Coronavirus: i danni alla Cina e alla sua economia

Per la Cina è prima di tutto un danno di immagine
Sono ormai diverse settimane che il mondo è spaventato dalla minaccia del Coronavirus. In questo tempo sono circolate un’infinità di informazioni più o meno vere, la disinformazione, d’altro canto, riguardo alla nascita del virus o al contagio è stata intensa. Dal clickbait alla propaganda politica i media occidentali hanno contribuito a creare un clima di confusione, che, generando processi d’identificazione, rovina l’immagine della Cina agli occhi dell’opinione pubblica.
Molti, preoccupati per la propria salute e presi dalla smania di sapere, si interessano dell’emergenza, dei suoi numeri e finiscono per essere inglobati dal flusso mediatico; spesso quei dati sono presentati come assoluti o non sono correlati con una variabile pertinente e il loro atto è quello di spaventare. Edward Bernays, agli inizi della guerra fredda, consigliò al presidente americano Eisenhower che la paura del comunismo doveva essere incoraggiata e non diminuita.
Si può dire, senz’altro, che il Coronavirus è un caso globale, reale e in una certa misura anche pericoloso. Ma allo stesso modo, nel dualismo Occidente e Cina, non si può escludere che alcuni media, nel loro processo naturale di produrre informazione, orientino i pareri delle persone verso un crescente contrasto con l’immagine della Repubblica Popolare. Quello stato che negli ultimi anni era riuscito, invece, a “riposizionarsi”.
Così, quando fonti d’informazione continuano a dire che il virus è uscito dal laboratorio di Wuhan, anche se ormai sembra che provenga dai pipistrelli o dai pangolini, il risultato che si produce è un danno all’immagine dello stato cinese. Parlando dei danni subiti dalla Cina a causa del Coronavirus, senz’altro il primo riguarda il discredito dell’opinione pubblica occidentale. Questo poi è relativo al luogo in cui l’informazione viene prodotta e diffusa: Maduro, ad esempio, ha dichiarato che il virus sia un’arma batteriologica concepita per colpire la Cina.
Il Coronavirus si aggiunge alle proteste di Hong Kong di qualche mese fase: la Cina è uno stato fortissimo, ma non è una vera democrazia. Anche in questo caso l’opinione pubblica occidentale rigetta l’oscurantismo della Repubblica Popolare. Dibattito che s’inserirà anche all’interno delle reti 5g.
Quali sono i danni inflitti all’economia cinese?
Ad oggi, ovviamente, è presto per parlare quantitativamente dei danni che il Coronarivus ha inflitto all’economia cinese. Ci si può, senz’altro, affidare a delle previsioni e insieme valutare quelli che possono essere i movimenti delle multinazionali occidentali.
Il Fondo Monetario Internazionale, anche se ritiene prematuro dare dei numeri, preannuncia un calo del 3,3% sul ritmo di crescita del Pil cinese. Molto dipenderà dal trascorrere degli eventi, ma per ora la situazione in territorio cinese è bloccata.
A Wuhan, 11 milioni di abitanti e centro tecnologico cinese, è tutto chiuso. 500 sono le fabbriche evacuate, il trasporto è paralizzato e la città, quindi, praticamente deserta. Il resto della Cina vive giorni migliori, ma non di troppo. Sono stati chiusi da un mese i due parco-giochi Disneyland di Shangai ed Hong Kong: questo dicono gli analisti è il segno di una contrazione del mercato legato allo svago che non sarà inferiore al 10%.
Anche altri settori dell’economia nazionale imperversano in questo calo inevitabile. Si pensi al tracollo dei viaggi aerei in entrata: la compagnia di bandiera Air China ha perso il 16% in borsa a Shangai. Indubbiamente ci sarà un danno all’economia, il punto è capirne l’entità.
Per ora Ikea, McDonalds, H&M hanno chiuso l’accesso al pubblico ed è difficile capire cosa faranno nei prossimi mesi. Più chiaro è, invece, quello che sarà il comportamento dei giganti occidentali della tecnologia che alla Cina sono legati in termini di produzione. È il caso di Apple, Google, Microsoft. Se per Apple, che vende 20 milioni di telefoni l’anno, realizzandoli interamente in Cina, è difficile nell’immediato spostare la produzione; Google e Microsoft, che hanno volumi più contenuti, stanno già pensando di trasferire le proprie fabbriche hi tech in Vietnam o in Thailandia.
Anche simili politiche aziendali rientrano nei danni innescati dal Coronavirus. La Cina dovrà capire come trattenere le aziende che negli ultimi trent’anni hanno basato sul suo territorio tutta o gran parte della produzione delle loro merci. E da un altro lato dovrà anche fare in modo che la popolazione non percepisca gravi problemi derivanti da questa emergenza.
Il Coronavirus danneggia anche l’ambiente?
Dalle proteste di Hong Kong ad oggi è cambiato poco, ma Xi Jinping e la sua direzione non vivono sicuramente un buon periodo. Alle problematiche sopra elencate se ne aggiunge un’altra che non deve essere sottovalutata, perché riguarda un danno in termini economici che si riflette sull’immagine del Paese.
Il Coronavirus ha bloccato letteralmente le produzioni all’interno del paese; conseguentemente sono crollate le emissioni inquinanti del 25%, più o meno l’equivalente di quello che l’Italia emette in 6 mesi. Questo calo dovrebbe essere una cosa positiva, se non fosse che, quando l’emergenza legata al contenimento del virus terminerà, la Cina avrà necessità di rimettersi in pari con gli obiettivi produttivi.
Non è escluso quindi che la Repubblica Popolare sia “costretta” ad andare contro delle sanzioni legate ad un super-inquinamento. E potrebbe essere che il problema inquinamento si rifletta seriamente sull’atmosfera nazionale, che già ha dovuto combattere con un’aria di qualità decisamente inferiore di quella occidentale.
Cosa significa questo? Un crollo nello stile di vita, nella vivibilità della nazione; quindi un ulteriore danno di immagine. È innegabile, dunque, che l’economia cinese risentirà dell’impatto del Coronavirus. Ma non sarà l’unica. Anche quegli Stati che sono maggiormente collegati a livello commerciale con la Cina, all’interno della loro stessa economia potrebbero subire dei rallentamenti.