Perché l’olio di palma danneggia l’uomo

Da un anno più o meno, tutti abbiamo una vaga idea di cosa sia l’olio di palma. Un ingrediente fondamentale per l’industria alimentare presente anche nella Nutella, ottenuto attraverso una deforestazione coatta necessaria per garantire disponibilità alla grande richiesta di questo misterioso olio. Misterioso perché la sua storia è segnata da pareri contrastanti.
Poco dopo la metà del XX secolo, le grandi multinazionali iniziarono ad utilizzare l’olio di palma come sostituto di grassi tradizionali prodotti nei paesi europei o nord-americani. Erano gli anni della globalizzazione, la produzione dell’olio vegetale nei paesi asiatici aumentava e i mercati avevano sempre più bisogno di questo straordinario componente di prodotti alimentari, saponi, polveri detergenti. La crescita di domanda non si è mai arrestata ed ha imposto un aumento di sei volte della produzione di olio di palma dal 1990 ad oggi, finché, improvvisamente, una gogna mediatica si abbattuta sull’ingrediente.
Perché? Una ragione sacrosanta in primis. Come accennato sopra, la produzione di olio di palma comporta un violento disboscamento che mette in crisi l’ecosistema delle zone di coltivazione. In 15 anni in Indonesia sono scomparsi 100.000 oranghi, animali che hanno il 97% del nostro DNA e sono sensibili come noi al solletico. Se non si ha un animo particolarmente animalista, si consideri che gli oranghi muoiono perché non hanno alberi su cui vivere e sappiamo quanto gli alberi sono importanti anche per noi. Da quando dal 2014 l’UE ha imposto di registrare la presenza dell’olio di palma in prodotti alimentari sono piovute una serie di accuse all’ingrediente. Che sia cancerogeno o più generalmente nocivo come ogni grasso alla salute umana è un dibattito ancora aperto; nel frattempo, se non si è ancora giunti a definire gli effetti dell’olio di palma nell’essere umano, per ovviare i problemi ambientali era stato proposto un olio di palma sostenibile, ovvero non ricavato attraverso la deforestazione. L’organismo incaricato di controllare che le aziende acquistino olio sostenibile sta registrando diversi fallimenti. L’RSPO è messo seriamente sotto accusa da Greenpeace. In Indonesia continua a ripetersi questo scenario spettrale. Poche settimane fa, la più importante associazione ambientalista mondiale ha denunciato l’ennesimo abuso verificatosi a Papua, dove aziende affiliate all’RSPO stanno praticando una massiccia deforestazione. Unilever, Nestlè, Pepsi hanno acquistato quest’olio di palma, tutt’altro che sostenibile. A gennaio, tra l’altro, 16 multinazionali si sono rifiutate di pubblicare la provenienza del loro olio di palma. Forse, come sostiene Grennpeace, il rifiuto nasce dal fatto che nessun olio di palma può essere al 100% sostenibile, cioè prodotto senza arrecare danno all’ambiente.
Ma di tutto questo non sembra preoccuparsi l’RSPO. In Indonesia è previsto per il 2020 un aumento da 36 a 42 milioni di tonnellate di olio di palma prodotti. Con pezzi di foresta pluviale grandi come campi da calcio che spariscono ogni 25 secondi non è soltanto la vita degli oranghi ad essere messa a rischio o quella di altri animali come i rinoceronti della Sumatra, ma la salute stessa del pianeta. Che il disboscamento sia un’attività disastrosa per l’ambiente è noto, ma sapere che il cambio di natura del suolo, realizzato tramite la deforestazione, causa il 12% dell’emissione di carbonio, permette di acquisire maggior consapevolezza sull’olio di palma. A quanto pare l’olio di palma, che degli oli vegetali assorbe il 35% del mercato, è anche più vantaggioso rispetto agli altri, avendo una maggiore resa e svolgendo anche una funzione conservante negli elementi in cui è contenuto. La Nutella ha girato vari spot a difesa dell’olio di palma, o meglio del loro olio di palma di qualità, ottenuto da frutti spremuti freschi, raccolti in coltivazioni sostenibili e lavorati a temperature controllate.
L’apologia della Ferrero ha qualche credibilità, ma le promesse fatte dalle grandi multinazionali riguardo all’acquisto di olio di palma sostenibile non sono state ancora mantenute. Finché gli oranghi continueranno a morire o gli elefanti non sapranno più dove abitare significa che c’è ancora uno sfruttamento intenso nei territori occupati dalle foreste. Questo si traduce in un male sempre più grande per il nostro pianeta. Penso che l’olio di palma non sia tanto più nocivo di altri ingredienti presenti in molti prodotti alimentari industriali e che l’informazione abbia cavalcato questo sentiero per arrivare al problema cruciale sollevato dalla produzione del più famoso tra gli oli vegetali: l’impatto ambientale. Di quel mistero che avvolge l’olio di palma, dopo questa articolo,una cosa sarà chiara: basta produrlo su terreni deforestati; se ciò non è possibile: basta produrlo!