Politica e strategia: la partita di Israele nel Golan siriano

La politica strategica messa in atto da Israele nel Golan siriano è sempre più vicina a nuovi conflitti e disordini. Si tratta di una “zona cuscinetto” e totalmente demilitarizzata dove, però, il governo israeliano continua ad erigere basi militari; un modo velato per sostenere le minoranze a scapito della maggioranza sunnita del mondo arabo, un operato che colpisce sempre più siti militari e uccide funzionari della sicurezza.
La Siria viene considerata, insieme al Libano, la nazione con la popolazione più eterogenea del Medio Oriente, comprendente un 65% di sunniti, ovvero una percentuale ridotta rispetto ad altri paesi come l’Egitto, ma che, inoltre, vede un restante 35% del popolo siriano comprendere varie ramificazioni islamiche eretiche, inclusi i curdi sunniti e i cristiani. Una grande diversità e un’immensa sfida per il nuovo presidente Ahmad al- Shara’ e precedentemente emiro di Hayat Tahrir al-Sham che, con la sua forte convinzione per cui gli arabi sunniti dovrebbero essere gli eredi di un completo potere all’interno del mondo islamico, si confronta costantemente con una realtà alquanto variegata.
Un principio molto forte, derivante dall’impostazione di Al-Qaeda, che però sta scemando man mano con la leadership, un’attenuazione che però non ha incluso alcuni militanti.

I disordini interni siriani: Israele fa la sua mossa
La multiculturalità siriana continua ad essere motivo di scontri e disordini all’interno del territorio, perturbazioni che non lasciano fiorire una solida stabilità. A marzo vi sono stati dei conflitti proprio tra il nuovo presidente Ahmad al-Shara’ e la setta alawita di Assad, che, invece, porta avanti una visione eretica sciita; dispute che hanno condotto ad oltre mille morti e all’allontanamento dei cristiani dal nuovo governo.
Le tensioni con i drusi, piuttosto, risultano essere la più grande causa di malessere all’interno della Nazione. Un altro gruppo eterodosso che, però, ha visto il governo israeliano agire in sua difesa e utilizzare attacchi aerei per colpire proprio il palazzo presidenziale siriano.
L’operato di Israele non è una novità: sostenere le minoranze è la strategia per indebolire il potere sunnita. Uno sforzo seguito da un notevole appoggio dei politici israeliani, dato che una Siria ancor più frammentata non sarebbe in grado di minacciare o opporsi ad Israele. Il desiderio di una supremazia in Medio Oriente che si scontra sempre più con le richieste di una riduzione della presenza militare.
I colloqui tra Israele e Siria: nessuna politica, solo demilitarizzazione

I colloqui tra Siria e Israele non hanno posto al centro temi politici, piuttosto si è trattato di incontri, all’interno della zona pattugliata dalle Nazioni Unite, con un tema ben preciso: il rientro delle truppe israeliane sulla linea armistiziale delle alture del Golan come sancito nel 1974. Il governo israeliano, infatti, ha inviato le sue forze militari al di la della linea, entrando in territorio siriano; un’azione conseguente ad altri eventi, soprattutto a seguito della caduta del governo dell’ex presidente Bashar al-Assad.
Sembrerebbe che Israele abbia richiesto la creazione di una zona smilitarizzata estesa, un’area priva di armi pesanti e che si estenda fino alla periferia di Damasco.
Un incontro incentrato su un processo di demilitarizzazione, con l’obiettivo di creare un equilibrio e far cessare i bombardamenti di Israele in Siria, come avvenuto, invece, dalla nomina del nuovo leader, raid che si sono affievoliti nelle ultime settimane.