Regolamentazione dell’attività di Lobby. Un’alleanza per migliorare la legge

A testimoniare come si tratti, nel nostro Paese almeno, di una materia controversa e di normazione complessa, che gli stessi portatori di interesse in parte vogliono e in parte no e il testo approvato non convince, non tutti almeno.
È quanto emerso chiaramente dall’incontro online FERPI, del 19 gennaio scorso, realizzato su iniziativa della Delegazione FERPI Lazio e condotto da Vincenzo Manfredi, Delegato Ferpi Public Affairs e Advocacy e Giuseppe De Lucia, Delegato Ferpi Lazio su “La Legge sulla Lobby tra rappresentanza di interessi e democrazia”, cui hanno partecipato, Eleonora Faina, Direttore Generale Anitec-Assinform, Veronica Pamio, VP Rel. Esterne e Sostenibilità Aeroporti di Roma, Pier Luigi Petrillo, Professore di Lobbying Luiss, FabioBistoncini, Fondatore e Presidente di FB&Associati, Federico Anghelé Direttore dell’associazione The Good Lobby, in un confronto molto partecipato con un’ampia platea di addetti del settore, esperti e parlamentari coinvolti nel cammino della legge.
Rispetto alle tre proposte di legge sulla regolamentazione delle attività di Lobby presentate lo scorso anno presso la I Commissione Affari Costituzionali della Camera, l’attuale proposta di legge potrebbe sembrare, nel suo complesso, un buon esercizio di democrazia e di rappresentatività. Tuttavia, ad emergere sono soprattutto un certo ritardo della categoria ad occuparsi, in 50 anni, seriamente della regolamentazione, per diverse ragioni, molti aspetti più che problematici degli articoli approvati ed altrettanto numerose mancanze ed omissioni.
La Ferpi, ha ricordato Giuseppe De Lucia, ha sempre seguito da vicino l’attività legislativa sulla lobby e in modo particolare lo ha fatto sotto la presidenza di Rossella Sobrero, da ultimo con la partecipazione all’audizione del giugno 2021 dove ha presentato un position paper. Oltre la logica delle norme, del registro, del perimetro dell’attività, la Ferpi ha sempre ribadito come l’ascolto dei rappresentanti di interessi sia un elemento necessario per il processo democratico, e lo ribadisce anche per contrastare una narrazione corrente, anche in questi stessi giorni, che tende ad associare la lobby a diverse attività che con la professione non c’entrano. affatto, associata a termini, ad esempio, come “faccendieri”, e ad una narrazione denigratoria.

Nel confronto, tante posizioni (critiche) diverse
Tra i primi l’Ocse – ha sottolineato Vincenzo Manfredi – nella sua analisi giuridica alla bozza di legge della Commissione Affari Istituzionali della Camera sul lobbying aveva scritto che “il lobbying può favorire la partecipazione democratica e fornire dati e analisi utili direttamente ai responsabili decisionali”, ma raccomandava di apportare alcune significative modifiche che contribuirebbero a migliorare la proposta di legge. In particolare scriveva che “l’assenza di trasparenza ed integrità potrebbe distanziare le politiche pubbliche dall’interesse pubblico in particolare” mentre un’attiva partecipazione e trasparenza migliorano il processo democratico. Come si vede in questo incipit erano già dettagliate alcune cose che il legislatore il 12 gennaio non ha esattamente recepito.
Pier Luigi Petrillo immagina che il testo possa essere approvato facilmente in Senato e ritiene che tra i suoi aspetti positivi abbia quello di offrire il vantaggio di definire finalmente che cosa sia una “mediazione lecita”, una definizione in positivo di questa attività che altrimenti – il recente caso alla ribalta della cronaca che ha coinvolto Beppe Grillo in una previsione di traffico in influenze illecito – assume sempre e solo una connotazione negativa. Il testo approvato, invece, fa capire quando una attività di mediazione si svolga in un perimetro di liceità. Al tempo stesso, però, la formulazione della proposta di legge presenta zone indeterminate: dalla definizione di “decisori pubblici” sembrano esclusi tutti i cd. burocrati, dirigenti generali di prima fascia, ad esempio, e quindi l’attività di lobbying esercitata presso queste figure potrebbe assumere connotati di illiceità; poi la scelta di alcune organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori per le quali non si applicherebbe questo decreto e che appare una scelta miope: a loro è quindi interdetta l’attività di lobbying? Infine, i lobbisti dipendenti da società partecipate come l’Eni o la Cdp, ad esempio. Non possono, al pari di altre categorie di soggetti, iscriversi al registro previsto dalla legge. Ma allora non potendosi iscrivere al registro non possono svolgere tale attività. Se la svolgono scatta la fattispecie penale. Nel complesso, tuttavia, per il prof. Petrillo è meglio una piccola legge che fa qualcosa piuttosto che una legge perfetta difficile da raggiungere, perché questa aiuta i decisori pubblici ad individuare i loro interlocutori. Tra i primi esperti di public affairs e di lobby in Italia, Fabio Bistoncini, riconosce come la proposta di legge all’art. 1 operi un effettivo riconoscimento della attività di lobbying, ma quando il legislatore si appresta a scrivere la legge, da trenta anni almeno, vi riporta nella lettera del testo, tutti i pregiudizi nei confronti di questo tipo di attività: pone il decisore in una torre d’avorio e non mette sullo stesso piano tutti gli interessi, ammettendo solo i rappresentanti di interesse “generale”, da qui l’esclusione dei sindacati. Poi, sul tema di obblighi e diritti c’è una vera sperequazione: negli obblighi si parla sempre di doveri, per quanto riguarda i diritti il verbo usato è sempre invece il verbo “potere”, lasciando quindi alla libera disponibilità e volontà del decisore pubblico. È una legge che potrebbe essere utile, ma solo per contrastare il traffico di influenze. Ma è necessario lavorare con gli emendamenti in Senato impostando una doverosa battaglia che è anche e soprattutto una battaglia culturale.
Ma come cambierebbe il lavoro quotidiano di un rappresentante di interessi se la legge fosse approvata in questa formulazione?
Eleonora Faina, sottolinea l’eccessiva burocratizzazione di un’attività che non può esse la sola risultanza di una normazione che dovrebbe essere concepita per altri scopi come quello di agevolare la trasparenza e la qualità dei processi e favorire una maggiore trasparenza su come si prendono le decisioni, su cosa è rilevante per il decisore pubblico e per il portatore di interessi e cosa renda credibile i rapporti, e in ultima analisi, contribuisca al patto di fiducia fra eletti ed elettori. Una norma che assolvesse a questo compito, tra l’altro, sarebbe più di interesse per il decisore pubblico che per il lobbista. Un arretramento rispetto quindi al ruolo di responsabilità su trasparenza e partecipazione. Un aggravio di burocrazia e non la testimonianza di una fiducia verso i rispettivi ruoli. Invece la parte più qualificante di questa normativa avrebbe dovuto riguardare le consultazioni e il modo in cui si ingaggiano i rappresentanti degli interessi e in questo ambito anche le associazioni datoriali sono portatori di interessi generali non per niente molte si esse sono tra le prime ad essere audite, ad esempio, in occasione della legge di bilancio. E poi il punto delle “porte girevoli”, chi entra e chi no. Andrebbero evitate proprio per una questione di correttezza. Bisognerebbe lavorare insieme per provare a correggerla e poi riflettere sui perimetri. Da sottolineare poi l’assurdità di una formulazione che ritiene utile mettere nero su bianco cose pleonastiche e ovvie come il fatto che non è consentito “pagare i decisori”.
Trasparenza come qualità deI contenuti del lobbying
The Good Lobby combatte questa battaglia della trasparenza e della partecipazione anche nella regolamentazione del lobbying da sempre. La reazione di Federico Anghelé di fronte a questo testo è di moderata soddisfazione, perché è cresciuta dal punto di vista culturale la qualità del dibattito sul tema. Ad esempio, la forza politica che è sicuramente ancora molto distante da una posizione che vede l’attività lobbying come strumento di partecipazione democratica ha presentato comunque un testo, seppure perfettibile. The Good Lobby riunisce una coalizione di 34 organizzazioni no profit della società civile che rappresentano interessi collettivi, organizzazioni che si sono battute per una legge sul lobbying non perché è uno strumento di corruzione, e quindi va arginato, ma perché appunto è uno strumento di partecipazione democratica. Si auspica che i processi decisionali siano più trasparenti, partecipativi e inclusivi e che si superino le asimmetrie informative e di accesso ai decisori pubblici che molti portatori di queste organizzazioni patiscono. Questo è un fatto significativo, che così tante organizzazioni si identificano senza alcuna paura come soggetti che fanno attività di rappresentanza di interessi, ed è un segno di cambiamento culturale, una maturazione dell’opinione pubblica sul tema. La battaglia ha riguardato anche la democratizzazione dell’accesso ai processi decisionali. Forse l’esito è inferiore rispetto alle attese, ma è un punto di partenza che porta a ritenere che da un’alleanza tra responsabili dei public affair, aziende ed organizzazioni no profit si potrebbero avere ulteriori risultati. Sulla esclusione di alcune categorie (sindacati e organizzazioni datoriali) è da segnalare da una parte che l’analisi comparativa mostra che, laddove ci sono delle esclusioni così macroscopiche, l’efficacia della norma nell’armonizzare l’interazione tra i portatori di interesse e decisori pubblici viene meno, perché non ottiene una fotografia reale dello svolgimento dei processi decisionali. Nel merito delle “revolving doors” si è fatto presente nel corso delle consultazioni con le forze politiche che si poteva arrivare a forme di mediazione che si basassero anche sul livello di responsabilità, ma che non certificassero però il “liberi tutti” che invece è stato messo nero su bianco. L’appello di The Good Lobby è che in presenza di una comunanza di vedute nel ritenere che il testo, seppure non pienamente soddisfacente, possa comunque costituire un primo passo e costituisca almeno una prima risposta su cosa sia lecito fare in questo campo, e non più solo ciò che non sia illecito. È necessario unire le forze e approfittare della finestra temporale che si presenta per cercare di ottenere un testo migliore in Senato.

Un compromesso al ribasso?
Il testo sembrerebbe oggettivamente manchevole anche dal punto di vista della conoscenza della materia e sarebbe quindi auspicabile secondo la Ferpi un’attività comune di advocay anche dal punto di vista culturale. E parla di compromesso al ribasso per il testo approvato anche l’On. Emanuele Prisco (FdI) che non ha votato il testo e si è astenuta: pur condividendo la necessità di rendere trasparenti i processi decisionali, ed anche quella di riconoscere chi fa questo lavoro in maniera onesta e trasparente. È un compromesso perché tiene insieme un approccio culturale ultra-giustizialista di alcune forze politiche, che vede il torbido in ogni attività economica, in ogni pubblica amministrazione e nella politica e un approccio culturale di forze politiche con una visione più liberale, più garantista, più attenta alle garanzie e ai diritti. E il timore più grande è che una norma che non preveda un vantaggio, una premialità, nel mantenere un rapporto trasparente con i portatori d’interesse rischia di perdere totalmente di efficacia. Manca appunto quel rapporto di premialità che renda conveniente iscriversi al registro e mancano elementi di reciprocità: se il decisore politico vuole che tutti i rapporti siano trasparenti deve dare a chi va a parlare con lui un vantaggio anche a renderli trasparenti. Se manca questo criterio di reciprocità poi diventa complicato far funzionare il sistema – senza una qualche premialità – che comporti un vantaggio ad iscriversi e ad operare con trasparenza. Altra mancanza della legge riguarda i rappresentanti di interessi come dipendenti di società. Idem per l’attività di rappresentanza di interessi delle aziende straniere. Sulla tenuta del registro dubbi sulla burocratizzazione in capo ad Agcom dove si è deciso di farlo depositare laddove la proposta era piuttosto quella di farlo al Cnel, come organo costituzionale che rappresenta il mondo economico e del lavoro è giusto che sia questo l’arbitro terzo.
Sulla tenuta del registro presso il Cnel, peraltro, va ricordato che era proposta contenuta già all’interno dell’audizione FERPI del 30 giugno 2021, come casa dei corpi intermedi. Infine, la norma che riguarda la partecipazione sembra tarata sui grandi movimenti e sui grandi interessi, e l’eccessiva burocratizzazione che prevede sembra poco applicabile e realistica per i decisori politici locali.
Un peccato originale
Veronica Pamio valuta questa eventuale riforma così com’è estremamente negativa per i professionisti della lobby, siano esse società di consulenza o aziende. L’attività di lobby è già estremamente complessa e la eccessiva burocratizzazione-amministrativa prevista da questa norma (internamente a carico dei rappresentanti di interessi, come ad esempio l’aggiornamento dell’agenda settimanale) per i portatori di interessi può avere un impatto molto negativo: si rischia di cambiare i modelli organizzativi stessi delle aziende. Sembra che questo disegno di legge parta da un peccato originale: sembra che il portatore di interessi debba dimostrare di essere trasparente, debba dimostrare di poter comunicare la propria attività. La norma dovrebbe essere al contrario. Il decisore pubblico risponde al proprio elettorato. È il decisore pubblico che deve rispondere delle proprie responsabilità. È lui che deve dire chi incontra e dimostrare che gli incontri che fa, che le consultazioni informali che mette in atto siano equilibrate e che servano ad arricchire il processo decisionale. È il decisore che deve dare trasparenza a quello che fa. I portatori di interesse fanno un’attività lecita, mentre questa proposta di legge li mette in condizione di doverlo dimostrare. Altrove non è così. Ad esempio a Bruxelles: ci si iscrive al registro dei portatori di interessi, ma poi è il decisore pubblico, che pubblica le persone e le aziende che incontra e gli interessi che ascolta anche in consultazioni informali. La normativa così è una normativa contorta e risente di una interpretazione della attività di lobby come attività che possa cadere sempre nell’illecito. Una normativa che non risponde alla ratio, che dovrebbe permearla, che è quella di assicurare trasparenza, assicurare equilibrio nell’ascolto dei portatori di interessi. Quanto al suo impegno in Aeroporti di Roma, l’esperienza ha portato Veronica Pamio a riaffermare il valore, soprattutto in tempi di crisi, dell’apporto che il privato può dare al legislatore politico con i suoi suggerimenti. Perché non è possibile che il legislatore abbia presente tutte le sfaccettature e le conseguenze dell’applicazione di una norma.
Il nodo dei lobbisti “lavoratori dipendenti”
La legge sembra ignorare che il 95% dei lobbisti lavora come singolo consulente a partita Iva, ma come dipendente La legge sembra ignorare che il 95% dei lobbisti lavora come singolo consulente a partita Iva, ma come dipendente da aziende ed organizzazioni, sottoposto quindi nel suo rapporto di lavoro di tipo subordinato a policy aziendali e ad una gerarchia. L’applicazione concreta di questa normativa porrebbe – lo ha ricordato Antonio Iannamorelli – questa particolare categoria di lobbista nel mezzo tra la sanzione amministrativa, il processo penale e dall’altro lato il licenziamento. All’art. 1 ad esempio si parla di segreto professionale, ma non si cita il segreto industriale e tantomeno il segreto di Stato. Inoltre, con questa legge i lobbisti possono acquisire documenti non come è possibile attualmente, ma esclusivamente attraverso la 231 e quindi paradossalmente riconosce meno diritti ai lobbisti di quanto la Costituzione riconosce ai cittadini.
Un problema di durata
Tra le criticità il tema della durata delle consultazioni fissata in massimo 20 giorni sicuramente un tempo troppo breve per la maggior parte dei professionisti.
Una battaglia culturale da combattere insieme
Nelle conclusioni al dibattito della Presidente di FERPI, Rossella Sobrero, l’invito a cambiare la percezione e raccontare, con orgoglio, cosa sia veramente questo mestiere, una battaglia culturale che è necessario intraprendere. E altrettanto necessari sono collaborazione e coordinamento: fino ad adesso non c’erano stati momenti così decisivi come questa prima lettura della Camera e quindi c’è il bisogno di lavorare per le proposte di modifica e di farlo insieme con tutti coloro che vogliono – lo hanno dimostrato con la appassionata partecipazione a questo primo incontro – partecipare al progetto.