fatto la guerra della Russia contro l’Ucraina come “lotta metafisica”. Per il decano “il silenzio, quando è necessario parlare forte e chiaro, non fa parte della tradizione profetica del cristianesimo”. Ed evidentemente nemmeno di quella della Facoltà.