Affettività e carcere: un progetto di riforma. Intervista all’avvocato Sarah Grieco

Negli ultimi giorni del 2021, la ministra della giustizia Marta Cartabia si è detta pronta ad avviare un progetto di riforma per il sistema carcerario italiano, arretrato rispetto a molte strutture estere. In un piano di 35 punti, elaborato in commissione giustizia, sono previsti interventi destinati alle 189 strutture italiane, ospitanti circa 54mila detenuti.
Tra interventi e problematiche: dalla maternità al disagio psicologico
Tra gli interventi previsti, quello destinato alle detenute madri che andrebbe a coprire sia la fase del parto che la delicata situazione dei bambini in cella. In questo contesto, ricordiamo quanto avvenuto a settembre dove una detenuta di Rebibbia si era ritrovata a partorire senza assistenza medica, assistita solo dalla sua compagna di cella. Già a seguito di quest’evento, il tema della maternità in carcere era tornato al centro dell’opinione pubblica, portando la ministra ad avviare un’indagine ispettiva. Altro tema fondamentale è quello inerente la salute dei detenuti, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto psicologico. A dicembre, le strutture penitenziarie ritornano al centro della cronaca italiana con la morte di un recluso di soli 28 anni, deceduto per un’infezione polmonare dopo aver perso 25 chili in sette mesi. Secondo le varie testimonianze il ragazzo che già da tempo soffriva di depressione, non riusciva più a mangiare ma nessuno sembrava credergli. Secondo la società italiana di psichiatria (Sip) infatti, il tasso di disturbi psichici è molto elevato e molto spesso quest’ultimi sono legati alla condizione di detenzione che porta molti dei reclusi a fare uso di sostante psicoattive. Il 4% di loro è affetto da disturbi psicotici contro l’1% della popolazione generale mentre la depressione colpisce il 10% dei reclusi e il 65% convive con disturbi della personalità (fonte: polizia penitenziaria). Altro punto affrontato dal ministero di giustizia è quello riguardante l’ammodernamento tecnologico delle strutture penitenziarie che andrebbe a coprire vari aspetti che vanno dai sistemi identificativi per la circolazione dei detenuti nelle strutture ai video-colloqui con i famigliari. Restano ancora problematici invece i colloqui in presenza, soprattutto se si guarda all’ultimo periodo.

Detenuti e famigliari: i problemi in Era Covid
Con il Covid e le norme di distanziamento, le problematiche già presenti e riguardanti il tema dell’affettività, sono peggiorate. Ad oggi infatti, i detenuti hanno riscontrato molte difficoltà nel mantenere una relazione sana ed equilibrata con i membri del proprio nucleo famigliare, soprattutto per quanto riguarda i minori. Restano poi ancora aperte questioni che coprono vari aspetti della vita umana come quello riguardante la sessualità e il diritto alla privacy e che almeno nelle carceri italiane, sembrano non esistere. Per quanto riguarda queste tematiche, un gruppo di ricercatori dell’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale hanno dato vita ad una “ricerca-intervento” sviluppata partendo da una serie di questionari e interviste condotte all’interno di quattro istituti penitenziari, su cui formulare una proposta di legge. Al centro del progetto lo sviluppo delle qualità delle relazioni affettive nelle case circondariali italiane. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Sarah Grieco, responsabile della ricerca.

Come è nata la ricerca e come è stata strutturata?
Come università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale è da tempo che siamo impegnati nel settore penitenziario: infatti quello della nostra università è un impegno costante che supporta i detenuti con vari servizi che vanno da quelli legali fino al diritto allo studio. È chiaro però che dopo le sommosse avvenute in decine di carceri, durante il lockdown del marzo del 2020, abbiamo sentito l’esigenza di capire cosa stesse realmente accadendo all’interno degli istituti di pena, partendo proprio da quello che era un problema importante: l’affettività in carcere. Nonostante fossimo consapevoli di tutte le difficoltà che avremmo incontrato, soprattutto in piena pandemia, abbiamo deciso di intervistare sia i detenuti che gli operatori penitenziari. Un progetto reso possibile grazie al supporto indispensabile della presidenza del Consiglio regionale del Lazio e del Garante dei detenuti della Regione Lazio che ha supervisionato tutto il lavoro fino alla presentazione ufficiale dei risultati dello studio. La ricerca è stata strutturata in quattro istituti penitenziari della regione, con caratteristiche profondamente diverse tra loro. Prima abbiamo optato per una casa circondariale di piccole dimensioni come quella di Cassino che trovandosi all’interno del tessuto urbano ha a disposizione pochi spazi. L’istituto però presenta una sezione dedicata ai sex offenders ovvero chi ha compiuto reati a sfondo sessuale e che di conseguenza si presentano come ostativi, cioè con delle restrizioni maggiori. Poi abbiamo scelto un carcere di dimensioni piuttosto rilevanti come quello di Frosinone dove ci sono anche detenuti in massima sicurezza tra i 500 presenti, a seguire abbiamo analizzato la casa di reclusione di Paliano dove ci sono i collaboratori di giustizia per concludere con Rebibbia femminile che è l’istituto penitenziario più grande d’Europa, utile per quella parte della ricerca che guarda alla maternità e a tutti gli aspetti legati alle donne. Abbiamo intervistato oltre 230 detenuti insieme agli operatori penitenziari con dei questionari anonimi a risposta chiusa e aperta. In seguito abbiamo elaborato tutti i dati per analizzare le criticità, dividendo la ricerca in due fasi: l’analisi delle relazioni affettive nel periodo pre-pandemico e quelle del periodo post-pandemico per capire come venivano modificati i dati dopo le restrizioni dovute al Covid.

Per quanto riguarda i colloqui tra detenuti e famigliari, quale sono state le differenze tra le varie carceri esaminate e qual è stato il quadro che vi siete ritrovati davanti, soprattutto in seguito alle norme di distanziamento per l’emergenza Covid?
L’ambizione di questa ricerca che credo sia la prima in Italia dopo il Covid è stata l’ampiezza del campo d’indagine. Abbiamo scandagliato tutte le modalità di contatto tra detenuti e i propri famigliari approfondendo le visite, i contatti telefonici, le mail e le modalità di rapporto fuori dal carcere tra cui i cosiddetti permessi premi che sono usati pochissimo e concessi solo in rari casi. Detto ciò quello che abbiamo verificato è la grandissima discrezionalità tra i singoli istituti penitenziari: in ogni struttura carceraria infatti è l’amministrazione a fare la differenza dello stato di detenzione. Ad esempio in alcune carceri vengono istituiti, secondo l’art. 61 del regolamento, i cosiddetti colloqui pranzo ovvero la possibilità di pranzare con la propria famiglia una volta al mese. Soprattutto per i bambini, si rivela uno strumento utile per vivere un rapporto normale con la propria famiglia. C’è quindi una forte esigenza di normalità. In alcuni casi, gli intervistati chiedevano semplicemente un distributore di bevande e alimenti per poter consumare qualcosa durante il colloquio. In altri istituti al contrario, vige il divieto assoluto di introdurre qualsiasi tipo di alimento, soprattutto dopo il Covid. In carceri come quello di Rebibbia e Paliano c’è anche la possibilità di stare all’aperto o di usufruire di ludoteche, negli altri invece non c’è neanche la possibilità di accedere all’area verde o ad uno spazio per i minori. Quindi c’è una discrezionalità molto alta che deve essere necessariamente ridotta. Stiamo parlando di diritti costituzionalmente garantiti e questo non può essere lasciato in mano alla sensibilità del direttore dell’istituto. Nella nostra proposta abbiamo infatti eliminato la discrezionalità per i permessi pranzo facendo sì che siano modalità ordinarie per tutte le carceri del territorio nazionale. In questo periodo un problema importante è sicuramente rappresentato dall’uso dei plexiglass, introdotti in seguito alle norme anti Covid. Questo ha creato un impatto immediato soprattutto nei colloqui con i minori. Molti genitori hanno rinunciato alle visite perché il plexiglass rendeva ancora più traumatico il rapporto con i figli minorenni. C’era anche chi chiedeva di fare la quarantena pur di vedere la propria famiglia senza il distanziamento.

Molto importante è anche il tema riguardante la maternità e la paternità, quali sono gli interventi che possono essere attuati per sanare questo disagio, anche in merito alle interviste condotte da voi?
Per quanto riguarda la maternità possiamo ricordare il progetto M.A.M.A. nel carcere di Rebibbia, progettato dall’architetto Renzo Piano. Si tratta di un modulo destinato alle donne detenute in stato di gravidanza creato dallo staff di architette dell’università La Sapienza e costruito con l’aiuto di alcune detenute. Ma oltre a questo è bene mettere sullo stesso piano anche la paternità. I colloqui sono sempre fondamentali. È bene differenziare quelli tra adulti e quelli tra minori, dedicando due spazi distinti. In quelli riguardanti i minori al di sotto dei 14 anni, sono preferibili spazi all’aperto e con attenzioni che vanno dalla progettazione di ludoteche alla presenza di giochi o attività da condividere con i genitori. Per quanto riguarda gli adulti, spesso si hanno difficoltà nella conversazione per la presenza di minori. Lo stare seduti intorno ad un tavolo a dialogare può creare problemi nei confronti dei minori che necessitano quindi di spazi più adatti a loro. Un altro elemento molto importante è l’aver stabilito all’interno degli istituti la definizione di minori al di sotto dei 14 anni, un limite stabilito già nella legge del 1975 sull’ordinamento penitenziario, riformata dal ministro Orlando nel 2017. Al contrario, nel regolamento penitenziario che risale al 2000 in alcuni punti indica i minori come al di sotto dei 10 anni, in altri fa solo un riferimento generale al soggetto minorenne. Con la proposta abbiamo cercato di chiudere questa confusione stabilendo che tutti i benefici comprendono i minori al di sotto dei 14 anni. Inoltre si introduce la “linea gialla”, cioè una linea telefonica dedicata tramite il quale i minori di questa fascia d’età possono contattare il proprio genitore all’interno del carcere. Generalmente invece, le persone recluse non possono ricevere telefonate. Infine abbiamo tolto qualsiasi differenziazione, soprattutto per quanto riguarda i reati ostativi, cioè quelli che entrano all’interno del 4 bis e che comprendono non solo reati riguardanti la criminalità organizzata ma anche altre tipologie di reati più gravi. Questo incide anche sulla possibilità di frequentare i propri famigliari. Il minore non può subire le colpe del genitore. Dunque non è corretto privarlo della frequenza dei contatti concessi ai figli degli altri reclusi.
Nella vostra proposta di legge, la sessualità in carcere è un altro tema fondamentale, in questo caso quali sono gli interventi previsti?
Nel nostro progetto abbiamo introdotto anche il tema riguardante le visite intime che qui in Italia può sembrare una novità ma all’estero è già un’iniziativa presente da molti anni. Nella cosiddetta desk research (l’area teorica) infatti, analizziamo tutto il panorama internazionale dove prendere spunto per realizzare la proposta di legge. I dati ci dicono che oltre il 70% dei detenuti è d’accordo sull’introduzione di questi incontri, quelli che sono invece titubanti non ritengono sbagliata l’introduzione ma hanno dubbi sulle modalità. Temono che non venga garantita la privacy sufficiente, che queste visite avvengano all’interno della sezione o che i tempi non siano adeguati. La durata che non può essere ridotta all’ora prevista nei colloqui visivi è fondamentale. Inoltre quando si parla di visite intime non si parla solo di sessualità ma ci si riferisce anche alla semplice intimità. Una necessità molto richiesta dai detenuti: ovvero la possibilità del semplice contatto anche con i propri cari fuori dallo sguardo dei sorveglianti.
In merito alla proposta di legge, quali sono dunque i punti più critici del sistema carcerario che richiederebbero un intervento immediato?
Con la nostra proposta intendiamo elaborare un progetto di riforma tramite il Consiglio regionale del Lazio da presentare successivamente in Parlamento. Attualmente la nostra proposta è diventata una mozione depositata al Consiglio regionale del Lazio che ci auguriamo possa essere approvata nei prossimi mesi. Ad oggi la maggiore fonte di insoddisfazione sono i contatti telefonici che avvengono solitamente una volta a settimana nel lasso temporale di 10 minuti. Sono centralizzati nella maggior parte dei casi, quindi vengono trattati dall’amministrazione. Non c’è quindi la possibilità di una scheda prepagata. Inoltre 10 minuti non sono sufficienti per parlare con la famiglia. Un detenuto descrisse questa condizione come “un lungo viaggio” dove non fai in tempo neanche a sapere come sta la tua famiglia. Quindi abbiamo stabilito una completa riforma del contatto telefonico. Innanzitutto c’è bisogno di luoghi dedicati perché spesso gli apparecchi telefonici sono in sezione, vicino a fonti di rumore e senza privacy. Ovviamente deve esserci un aumento del tempo a disposizione, almeno a 20 minuti. Inoltre abbiamo stabilito che ci sia una scheda prepagata che il detenuto può tenere con sé e che tre telefonate a settimana fossero gratuite. La telefonata è infatti un diritto del detenuto. Abbiamo stabilito anche un tetto limite che può essere modulato nel corso della settimana e non riferito solo al singolo giorno. Con questa riforma rispettiamo quanto viene detto nelle carte internazionali e nelle regole penitenziarie europee. Attualmente molti detenuti vivono situazioni di disagio che si ripercuotono anche sull’aspetto psicologico. Infatti durante la ricerca abbiamo constatato come molti facciano uso di psicofarmaci. In più, su proposta del nostro rettore abbiamo chiesto ai quattro istituti penitenziari analizzati di poter presentare i risultati della ricerca ai detenuti perché volgiamo fargli capire che la loro disponibilità e il loro aiuto è stato fondamentale per i risultati raggiunti. È stata la loro voce a dare vita ad una proposta di riforma che potrà cambiare la vita non solo a loro ma anche alle tante famiglie che vivono queste condizioni.