I rave: raduni infernali o libertà assoluta?

La crisi energetica, la guerra incombente, la sicurezza, gli sbarchi degli immigrati sono argomenti che per un attimo hanno ceduto il passo alla disquisizione sui rave. Chi li vuole, chi li detesta. Il rave di Modena si è concluso con 1300 persone identificate e 14 denunciate, ma è comunque terminato in maniera ordinata e pacifica da parte della polizia che ha guidato le operazioni di sgombero e sequestro. La bufera, invece, si è scatenata subito dopo, nell’opinione pubblica e nelle discussioni politiche.
Woodstock non si ripete
Quando si parla di grandi, anzi, enormi raduni di giovani viene subito in mente Woodstock, ma quello che sappiamo della manifestazione è forse più leggenda che realtà. Ci sono documentari e canzoni che ne parlano, ma in primo piano spicca il lato artistico e musicale dell’evento durato 3 giorni. Quasi mai, però, si parla di ciò che è successo “lì dentro”.
Intanto bisogna ricordare che il concerto simbolo degli hippie è stato organizzato da “Giovani uomini con un capitale illimitato, in cerca di valide e interessanti opportunità di investimento e proposte di business” (annuncio di John Roberts e Joel Rosenman sul New York Times e Wall Street Journal). La città designata era Wallkill, che però ritirò la sua disponibilità visto che si temevano forti disordini. Così Elliot Tiber che stava organizzando il White Lake Music and Arts Festival convinse il repubblicano Max Yasgur a mettere a disposizione il suo terreno per la modica cifra di 75mila dollari.
Sulla musica di Woodstock non c’è da dilungarsi, simbolo di un’epoca, di una generazione e di un livello artistico senza eguali, ma da un punto di vista organizzativo fu davvero un inferno, vissuto da 400mila persone. Sporcizia, fango, poco cibo, rischio di folgorazione di massa. Proprio per questo, dire che Woodstock sia stato un miracolo da tanti punti di vista, a partire dal fatto che non ci furono incidenti fatali, a parte il diciassettenne Raymond R. Mizzak, morto investito da un trattore, è sicuramente un’affermazione veritiera.
Questo ritorno al passato vuole solo ricordare come gli agglomerati di persone e i rischi annessi ci sono sempre stati. Sono passati più di 50 anni da allora e la società è molto cambiata nella tutela delle persone, in una maniera a volte così invasiva che rischia di sfociare in una vera e propria prigionia. Dopo il rave di Modena, quindi, ci sono state disquisizioni su chi vorrebbe il diritto di proseguire con il divertimento libero (nel senso migliore del termine) e chi invece vorrebbe abolirli / monitorarli.

I rave: perché sì
Coloro che vogliono lasciare le cose così come stanno pensano che la paura di chi cerca di fermarli nasca dall’ignoranza, da un sentito dire, dal fatto che chi vuole impedire ai giovani di divertirsi non ha mai saputo cosa fosse un rave. In definitiva, non sappia quindi che cosa significhi far parte di quella tipologia di gruppo, di comunità.
I rave rappresentano la felicità “fuori dall’ordinario”. In una società che vincola anche il divertimento, i rave rappresentano l’ultimo spazio puro e realmente libero dei giovani (e meno giovani). Per i ragazzi, essere controllati su tutto è diventato un incubo, e quindi cercano disperatamente di trovare valvole di sfogo. I rave rappresentano una di queste valvole. Inoltre, dato da non sottovalutare, i rave sono contesti gratuiti in cui la solidarietà primeggia su ogni altro aspetto. Chi partecipa ai party dichiara spesso di riscontrare una palese e genuina etica di fondo, una solidarietà autentica, una comunità in cui ognuno provvede all’altro, occupandosi anche della pulizia degli spazi occupati.
Per alcuni partecipare a un rave è uno stile di vita, per altri è addirittura un atto politico. L’articolo 17 della Costituzione Italiana infatti recita: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.”
Il racconto che viene spesso veicolato, invece, è che i rave siano una sorta di girone infernale in cui la droga la fa da padrone. I partecipanti contestano questa visione, affermando che le droghe non regnano soltanto nei rave, ma hanno ormai invaso l’intero substrato sociale, persino i palazzi del potere politico, economico e finanziario. La droga è ovunque e abolire i rave per questo motivo è soltanto un pretesto. Anzi, sottolinea chi partecipa spesso a questi eventi, durante i rave sono sempre presenti delle strutture per la riduzione del danno da assunzione di droghe, dove si analizzano anche le sostanze – fornendo così un servizio di informazione e assistenza.
Secondo questa visione, con l’inasprimento delle norme, i rave non smetteranno di esistere, semplicemente diventeranno ancora più occulti e pericolosi.
I rave: perché no
Il governo e la maggior parte della stampa si schiera invece contro i rave. “L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.” Così viene modificata nella sua attuazione la norma, lasciando pressoché invariata la ratio.
Il governo si difende contro le accuse che lo vedono come un censore di libertà, non solo dei rave, ma anche delle manifestazioni in genere. Le dichiarazioni delle istituzioni sono tutte pro rave, pro serate, solo se monitorate e organizzate secondo legge: partita IVA, affitto del luogo, assunzione di una società per la sicurezza, assunzione del personale in regola, estintori, pagamento SIAE, l’IVA, l’IRPE, la TARI, ecc., cassa fiscale collegata con l’Agenzia delle Entrate, autorizzazione alla vendita di bevande, rispetto delle normative sul numero dei partecipanti in base a quanto può contenerne l’area. Se sembra un elenco assurdo da attuare, in effetti è quello che tutti gli organizzatori di feste e spettacoli, discoteche e similari, fanno quotidianamente per tutelare le persone che parteciperanno agli eventi, anche e soprattutto dopo i disastri avvenuti durante alcuni grandi eventi di qualche anno fa.
Il tema quindi non è vietare il divertimento dei ragazzi, ma impedire l’illegalità, tutelando tutti coloro che lavorano nello spettacolo e nel terziario e che rispettano le leggi dello Stato – che sicuramente, in maniera esagerata, si accanisce contro gli imprenditori del settore, e che, invece, andrebbero tutelati.
Inoltre resta in sospeso un altro problema (forse il più importante), che è quello della sicurezza sui luoghi di lavoro, la sicurezza dei partecipanti delle manifestazioni, e anche la sicurezza igienica e quella alimentare, dato che per tutti questi punti servono una serie infinita di autorizzazioni che tutelano proprio i singoli partecipanti.
Conclusione
I rave, quindi, essendo al centro della discussione attuale, offrono spunto per una riflessione più ampia. A che cosa si dovrebbe dare la priorità? Alla libertà che sfavorisce il lavoro di chi rispetta le leggi o il rispetto delle norme a tutti i costi, rischiando di precludere il divertimento giovanile? Ognuna delle tesi può essere seguita senza nulla togliere all’altra, ma, sicuramente, si capirà presto da che lato penderà la bilancia della storia.