Caporalato: i tanti fronti di una battaglia per la vita

Il caporalato è una piaga diffusa in tutta Italia dalla Sicilia alla Val di Non. Si tratta di una questione complessa dove entrano in gioco la politica, la grande distribuzione, le leggi sull’immigrazione e i valori fondanti di un intero sistema. Alcuni attivisti e sindacalisti da anni protestano per portare la lotta al caporalato in cima all’agenda politica, facendone una battaglia totalizzante per riaffermare il valore sacro della vita e il bisogno di giustizia sociale. L’emergenza coronavirus e l’ennesima insensata morte di un bracciante nel foggiano, hanno fatto salire alle stelle la tensione nelle campagne dove anche la sanatoria della ministra Bellanova ha rivelato i suoi limiti. E mentre la politica cerca goffamente risposte, le persone muoiono nelle baracche.
Una moderna forma di schiavitù
Dalle parti di Borgo Mezzanone (Foggia) non è insolito che si verifichino improvvisi incendi che divampano nelle baraccopoli dei braccianti. Delle ultime vittime invisibili abbiamo un nome, Mohammed Ben Ali, di cui non rimane che qualche documento sgualcito ritrovato sulla terra bruciata. Mohammed era uno dei tanti lavoratori agricoli pagati a cottimo o comunque non molto più di 3,50 euro all’ora. Le spese di trasporto e il panino per il pranzo sono a carico del lavoratore, spesso costretto ad accamparsi in baracche dove è impossibile occuparsi dell’igiene personale. Stiamo parlando di sacche paludose della società dove il diritto e la dignità sono sospesi.
È difficile immaginare come dietro alle ordinate cassette di ortaggi del supermercato ci sia tanta miseria e tanta negazione dei diritti fondamentali, eppure è così. Perché in Italia nel 2020 si consuma una modernissima forma di schiavitù. Chi entra nel tritacarne lo fa perché non ha scelta e difficilmente si ribella per timore di perdere quel poco che ha.
La diffusione del coronavirus non ha fatto che aggravare la condizione di questi lavoratori di cui si sono occupati solo pochi volontari e sindacalisti sensibili alla problematica i quali hanno distribuito mascherine e disinfettanti ai braccianti.
La battaglia di Aboubakar Soumahoro
In prima linea fra quelli che lottano contro il caporalato c’è Aboubakar Soumahoro dell’Usb – Unione sindacale di base – che sta facendo una battaglia concreta per portare la questione sotto gli occhi della politica e dell’opinione pubblica.
Durante gli Stati Generali a Villa Pamhilj l’autore di “Umanità in rivolta” si è incatenato i polsi ed ha avviato uno sciopero della fame interrotto solo quando Conte ha deciso di riceverlo. Il sindacalista ivoriano ha portato sul tavolo tre chiari punti ovvero la riforma della filiera agricola, un piano nazionale per fare fronte all’emergenza lavorativa, oltre ad un cambio di rotta sulle politiche migratorie.
La proposta avanzata da Soumahoro riguardo l’adozione di una patente del cibo è stata molto apprezzata dal premier favorevole alla creazione di un “marchio etico” che certifichi il prodotto. Il punto dolente riguarda le politiche migratorie perché di mezzo ci sono gli accordi con la Libia e la revisione dei decreti sicurezza che continua ad essere procrastinata (verosimilmente a dopo l’estate). Anche le misure della ministra Bellanova sulla regolarizzazione dei lavoratori agricoli sono state prese in esame perché pare facciano acqua da tutte le parti. Da qui la soluzione suggerita da Aboubakar, ovvero un permesso di soggiorno per motivi sanitari convertibile, un domani, in uno per attività lavorativa.
Il ruolo della GDO
Le misure inserite nel decreto Rilancio, seppure rappresentino un primo passo importante, hanno escluso molti lavoratori anche a causa degli alti costi per i datori di lavoro, allo stesso tempo carnefici e vittime di un sistema che gira al contrario.
Al centro non ci sono i diritti umani e la trasparenza nei confronti del consumatore, bensì le leggi del profitto che si traducono in prezzi troppo bassi imposti dalla GDO. La grande distribuzione organizzata è un interlocutore essenziale per intavolare un piano contro lo sfruttamento che produca dei risultati. Fino a che i colossi dell’alimentare che fissano i prezzi non verranno coinvolti nel dibatto sul caporalato non ci sarà via d’uscita per gli schiavi del profitto.
Nel frattempo migranti, attivisti – sardine comprese – disoccupati e chiunque non si senta tutelato dallo Stato, si è dato appuntamento il 5 luglio in piazza San Giovanni a Roma per chiedere più giustizia sociale in occasione degli Stati Popolari, una sorta di controparte di piazza agli Stati Generali del palazzo.