Il Nodo di Gordio: il dialogo tra Junger e Schmitt

Il nodo di Gordio è in termini profondi testo di confronto molteplice, gioco complesso di specchi, stratificazione letteraria e filosofica aperta all’interpretazione su piani di riflesso che, come nel raggio di luce, trovano nell’unità del biancore la pluralità cromatica e criptica del caleidoscopio.
Dialogo, o meglio percorsi di dialogo, che nel libello ripubblicato da Adelphi, trovano in primis la forma dello scambio amicale tra due penne figlie della rivoluzione conservatrice ma diverse per formazione e sviluppo intellettuale: il cantore delle tempeste d’acciaio, Ernest Junger, e l’indagatore del nomos, Carl Schmitt.
La cornice del rapporto trova calzante definizione in quella di “incontri fra amici” (Freundschaflitche Begegnungen), titolo della raccolta tedesca in cui, due anni dopo la pubblicazione nel 1953 del primo saggio “Il Nodio di Gordio” di Junger, da quale prende titolazione il libro Adelphi, verrà inserito il testo della nota di commento di Carl Schmitt allo scritto dell’amico. Una conversazione che, riprendendo l’etimologia latina, tinteggia uno stato esistenziale affine, un’affinità dell’ esser-ci nel momento, il trovarsi appunto insieme nella forma dello scambio di parola, originariamente orale e dunque presente nella vocalità.
Amicizia mai appiattita sull’uniformità di pensiero ma vivace di posizioni anche contrastanti, una su tutte il tema dello Stato planetario-universale (Weltstaat), concetto caro alla visione jungeriana sviscerata nell’ Airbeter (Il lavoratore) e totalmente avverso alla concezione giuridico-politica della pluralità concreta e localizzata dei grandi spazi (Großraum) di Schmitt o al concetto di iconografie regionali sviluppato proprio in questo testo.
La seconda diade dialogica è quella di confronto-scontro tra Est-Ovest, Oriente e l’Occidente. Per Junger il Nodo di Gordio, interpretato come questione vitale della storia e della fecondità del processo umano, è il grande incontro tra due polarizzazioni, due principi che si trovano incisi nell’ archeologia spirituale umana, il luogo dove sorge il sole e dove esso tramonta.
In particolare, Junger alimenta tale polarizzazione Oriente e Occidente attraverso una dualità matrice, quella tra dispotismo di tipo orientale e la libertà politico-spirituale dell’uomo propria dell’Ovest. Tra le molteplici declinazioni di tale confronto, percepibile anche nel rapporto con Dio, emerge con forza la questione della sovranità. ll dispotismo diviene figlio dell’assenza di limite, dell’assolutismo declinato nella mancanza di ostacoli al potere, la figura del despota-divinità.
Dall’altra la misura del controllo, una sovranità mai possibile in maniera totale ma incarnata, qui il riferimento a Kantorowicz è significativo, nei due corpi del re, il corpo del sovrano e la forma della regalità astratta che fluisce senza soluzione di continuità grazie alle strutture istituzionali del potere. Il dittatore romano, spiega Junger, si muove nella legalità dei poteri concessi, non nell’arbitrio totale del tiranno. In tal senso Junger interpreta la Führerprinzip hitleriana come espressione orientale della sovranità.
La tentazione di una lettura puramente pneumatica, legata in particolare alla Guerra Fredda tra Stati Uniti-Urss o all’attuale conflitto in Ucraina, rischia di relegare il pensiero jungeriano ad una forma di orientalismo influenzato dalla tradizione che ritrova nella visione dell’alterità greca di “barbari” il suo nucleo fondativo. Junger di fatto esclude tale possibilità interpretativa precisando come “Oriente ed Occidente non devono essere concepiti come luoghi assoluti ma come metafore di due atteggiamenti umani fondamentali”. Per Junger questi due aspetti polari esistono all’interno di ogni uomo: una legge titanica più antica, la notte tellurica ancestrale, lo spirito di Caino e un’ethos diverso, più giovane, il trionfo degli Dei olimpici sull’antico mondo titanico, l’ordine che detta limiti sia della volontà che alla sofferenza.
Tale dualità è sempre presente nel palcoscenico dell’umanità, senza conoscere mai sosta in un confronto continuo, un duello vitale. Le parole di Junger riecheggiano un convitato di pietra mai citato nel testo, Friedrich Nietzsche e le forme dell’apollineo-dionisiaco. Come spiegato da Giovanni Damiano e Giovanni Sessa nel loro confronto sul “Nodo di Gordio” organizzato dal caffè Horafelix, sia Junger che Schmitt in realtà si confrontano ad un livello più profondo che chiama in causa il concetto di eterno ritorno del padre di Zarathustra. Non è un caso che nell’Appendice sia proprio Junger a sottolineare l’importanza del concetto di ritorno come elemento di analisi cardine.
Questo punto, arriviamo così alla terza fase di confronto, è particolarmente significativo nel testo di Schmitt. Il giurista tedesco, infatti, si concentra in particolare, riproponendo l’interpretazione del testo Terra e Mare, sull’importanza di definizione di un metodo corretto di filosofia della storia. Questo è per Schmitt fattore fondamentale e per tale ragione, pur cogliendo la forza mitopoietica del testo di Junger, giunge a respingere il modello interpretativo dell’amico ancora fondato su polarizzazioni. Tale meccanismo comporta il ripetersi, secondo Schmitt, di contrapposizioni e simultaneità che nella struttura della storia del mondo tendono ripetersi sempre e sempre nello stesso modo.
Al contrario è necessario contrapporre a tale lettura una concezione storico-concreta basata sul susseguirsi di domande e risposte in grado di determinare “la struttura delle situazioni e delle epoche storiche nella loro unicità”. È necessario allora rifiutare il concetto di una legge universale che nella storia non esiste. “La verità delle opposizioni polari è eternamente vera, eternamente nel senso di un eterno ritorno. Una verità storica invece è vera solo una volta”.
Il vero “Nodo di Gordio” diviene allora per Junger e Schmitt comprendere il mistero profondo, da sempre cruccio dei cercatori di sapienza, del ruolo dell’uomo nella storia e la vera essenza dei processi storici, tra ordine, unicità e caos.