Sorvegliati e puniti. La paura rende desiderabile il sacrificio sociale

Sorvegliati e puniti. Agenti sociali misurabili e disciplinati, solerti e in fila secondo il più prudente distanziamento sociale. È questa l’umanità debole figlia di un ‘900 rivoluzionario e nichilista.
E così abbiamo incoronato la post-modernità normando il distanziamento sociale, facendo del problema cardine delle società contemporanee la soluzione e in questo scambio di ruoli a morire definitivamente è la ragione della rivolta.
Abbiamo scelto di chiamare distanziamento sociale lo strumento atto alla salvaguardia del benessere della collettività, quando invece avremmo potuto definirlo distanziamento solidale.
La pandemia ci ha tesi come corde di violino: terrorizzati dal pericolo del contagio, disarmati e impotenti di fronte alla crescita esponenziale della curva dei decessi, è stata impressa nel comportamentismo sociale l’idea dell’oppressione necessaria.
Sorvegliare è sempre punire: nell’atto del primo la potenza del secondo
Lasciate ogni speranza, o voi che entrate. Dovrebbe essere il manifesto della nostra umanità stanca e distratta. Nessuno è salvo dal controllo cognitivo. La biopolitica sta subendo una trasformazione: l’oggetto di studio non è più il corpo, ma i flussi che attraverso questo vengono attivati. Il controllo non è più orientato alla prassi, bensì a ciò che la genera, alla sua causa.
Nell’ipocrisia democratica del nostro stare al mondo, in mezzo alle città vuote e silenziose, a far rumore non è stata soltanto la morte di quasi 470mila persone, ma il tonfo della criticità. Ci siamo definitivamente immersi nella distrazione più nociva, quella imposta istituzionalmente, abbiamo ipostatizzato una volta per tutte il concetto adorniano di “industria culturale”.
La distrazione non è un diversivo, è il più potente strumento di controllo delle masse. Non a caso Walter Banjamin considerava la distrazione uno degli elementi caratterizzanti dei regimi fascisti, nonché la concausa dell’estetizzazione della politica e quindi dell’abbattimento del senso critico che è al contrario necessario nell’auspicata politicizzazione dell’arte.
La distrazione strategica è la versione più subdola e più difficile da estirpare dell’indottrinamento all’ideologia unica: ci illude di essere informati e soprattutto di sapere mentre invece ne restiamo soggiogati.
La disciplina addomestica ad un’ideologia – qualsiasi essa sia – addomestica ad una storia – qualsiasi essa sia – che distrugge l’esistenza di ogni potenziale prospettiva alternativa. Addomestica ad un pensiero che si fa comportamento.
Il disciplinamento è totalizzante nel momento in cui ci riduciamo a vivere liberandoci da una complessità che non riusciamo a concepire e che quindi ci opprime. Quando diventiamo incapaci di vivere nella libertà di identificarci, di autodefinirci nonostante la regolamentazione sociale e al di fuori di essa.
È in questa fase che il disciplinamento causa danni pressoché irreversibili, equiparando sicurezza e sorveglianza, come se la possibilità di sentirsi socialmente sicuri non potesse prescindere dall’essere sorvegliati. Sorvegliare è sempre punire: nell’atto del primo si esprime la potenza del secondo.
Non siamo sicuri perché non sappiamo essere con gli altri, siamo quasi esclusivamente contro. Viviamo in uno stato di diritto fittizio, che altro non è se non la legittimazione dello stato di natura che tanto spaventava Hobbes.
La pandemia causata dal covid-19 ha riconfermato le palafitte su cui poggia la natura umana e la natura sociale. Circa 90 anni fa, Carl Schmitt, spiegava che la politica sociale è retta dalla perpetua contrapposizione tra amico e nemico. La pandemia ha addirittura giustificato la discriminazione e della tendenza ad emarginare insita nell’uomo.
La figura indispensabile del capro espiatorio
La genealogia del potere di Michelle Foucault ricostruisce l’evoluzione del vero potere sociale: sottile, infimo e trasversale, così minuzioso da essere impercettibile durante il processo di assimilazione e subordinazione. Tra le regole sociali ricomprese nella “microfisica del potere” foucaultiana, il dovere alla spettacolarizzazione e l’individuazione di un capro espiatorio.
L’individuazione di un capro espiatorio serve a canalizzare e contenere le pulsioni più negative, serve a orientare la rabbia distruttiva verso qualcosa di particolare. La spettacolarizzazione è catarsi. Spettacolarizzare un evento sociale di portata considerevole significa prosciugarlo della sua carica traumatica, significa decostruirlo e depotenziarlo attraverso un processo catartico.
Durante l’emergenza covid le persone malate e morte non andavano soltanto monitorate ma immolate, non è bastato dichiararle, era necessario renderle un caso mediatico. La morte è scandalosa, non importa che sia un evento naturale e impossibile da scongiurare. La paura rende desiderabile il sacrificio sociale.