Italia e Libia: storia di un’amicizia problematica

Dopo il caso Almasri e Al-Kikli i rapporti tra Italia e Libia tornano ad essere legati ad un filo sottile: tra le 10 ONG internazionali sospese dal governo libico spunta anche il nome dell’italiana Cesvi.
Nel libro “Giulio Andreotti e l’intelligence”, edito da Rubettino e curato da Mario Caligiuri, troviamo un interessante capitolo firmato da Luca Micheletta con un focus sui rapporti italo-libici negli anni Settanta e Ottanta. Alla politica estera del nostro paese, con particolare attenzione su Giulio Andreotti, è stato sempre rimproverato il rapporto ambiguo con i libici; alcuni ricorderanno la frase “moglie americana e amante libica”. I rapporti a multilivello (da quello prettamente economico a quello geopolitico) tra i due paesi partono dal 1969. Per gli amanti dei numeri basti pensare alle attività dell’Eni, ai 415 milioni di dollari di investimenti fatti nel 1976 dalla Banca centrale libica per il 9,7 per cento delle azioni Fiat e che nel 1983 il 30% delle importazioni totali della Libia proveniva dall’Italia; Tripoli era l’ottavo cliente del Belpaese.
Gheddafi
Ovviamente, parlando di Libia e di quegli anni, non si può non menzionare la figura di Gheddafi. Menzionare Gheddafi come un dittatore qualsiasi sarebbe un grave errore di valutazione: come il suo idolo politico Gamal Nasser, l’ideale politico di Gheddafi poneva le sue basi sul credo del panarabismo, anticolonialismo e antimperialismo. I nemici del dittatore libico erano divisi tra dissidenti interni e sessanta/settantamila dissidenti libici all’estero (40% di questi esuli in Egitto). L’opposizione poteva contare inoltre sul sostegno economico dell’Arabia Saudita e dell’Iraq di Saddam Hussein.
Non solo economia
Le piste italo-libiche potrebbero essersi intrecciate nel 1969 anche dal punto di vista dell’intelligence. Secondo il giudice Rosario Priore, infatti, il colpo di Stato del colonnello fu organizzato sul territorio italiano, almeno nelle sue ultime battute, ad Abano Terme. Secondo la Commissione parlamentare d’Inchiesta sul terrorismo con a capo il senatore Pellegrino, “il rovesciamento della monarchia libica fu preparato nell’ambasciata libica a Roma”. Suscitò clamore anche la possibile fornitura di armi da parte dell’Italia al regime di Gheddafi sin dagli anni Settanta.
Nel capitolo del libro curato da Micheletta, risulta che anche negli archivi di Andreotti si evidenzia come le autorità italiane scoraggiassero l’attività degli oppositori di Gheddafi sul suolo italiano. Nel 1979 i servizi libici, rappresentati da Mousa Salem El Haji come diplomatico presso l’ambasciata di Libia, si misero in contatto con il Sismi per fermare la diffusione del periodico d’opposizione “Saut Libia”. Oltre al caso di “Saut Libia”, l’Italia aveva due capitoli aperti con Tripoli: il primo legato alla sparizione dell’Imam Musa Sadr, guida spirituale degli sciiti libanesi invitato da Gheddafi nel 1978. La Libia desiderava che gli italiani sostenessero la tesi che fosse partito per l’Italia prima di sparire al fine di placare le accuse provenienti dall’Iran. Il secondo caso invece era quello dei 23 pescatori siciliani detenuti in Libia per l’accusa di aver sconfinato in acque territoriali libiche. Ad agosto del 1979 il cittadino tunisino, capo della distribuzione del periodico, venne espulso e diretto verso la Francia; il 16 agosto vennero sequestrate le copie della pubblicazione. Dal 17 al 22 ottobre del 1979, su incarico del Presidente Francesco Cossiga, fu inviato a Tripoli Jucci per trattare le questioni irrisolte. Dopo l’incontro, secondo Jucci, i libici accettarono di graziare e rilasciare i marittimi italiani e si rafforzò la cooperazione economica con l’Eni mentre l’Italia si impegnava a risolvere la questione dell’Imam Musa Sadr.
Caos ’80
Nel luglio del 1980 le autorità libiche catturarono nuovamente due pescherecci italiani; il 27 giugno precipitò il Dc9 sui cieli di Ustica; nemmeno un mese dopo avvenne lo schianto di un MiG libico in Calabria; ad agosto ci fu un’insurrezione di reparti dell’esercito che tentarono un colpo di Stato contro Gheddafi con due italiani arrestati e condannati all’ergastolo. Nel novembre del 1980 sale al potere Ronald Reagan negli USA; per Reagan, Gheddafi era “the foremost terrorist”, un finanziatore di gruppi terroristici sparsi sul continente; la Libia era capace di far transitare fondi occulti ovunque. Il 5 aprile un attentato alla discoteca frequentata da militari americani “La Belle” a Berlino Ovest fece esplodere la situazione; Washington non ebbe dubbi sulla matrice ed il 14 e 15 aprile Tripoli e Bengasi vennero bombardate da caccia americani. La Libia attaccò un centro d’ascolto militare a Lampedusa come risposta. Per Andreotti, preoccupato dei 15mila italiani residenti in Libia, la via da percorrere era quella della moderazione e del dialogo e la causa politica principale era il perdurare del conflitto arabo-israeliano. Il governo libico si assunse le responsabilità del lancio dei missili seppur a scopo dimostrativo, Cossiga accettò la motivazione ma decise che in caso di nuovo attacco la reazione sarebbe stata la guerra tra i due stati. Seguì ovviamente un raffreddamento dei rapporti economici tra Italia e Libia e nei mesi seguenti Tripoli provò a ricucire lo strappo. Nel settembre del 1986 a New York si incontrarono Andreotti e Ali Abdussalam Triki; l’obiettivo era il rilancio della collaborazione economica e politica e lo scambio di detenuti (avvenuto poi il 7 ottobre). La ripresa dei rapporti economici passò anche per l’ex presidente Eni, Franco Reviglio.
Riarmo chimico e atomico
Nella seconda metà degli anni Ottanta i rapporti tra America e Libia non migliorarono. Secondo gli Stati Uniti, il regime libico, a Rabta, aveva un impianto industriale per la creazione di armi chimiche oltre alla tecnologia per rifornire in volo i propri aerei. Una minaccia per Israele, alcuni paesi Nato compresa l’Italia ed i Paesi arabi moderati. Il lavoro svolto sul campo dall’intelligence italiana smentì e sminuì a più riprese le accuse degli Stati Uniti nei confronti della Libia.
La politica di dialogo portata avanti da Andreotti nei confronti della Libia, nonostante le turbolenze, condurrà dopo 17 anni al Trattato di amicizia svoltosi a Bengasi nel 2008.