Covid19: il silenzio assordante delle periferie romane. Decalogo FOFI per farmacie in affanno

Colle Salario, osservatorio periferico situato a nord-est della Capitale denominato “la piccola New York”, campa alla giornata. Così convien che sia. Nel forzato esilio domiciliare, il pensiero vola insieme alle volute aeree degli uccelli in cerca disperata di cibo. Il supermercato e la farmacia diventano gli unici riferimenti.La banca è una meta andata perduta in quanto da tempo trasferita nel limitrofo quartiere della Serpentara, al pari dell’ufficio postale che si trova dabbasso a Fidene.
Chi può espleta online gli adempimenti amministrativi, mentre gli anziani più arzilli se la fanno a piedi o negli autobus, che si avvicendano in continua frequenza, quasi o completamente vuoti. Poi lesti a casa per rispettare le regole e non essere fermati dalle forze dell’ordine. Casa, dolce casa, mai tanto amata e tanto odiata, incollati davanti alla tv a sentire le ultimissime della giornata che non saranno mai le ultime.
Padroni incontrastati della strada restano i dog-sitter, gente di ogni età, solite figure che, con la legittima scusa di sgranchirsi le gambe intorpidite dalla forzata immobilità, fanno lo struscio su e giù con quei poveri cani visibilmente assonnati che non ce la fanno più ad essere portati continuamente a spasso!
Lavorare in sicurezza: farmacie non protette
Veniamo al punto che ci preme e che appare indubbiamente assai vitale sia per l’esercizio farmaceutico che per noi utenti. Le farmacie dovrebbero essere considerate dei presidii sanitari e non semplicemente esercizi di pubblica utilità.
Si tratta di una categoria tanto importante ma altrettanto scarsamente considerata, per la quale non ci si è preoccupati di aggiornare lo stato di sicurezza e al cui interno lavorano professionisti che vengono incontro ad ogni nostra capillare esigenza e che non possono mettere a rischio la loro vita per l’insipienza di alcuni in questo particolare momento.
È da tenere, infatti, presente che gli utenti della farmacia possono essere soggetti asintomatici che trasmettono il virus involontariamente. Ci si chiede allora se non sia strettamente necessario per tale categoria continuare a lavorare “a battenti chiusi”, come avviene per altre attività a contatto con il pubblico.
La FOFI, Federazione Ordini Farmacisti Italiani con sede a Roma, si è rivolta a nome del suo presidente, Andrea Mandelli, al Ministero della Salute, al Dipartimento della Protezione Civile e a tutte le Regioni al fine di ribadire la necessità di adottare subito misure di protezione per questa categoria che lavora h24 anche nei giorni festivi.
Per offrire un supporto informativo concreto la FOFI ha messo a punto un suo Decalogo che è possibile visionare in internet, dove in sintesi sono state avanzate le seguenti richieste:
- indicazioni operative, condivise ed uniformi su tutto il territorio italiano;
- misure organizzative da consentire un accesso alle farmacie con modalità idonee ad evitare assembramenti;
- idonee procedure volte a facilitare l’erogazione dei farmaci al fine di poter consentire un’efficiente gestione delle prescrizioni;
- apposite misure di protezione individuale di cui all’art. 5 del D.L.223/2006 convertito, con modifiche, dalla L. 248/2006;
- disciplina delle esportazioni dei medicinali, di dispositivi medici e presidii medico-chirurgici, al fine di prevenire situazioni di rarefazione dei prodotti sul territorio nazionale.
Infine, la FOFI emana un chiarimento circa i profili di responsabilità del datore di lavoro della farmacia per contagio da Covid-19 del dipendente, i cui termini vengono limitati al D.L. 81/2008.
Chi c’è e chi non c’è
Detto quanto ci premeva sottolineare, vero è che gli abitanti del Colle si stanno comportando in modo assai consapevole, offrendo un’ottima risposta alle regole da osservare. Ma c’è sempre qualcuno con la testa dura che tarda a capire la gravità della situazione, ritenendo di essere invincibile contro un qualcosa che sembra immaginario perché non si vede e non si sente.
Come la coppia avvinta in un tenero abbraccio e senza protezione di sorta o la fanciulla che in farmacia va a chiedere candidamente e senza alcuna protezione i dischetti detergenti per il trucco come fossero pane quotidiano. Sono quei pochi incoscienti, i potenziali “untori” della peste del nostro secolo.
Di conforto invece la maggior parte di quei giovanissimi, che sembra abbiano realizzato in questa contingenza una nuova dimensione, quella di poter indossare la loro brava mascherina, quasi un simbolo che li fa sentire uguali e partecipi alle azioni dei grandi, fieri di un comune senso di responsabilità che li reintegra in quel mondo adulto che avvertivano come “alieno” in tempi normali, quando se ne restavano chiusi nella loro cameretta a ricamare giaculatorie virtuali con gli amici.
Peraltro, non lamentiamoci se nel cauto ottimismo di una frenata dei contagi al nord Italia, faccia seguito il giorno dopo un’ulteriore sterzata in tutto il Paese delle misure esistenti. Gli ospedali del nord sono al collasso. I deceduti nelle zone rosse viaggiano su carri militari in lunghissima teoria come carne da macello da gettare nelle fosse comuni, similmente ai campi di concentramento nazista.
Tutti insieme ce la faremo. Ma fermiamo tutti quei servizi, tutte quelle fabbriche e attività non essenziali. I cannoni adesso non ci servono, non ci servono parrucchieri, non serve lo spremiagrumi né una nuova t-shirt. Servono mascherine e apparecchi respiratori, servono medici volontari e infermieri che hanno già risposto in migliaia specie dal sud, disposti a rischiare la loro incolumità.
Un sud, come quello della Capitale, dove si sta allargando il contagio con persone scomparse di cui non si conosce con esattezza se a causa del coronavirus o per malattie pregresse, mancando un preciso monitoraggio di quanti circolano in strada soprattutto per scarsezza di forze dell’ordine impegnate a disbrigare le varie emergenze telefoniche. Siamo peraltro assai convinti che anche l’aggravarsi di pregressi problemi di salute dei più anziani sia causato da tutto questo inatteso e incredibile stato di cose.
Cantiamo pure e balliamo sui nostri balconi, sfoderiamo bandiere tricolori con gli slogan “Andrà tutto bene“. Sicuramente ce la faremo, ma “cum grano salis“, tutti quanti insieme, cercando di offrire il nostro cosciente contributo per arrivare indenni il più possibile alla fine del picco.
Ci serve tanta e poi tanta pazienza, chiusi in casa a togliere le ragnatele dal soffitto e dai nostri cuori un po’ stanchi.