Da dove proviene la depressione?

La depressione è uno spettro che avvolge molte persone, viene, va, torna e corre sempre tra le famiglie. E’ un disturbo riconoscibile negli atteggiamenti, frustranti e controversi, ma ancora non si riesce a risalire all’origine della patologia. L’individuo depresso precipita in una condizione apatica e socialmente invalidante, strappandolo alle esigenze che animavano la sua vita prima. La scorsa settimana il Consorzio Genomica Psichiatrico in Genetica della Natura ha fatto passi in avanti sullo studio della depressione. Il carattere rivoluzionario della loro scoperta si fonda principalmente su un dato statistico dal quale, successivamente, si ricavano gli spunti per riflettere sulla profonda natura della depressione.
Se i tuoi genitori hanno sofferto di depressione la probabilità che tu sarai depresso sono molto maggiori. Il rapporto generale sulla popolazione è di uno a quattro: in sostanza il 25% degli individui attraversa almeno una volta nella vita lo stato di depressione, ma per chi è nato da genitori depressi il rischio è decisamente più alto.
Da questo assunto possono emergere una serie di domande, anche molto diverse fra loro. In primo luogo risulta, dunque, palese che in qualche modo lo stato di depressione vissuto dai genitori comporta l’aumento di probabilità che nello stesso stato si ritrovi un giorno il figlio. Questo perché? Ci sono geni che trasmettono il carattere “depressione”? O è l’ambiente cupo in cui un genitore depresso cresce suo figlio a determinare il suo destino emotivo? La depressione è, quindi, una questione genetica o educativa?
Un vecchio studio spezza la lancia a favore di chi sostenesse l’ereditarietà di alcuni geni depressivi. La ricerca dimostrava che i gemelli “identici” avevano più probabilità di vivere esperienze di depressione simili rispetto che coppie di gemelli eterozigoti. Tutto ciò rendeva evidente l’esistenza di “geni depressivi” dei quali, però, si conosceva pochissimo.
Finché la scorsa settimana per la prima volta, scienziati di tutto il mondo, con importanti contributi dai centri di ricerca genetica psichiatrica di livello mondiale del Regno Unito, finanziati dal Medical Research Council dell’Università dell’Università di Cardiff, dell’Università di Edimburgo e del King’s College di Londra, sono stati in grado di combinare i dati del DNA su un campione abbastanza grande per individuare le posizioni sul genoma associate ad un aumentato rischio di depressione. Così ora sappiamo, con un alto grado di fiducia, qualcosa di importante sulla depressione che non sapevamo prima. Sappiamo che ci sono almeno 44 geni, tra i 20.000 geni che comprendono il genoma umano, che contribuiscono alla trasmissione del rischio di depressione da una generazione all’altra.
Questa scoperta chiarisce una situazione in cui probabilmente tutti abbiamo dei “geni depressivi” la cui manifestazione patologica dipende dalla quantità e dal loro impatto cumulativo. Da qui si estrapola un’argomentazione volta a sostenere lo studio sulle coppie dei gemelli, quello che era un’interessante dato statistico acquisisce un aspetto pseudo-scientifico.
I geni coinvolti sono 44, per ora. Gli studi di ricerca sostengono che il numero potrebbe aumentare. La depressione sembra appartenere alla natura umana, perché i geni coinvolti, oltre ad essere presenti in ogni individuo in diverse quantità, svolgono anche importanti funzioni biologiche. Se tutti siamo esposti a rischio è conseguenza diretta l’indebolirsi del confine tra “normalità” e “anormalità”.
E’ pure vero che a questa predisposizione genetica variante da persona a persona si aggiungono fattori esterni, legati a malattie infettive o a stress patologico che sbloccano questi “geni depressivi”. Di tutte queste scoperte deve farne tesoro la psichiatria pratica. Emerge complessivamente che la terapia deve avere un carattere maggiormente preventivo, nel senso di coadiuvare il ristabilirsi dell’individuo durante un periodo di convalescenza successivo, per esempio, ad una forte infezione. Il compito della psichiatria dovrebbe, dunque, essere quello di accompagnare i piani terapeutici con nuovi antidepressivi, che mirino ad attaccare le proteine codificate dai “geni depressivi”.
Detto ciò l’augurio è che nuove scoperte migliorino i metodi curativi. Alla domanda se la depressione è una condizione genetica o ambientale, la risposta resta aperta. C’è una componente genetica determinante ma altrettanto lo sono alcuni fattori esterni. La depressione diventa sempre più qualcosa di tangibile e quindi più “facile” da curare.