Permafrost: il Vaso di Pandora che deve farci paura

Il tetto della nostra casa. Se crolla, noi crolliamo con lui. Tra l’Alaska e la Siberia c’è una lastra di ghiaccio che rappresenta il 20% in estensione del nostro pianeta. Questa lastra si chiama Permafrost. Con una presenza maggiore nelle regioni artiche, il Permafrost lo toviamo anche in alta montagna, sulle alpi ad esempio a partire dai 2600 metri. Il Permafrost può raggiungere fino a un chilometro e mezzo di profondità.
Problema degli ultimi decenni è lo scioglimento di questo sub-strato terrestre che è essenziale al mantenimento dell’attuale ecosistema. Gli animali sono l’ingrediente fondamentale per la sopravvivenza del Permafrost. In alcune regioni siberiane è stato analizzato il sub-strato ghiacciato mostrando come, in assenza di animali, lo strato aveva una temperatura di 17 gradi più caldo, passando da -24 a -7. In Siberia il professore e ricercatore Serguei, esperto in ecosistemi artificiali e surriscaldamento climatico, ha sviluppato un progetto per ripopolare la steppa siberiana.
Pleistocene bis
Quando parliamo di Pleistocene ci riferiamo ad un periodo che è compreso tra 2,58 milioni di anni fa e andiamo a circoscrivere la serie di cambiamenti climatici che portarono alla progressiva scomparsa dell’ecosistema della megafauna( mammut, mastodonti). Si pensa, però, che i cambiamenti climatici furono una delle cause che portò a questo mutamento di ecosistema. La vera ragione si rifarebbe alla grande ondata di homo predatori che depredarono e modificarono in maniera irreversibile l’habitat naturale animale.
L’esperimento di ricreazione di un ecosistema pleistocenico è il progetto che Serguei porta avanti da anni con la sua squadra, spostando grandi masse di animali con l’unico obiettivo di ripopolare la grande steppa siberiana. Nella prima fase di questo progetto sono state portate dieci tonnellate di animali appartenenti all’ecosistema originario. Il problema, secondo il professore Serguei, è l’impossibilità di resuscitare i grandi protagonisti della megafauna, purtroppo estinti per sempre. In questa direzione alcune università americane stanno lavorando a diversi progetti per provare a ricreare, a partire dal dna, esemplari di mammut.
Con lo sciogliemento del permafrost, si arriva così al secondo problema. Lo scongelamento di ciò che è rimasto congelato. Non solo dna di specie estinte, ma virus e microbi preistorici. Le spore di questi batteri, che appartengono a carcasse animali morti in seguito a infezioni, restano vive per migliaia di anni nel permafrost ghiacciato. Nell’esatto momento in cui le temperature tornano a salire, il Permafrost rilascia queste spore infettive che vanno a infettare le specie animali che trovano nelle immediate vicinanze.

Se il permafrost si sciogliesse?
Un focolaio di antrace è scoppiato, nel 2012, nel nord della Russia. Una malattia che non si vedeva da 70/80 anni. Ha causato la morte di un ragazzo di dodici anni del posto, di sua nonna e di diverse centinaia di renne. Inoltre sono stati colpiti almeno altri 41 bambini. Come spiega Jonathan Gornall sul giornale di Abu Dhabi The Natrional, «Non è ancora chiaro da dove è venuto l’antrace, ma gli scienziati stanno esaminando due possibilità: che le spore dormienti, ma ancora infettive sono stati rilasciate da resti di animali infetti o di esseri umani sepolti più di 70 anni fa e che ora sono stati esposti perché si scioglie il permafrost della regione». Non è la prima volta che troviamo un virus nel Permafrost. Nel 2003 un gruppo di scienziati francesi, analizzando un campione di permafrost ha trovato almeno 4 virus risalenti a 30.000 anni fa. Gli studiosi hanno commentato così l’avvenimento: “Il fatto che questi virus conservano la loro infettività negli strati di permafrost preistorici dovrebbe essere preoccupante in un contesto di riscaldamento globale”.
1662 miliardi di chilogrammi di anidride carbonica
Uno dei principali problemi legati al decongelamento del sub-strato terrestre ghiacciato, è il rilascio in atmosfera di enormi quantità di gas metano, rimaste intrappolate per millenni nel ghiaccio. Come vediamo nel reportage di Arte, ancora oggi è molto semplice trovare denti e ossa di Mammut nelle immediate vicinanze dell’area affetta da scioglimento del ghiacciaio. Un altro problema dello scioglimento è da ricercare nel rilascio di enormi quantità di acqua freddissima, che andrebbe a modificare totalmente la salinità dei mari del nord, come la Corrente del Golfo, che a loro volta risultano essenziali per la creazione delle aree climatiche del pianeta. Si legge su Il Bo live dell’Università di Padova l’analisi di uno scenario possibile in seguito allo scioglimento del Permafrot: “ A causa del riscaldamento globale in atto i ghiacciai, la neve e il permafrost stanno diminuendo e continueranno a farlo. Questo aumenterà i rischi per le persone, con il verificarsi di frane, valanghe, cascate e inondazioni. Si stima che i piccoli ghiacciai che sono in Europa, in Africa orientale, nelle Ande tropicali e in Indonesia siano destinati a perdere oltre l’80% della loro attuale massa entro il 2100 in scenari ad alte emissioni. E il ritiro della criosfera di alta montagna influenzerà probabilmente in modo negativo le attività ricreative, il turismo e i beni culturali. Senza contare che, se i ghiacciai di alta montagna si ritirano, possono alterare anche la disponibilità e la qualità dell’acqua a valle, con conseguenze in settori come l’agricoltura e l’energia idroelettrica. Il livello del mare, poi, continua ad aumentare, di 15 centimetri nel XX secolo“
fonte: Greenme.com
I ricercatori del Permafrost, con una ricerca pubblicata su Nature, hanno analizzato più di 100 siti in Antartide e hanno stimato che il Permafrost ha rilasciato nell’ambiente 1662 teragrammi di carbonio, ogni inverno, dal 2003 al 2017. Un teragrammo è uguale a un miliardo di chilogrammi. 1662 miliardi di chilogrammi di anidride carbonica rilasciati in atmosfera.