Chiude il casinò di Campione, a rischio 500 posti di lavoro

La vicenda
Venerdì scorso il casinò di Campione, provincia di Como, ha dichiarato il fallimento. Da tempo sopravviveva in una condizione economica precaria a causa dei molti debiti. Secondo molti il motivo principale dei problemi è la costruzione del nuovo edificio inaugurato nel 2007: un edificio di nove piani arrivato a costare 120 milioni di euro, voluto da Roberto Salmoiraghi al suo primo mandato da sindaco, che nonostante gli ottimi incassi portò all’indebitamento. I tre curatori fallimentari nei giorni precedenti hanno studiato le carte dei 132 milioni di euro di debiti accumulati per provare a cercare una soluzione alternativa alla chiusura definitiva, che però non è arrivata, nemmeno percorrendo la strada politica. L’ultima volta che il casinò aveva visto le proprie porte chiuse fu nel 1983, due mesi per infiltrazione mafiosa.
Una comunità sul lastrico
Nel comune di circa 2000 abitanti il casinò è stato da sempre un importantissima fonte di lavoro per i cittadini, che ora si troveranno infatti senza un reddito: i licenziamenti saranno 500. Ieri mattina, 31 luglio, circa 100 dipendenti si sono radunati sotto la sede della regione Lombardia per protestare contro la chiusura della casa di gioco «A Campione abbiamo solo il casinò. Viviamo lì con le nostre famiglie, non possiamo cambiare tutto. Siamo qui per manifestare il forte disagio di Campione dopo il fallimento e la chiusura del casinò, che porta a 500 licenziamenti, oltre a un danno per tutta comunità. Non abbiamo nemmeno ricevuto la lettera di licenziamento, quindi non possiamo cercare un altro lavoro». Il presidente del consiglio regionale Alessandro Fermi, dopo l’incontro con i lavoratori, ha dichiarato «Come istituzione regionale oggi stesso solleciteremo il ministero dell’Interno e il ministero delle Finanze perché prendano i necessari provvedimenti, consapevoli che più si allungano i tempi, più l’utenza inevitabilmente si indirizzerà stabilmente su altre strutture da gioco a danno di Campione», anche se la soluzione politica sembra, ad oggi, quella meno fertile.