Lazio-Sassuolo 1-1, un solo punto vi dovevo
Il 26 maggio è un giorno particolare per il tifo laziale. Un giorno di festa, anche a distanza di undici anni dalla storica vittoria in Coppa Italia contro la Roma. L’ultima all’Olimpico quest’anno però – che, per l’appunto, cade proprio di 26 maggio – ha un sapore dolceamaro: dal commovente ritorno di Sven Goran Eriksson (e la coreografia a lui dedicata) al saluto finale per l’ultima all’Olimpico di Felipe Anderson, parte di una Lazio che, come squadra, in questa stagione, ha fatto grande fatica a restare in corsa per un posto nell’Europa che conta.
Dopo la ormai classica My Way di Briga rivisitata con parole di fede biancoceleste, arriva il momento del fischio d’inizio. Il clima generalizzato di festa, anche per il meraviglioso discorso dell’ex tecnico svedese, lascia il posto ad un primo tempo che fatica a decollare: prima un’occasione per Hysaj, poi dieci minuti di pressing del Sassuolo e al 17′ la prima vera occasione per la Lazio: un’incursione di Kamada, il quale, invece di tirare, passa la sfera al centro dell’area di rigore senza trovare nessuno. Giusto un quarto d’ora dopo, al 30′, la squadra di Tudor si riaffaccia sulla trequarti avversaria sempre con la mezzala giapponese – il più propositivo dei suoi – ma questa volta trova un grande riflesso di Cragno a negargli la gioia personale. La formazione scesa in campo nel primo tempo appare poco lucida e determinata, tanto che a farne le spese sono principalmente le fasce occupate da Hysaj e Pellegrini che, trovandosi spesso in posizione molto avanzata rispetto al normale, non trovano la giusta quadratura e vanno spesso in fuorigioco (complice anche una difesa a tre molto alta del Sassuolo composta da Ferrari, Viti e Erlic che rende difficile la vita agli esterni biancocelesti).
L’incostanza della Lazio è una costante anche in apertura di secondo tempo. Sorprende anche Tudor per aver lasciato fuori dall’undici titolare Immobile, Guendouzi, Luis Alberto (che non entra nemmeno a partita in corso) e Anderson stesso. Al 60′, in modo estemporaneo, frutto di una punizione guadagnata da Pellegrini, Zaccagni segna su punizione da distanza siderale, insaccando la sfera alla destra di Cragno, con una traiettoria radente, a fil di palo, che rende il tiro imparabile. La Lazio fa 1-0 ma, neanche il tempo di prendere l’abbraccio sotto la Curva Nord che, al 66′, complice una difesa molto statica, il Sassuolo pareggia con una punizione calciata da Thorsby che cade leggermente defilata nell’area di rigore: Viti non deve far altro che insaccarla, con Provedel già battuto. A venti minuti dalla fine arriva il momento di Immobile e Lazzari (poco prima erano subentrati anche Guendouzi e Rovella) ma la Lazio fatica a trovare la via del gol, decisamente poco incisiva. All”84 l’occasione più grande arriva sui piedi di Immobile che, uno contro uno contro Cragno, sbatte contro i guantoni del portiere, confermando l’annata complessa dell’attaccante della Lazio. Per il Sassuolo, Laurienté rischia, nel finale, di rovinare la festa del pari – che per la Lazio significa Europa League – ma il tiro termina di poco sul fondo.
Dopo il triplice fischio, termina così la stagione biancoceleste, con numerosi bassi, qualche sprazzo di bel gioco, comunque lontani dalla splendida condizione che si era vista l’annata precedente. I calciatori salutano l’Olimpico – e quindi la stagione – con un settimo posto e le chiavi per l’accesso alla prossima, rivoluzionaria Europa League a 36 squadre. I tifosi, invece, lasciano lo stadio con le lacrime agli occhi per il congedo di Felipe Anderson (e chissà se qualche altro senatore lascerà in estate) e la consapevolezza che la strada della rifondazione sia quella più rischiosa ma, al contempo, necessaria per far sì che questa squadra possa tornare competitiva e aspirare ai primi quattro posti.