Povertà educativa: intervista a Enrico Serpieri di Save the Children

Un libro di 200 pagine su tutti gli aspetti della povertà in Italia. È questo l’Atlante per l’infanzia a rischio 2021 di Save the Children, l’organizzazione che si occupa dei più giovani sia sul territorio nazionale che internazionale. Tra le varie statistiche riportate vi sono anche quelle riguardanti la cosiddetta povertà educativa, definita dalla stessa organizzazione come “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. Questo lavoro è frutto di una lunga ricerca, condotta a livello nazionale negli ultimi anni. La mancanza di una corretta educazione conduce inevitabilmente al fallimento formativo del singolo ragazzo, ripercuotendosi su problematiche future, a cominciare da quella economica.

Secondo l’indagine dell’Istat tra le fasce d’età che vanno dai 6 ai 17 anni, viene definito lettore forte chi legge più di sette libri in un anno. Questo dato è passato dal 28,5% nel 2019 al 29% nel 2020. Sicuramente, con il lockdown, si è verificato un aumento della propensione alla lettura, con un abbassamento dei non lettori dal 45,9% al 48,1%, tra 2019 e 2020, ma questo si è verificato soprattutto tra le femmine adolescenti ed è fortemente condizionata dall’educazione dei genitori: nel 2020 infatti, la fascia riguardante i non lettori, passa dal 62,6% di chi ha genitori con licenza media, al 30,3% di chi ha genitori laureati.
I dati riguardanti i lettori, sono influenzati anche dalla disponibilità di spazi dedicati quali biblioteche comunali o scolastiche. Tra il 2019 e il 2020 il numero di chi usufruisce di questi luoghi, ha subito un calo tra il 5% e il 10% circa, in base alla fascia d’età. Durante l’emergenza Covid il 32% delle biblioteche ha sospeso l’attività mentre il 68% ha incrementato i servizi online per gli utenti. Per quanto riguarda i più piccoli invece, dove il calo dei frequentatori di questi spazi è maggiore rispetto ai ragazzi più grandi, solo il 49,4% delle biblioteche ha offerto animazioni e corsi dedicati ai bambini dai 0 ai 13 anni.

La netta distinzione tra Meridione e Settentrione, oltre ad essere evidente nella presenza di biblioteche sul territorio, influenza anche il dato riguardante le attività extrascolastiche: al Sud infatti, ci sono molti più ragazzi che non sono andati né a teatro né in altri luoghi come musei e monumenti. Inoltre, seppur a influire in maniera evidente è il fattore economico, di certo bisogna considerare anche altri fenomeni come quelli più legati all’aspetto sociologico: nel 2019, infatti, la differenza tra chi è economicamente stabile e chi non lo è, per quanto concerne la fruizione di spettacoli teatrali, di mostre o di concerti, è solo del 10% circa. Pensiamo ad esempio al teatro, dove è visibile il dato più preoccupante: il 71 % dei ragazzi con famiglie con risorse economiche scarse o insufficienti, non è mai andato a teatro mentre il dato riguardante quelli che hanno risorse economiche ottime o adeguate, si abbassa solo del 65,5%.

La media di ragazzi che praticano attività sportive raggiunge invece il 59,8% rispetto al 22,2% di chi non lo pratica, ma anche qui viene sottolineato il divario tra le due parti della nazione: Sud e Nord.
L’atlante ci restituisce dunque un quadro completo della situazione nazionale che è anche un modo per “far aprire gli occhi” non solo a chi lo legge ma anche a chi dovrebbe agire per porre fine a questi fenomeni, come ci ha spiegato Enrico Serpieri, head of strategic development per i programmi Italia-Europa di Save the Children.
Il dato dei lettori in Italia è quello più preoccupante anche se, come abbiamo visto, il titolo di studio influisce molto. Crede quindi che il problema parta dall’educazione scolastica? Secondo lei, quali sono le soluzioni per permettere ai ragazzi di continuare il proprio percorso scolastico?
La risposta non è semplice. Abbiamo un dato molto chiaro che è quello dei test d’invalsi sulla dispersione implicita, cioè quello riguardante i ragazzi che frequentano la scuola al di là della dispersione normale dove c’è l’abbandono vero e proprio. Ma in questo caso, le competenze che acquisiscono alla fine del loro percorso scolastico sono molto più basse del normale su molte materie compresa la comprensione dei testi ed è una quota complessiva di circa il 10% sugli ultimi dati invalsi che però segue il solito andamento di disuguaglianza tra i territori del Nord e quelli del Sud. L’Italia ha infatti due velocità: sebbene la media sia calcolata dal punto di vista nazionale, le analisi che abbiamo fatto per regioni o per aree territoriali dimostrano infatti che la dispersione implicita è molto più presente nel Mezzogiorno. In più il learning loss e cioè la perdita di capacità d’apprendimento, negli ultimi due anni dovuti all’epidemia da Covid, ha sicuramente contato molto. Ci siamo soffermati tutti sul danno sociopsicologico che hanno subito i ragazzi durante il lockdown con la DAD ma non c’è dubbio che c’è stata anche una perdita d’apprendimento. C’è da dire però che come organizzazione, non pensiamo che l’insegnamento a distanza sia negativo di per sé ma anzi, l’esperienza degli ultimi anni ha aperto nuove possibilità di integrazione agli insegnamenti. In generale però, se parliamo di una classe che non è preparata a questa modalità di fruizione che nonostante la potenzialità del mezzo, ha tecniche di coinvolgimento diverse, questo già ha comportato un problema di learning loss e non è di certo colpa dei professori che non erano sicuramente preparati a tutto ciò. In più c’è il problema del digital divide, cioè quello riguardante la connessione ad Internet che nel nostro paese non è disponibile in maniera uniforme su tutto il territorio. Questa problematica è ovviamente anche legata al divario economico: alcune famiglie con cui siamo venuti in contatto avevano un solo smartphone o un solo dispositivo elettronico per tutti i membri del nucleo famigliare. Infatti, abbiamo distribuito molti tablet e incrementato i sistemi di connessione, soprattutto al Centro Sud ma anche in altre zone. Quindi sicuramente ci troviamo davanti le conseguenze di un processo in corso da tempo come si può vedere da fenomeni quali la crisi del settore editoriale. Il calo di lettura è un fenomeno che va avanti già da molto ma se lo uniamo alla mancanza di competenze di comprensione di un testo scritto, abbiamo questo quadro della situazione. Dire che le responsabilità sono solo della scuola è un po’ complicato, probabilmente sì ma solo in parte perché bisogna considerare anche le famiglie, la società e l’ingresso di tecnologie come la televisione o il computer che hanno sostituito i momenti di svago prima riservati unicamente ai libri. Ma il dato riguardante la lettura, la scrittura e la comprensione delle domande rimane inquietante. Ad esempio, recentemente è uscita una notizia riguardante un concorso di magistratura dove c’è stato un alto tasso di errori grammaticali fatti dai candidati e non stiamo parlando di adolescenti o bambini.

Molti ragazzi, quindi, vivono situazioni difficili all’interno del proprio nucleo famigliare e molto spesso, l’ambiente che li circonda non è quello ottimale per una buona crescita educativa. Luoghi come le biblioteche sono sicuramente posti sicuri non solo per loro ma anche per tutti quei ragazzi in cerca di uno spazio dove prepararsi per esami e verifiche, oltre ad essere luoghi di interazione con i propri coetanei. Ma durante il lockdown dovuto al Covid, questi ed altri spazi sono stati costretti a chiudere, seppur continuando i servizi online e ora stanno riprendendo poco alla volta le loro attività. Quale è stata la situazione in cui vi siete ritrovati ad agire durante la pandemia, in mancanza di queste attività e con le varie procedure di distanziamento?
Noi siamo rimasti sempre aperti. I 26 centri di Save the Children (i Punti Luce) anche durante il lockdown hanno continuato ad operare, con tutte le norme sanitarie ovviamente, perché i decreti-legge lo permettevano in quanto spazi educativi. I punti luce sono dei luoghi fisici frequentabili dai ragazzi in orario extrascolastico, quindi normalmente il pomeriggio che svolgono tutta una serie di attività compresa la lettura, grazie a delle biblioteche messe a disposizione dei ragazzi insieme ad altri spazi di socializzazione come sale giochi e di musica, ovviamente con educatori molto preparati. Abbiamo fatto uno sforzo enorme nel tenerli aperti sempre proprio perché riteniamo che siano fondamentali, soprattutto nel periodo pandemico. Il più delle volte questi spazi sono ubicati in zone di grandi città o paesi dove non ci sono altre attività simili. Quindi, chiuderle in periodi del genere è sicuramente un segnale negativo. Oltre a questo, abbiamo rinforzato la distribuzione di tutti quegli oggetti che vanno dal tablet ai libri di scuola fino a rafforzare l’aiuto alle famiglie ma cercando sempre di mantenere un presidio sui territori, in cui i ragazzi potessero andare. Il quartiere Barra a Napoli, lo Zen di Palermo o Plati’ in Calabria sono solo alcune delle zone dove sono presenti i nostri punti luce. Ovviamente la rete delle biblioteche è molto importante, soprattutto per quanto riguarda quelle scolastiche che hanno un ruolo fondamentale e a cui stiamo lavorando per sostenerle. Anche i nostri punti luce sono pieni di libri perché hanno una funzione fondamentale per lo sviluppo di qualunque ragazzo. Vedendo anche i grafici, è chiaro che il problema non è solo economico anche se la problematica legata al patrimonio del singolo nucleo famigliare, sicuramente influisce. In pandemia abbiamo avuto migliaia di famiglie in forte difficoltà economica: nei migliori dei casi c’erano genitori in cassa integrazione e nei peggiori in disoccupazione che non riuscivano neanche a permettersi un pasto giornaliero completo e questo comporta un taglio di tutte quelle attività considerate secondarie, come quelle extrascolastiche che non sono solo culturali ma anche legate all’attività sportiva. In Italia sono decine di milioni i ragazzi in condizione di povertà economica che come conseguenza, comporta inevitabilmente il formarsi di tutti gli altri fenomeni, tra cui c’è ovviamente la povertà educativa.

Le attività extrascolastiche come visitare un museo o andare al cinema sono dunque fondamentali per l’educazione dei giovani ma sempre secondo le vostre ricerche, molti non usufruiscono di questi servizi che il nostro patrimonio culturale ci offre. Al di là delle gite scolastiche, fondamentale è anche la volontà dei genitori di portare i propri figli al cinema o a vedere un monumento e mi ha colpito come le risorse economiche non siano così influenti, soprattutto per quanto concerne il dato riguardante i teatri. Come organizzazione qual è il vostro ruolo di mediazione con le famiglie all’interno di questi fenomeni?
La diffusione dei libri e degli spettacoli teatrali hanno un trend in Italia in calo, a prescindere dal livello economico, da circa un paio di decenni. Probabilmente moltissimi ragazzi sono andati a teatro solamente con la scuola perché magari la famiglia non ci va abitualmente. Per quanto riguarda le nostre attività, nei punti luce e in altre strutture come Civico Zero, non vengono solo i ragazzi. Ad esempio abbiamo degli spazi riservati alle mamme che in molti contesti diventano dei veri e propri centri sociali. Uno dei nostri punti si trova anche a Plati’, un piccolo paesino della Calabria, centro della ‘Ndrangheta. Le operatrici che lavorano lì ci hanno raccontato come la semplice macchinetta del caffè sia stata la chiave per parlare con le donne del paese che non possono entrare al bar e quando le nostre operatrici lo fecero, destarono stupore tra i cittadini. All’inizio, quando le mamme portavano i bambini al punto luce, ne riconoscevano l’utilità per i figli ma non per loro e quindi se ne andavano ogni volta. Con il tempo, sono state avvicinate con la semplice offerta di un caffè, fino a formare un gruppo di mamme in una sala della sede che una o due volte alla settimana si raduna per parlare delle proprie situazioni. Quindi sebbene Save the Children si occupi dei minori, chiaramente il lavoro con i gruppi famigliari è fondamentale. C’è un’educazione anche alla genitorialità. Tra i nostri progetti c’è anche quello che segue le mamme ancor prima che entrino in ospedale per partorire mentre sul posto c’è il progetto Fiocchi dove, dopo la nascita del bambino, seguiamo la famiglia per circa 1000 giorni. È un progetto che abbiamo continuato anche durante la pandemia, nonostante non si poteva entrare nelle strutture ospedaliere. La difficoltà di queste famiglie era ovviamente maggiore, quindi sono state seguite a casa dove abbiamo fatto anche da fattorini per portare tutti i beni di prima necessità nelle abitazioni. È chiaro che c’è un’azione sul nucleo famigliare importante e quando arriviamo su un luogo cerchiamo di fare il nostro lavoro a 360 gradi, coinvolgendo tutti gli abitanti della zona in attività legate al centro. Progetti che continuiamo anche l’estate, ad esempio il punto luce dell’Aquila nei mesi estivi ha organizzato delle escursioni e dei viaggi con i ragazzi che non potevano permettersi neanche una vacanza. Sono stati progetti complessi, visti anche i numeri di persone che necessitavano di queste attività ma necessari.
Questi dati pubblicati dalla vostra organizzazione sono sicuramente importanti per capire la situazione sul nostro territorio. Ci stiamo avvicinando al 2022, dove si spera nella fine definitiva di quest’era pandemica. Attualmente siete già all’opera con alcune iniziative ed eventi? Quali sono invece i progetti futuri?
Il nostro auspicio per il 2022 è che i nuovi fondi previsti, tra cui quello del PNRR, siano usati per le emergenze raffigurate nel nostro atlante. L’Europa se ne è accorta tanto è vero che ha obbligato le Regioni, L’Italia e i paesi ad investire una percentuale sul contrasto alla povertà educativa. La nostra speranza però è che questi investimenti non siano destinati unicamente alle strutture scolastiche ma che vadano indirizzato nello specifico a questo fenomeno, diretta conseguenza di altri. Perché contrastarlo significa anche fermare le future difficoltà economiche. Tutto parte, infatti, dall’educazione dei giovani. È giusto costruire nuove scuole ma vanno pensati anche i modelli di gestione delle strutture che siano innovativi e più attenti alle esigenze dei ragazzi e bisogna dare attenzione anche a modelli che offrano opportunità non solo culturali ma anche legate alle attività sportive, fondamentali per la crescita del ragazzo. Le palestre, le gite scolastiche e i teatri sono tutte cose a carico dei genitori e sono tante le famiglie che non possono permettersi di pagarle. Auspichiamo quindi in una politica che metta al centro i giovani. Anche sulla programmazione del PNRR la loro voce è rimasta inascoltata e non parlo solo dei bambini e degli adolescenti ma anche di giovani ventenni che stanno entrando nel mondo del lavoro. Tra i progetti in cantiere per il nuovo anno abbiamo anche la Scuola di Cittadinanza di Save the Children dove metteremo a disposizione dei giovani un percorso formativo reale, per dare l’opportunità ai ragazzi di diventare cittadini consapevoli e attivi sul loro territorio. Inoltre, stiamo realizzando un nuovo punto luce in un’area periferica di Milano, dedicato alla sostenibilità ambientale che è un’altra tematica a cui teniamo molto e per il mese di maggio, stiamo programmando un convegno sul ruolo sociale e politico di Save the Children. L’atlante dell’infanzia a rischio è invece il risultato di ricerche approfondite, ovviamente siamo già a lavoro per realizzarne un altro sugli ultimi dati. Abbiamo deciso di stamparlo e renderlo disponibile nelle librerie, in collaborazione con la casa editrice Ponte alle Grazie, ma tutti i dati sono disponibili anche sul nostro sito e fino a febbraio, sono previsti incontri per presentarlo in giro per l’Italia.
