Quattro mesi senza Facebook per insulti razzisti

A Portogruaro quattro cittadini italiani non potranno usare Facebook per sei mesi dopo aver scritto commenti razzisti nei confronti di alcuni migranti.
Le frasi e la pena
«Bisogna aiutarli, ne ospitiamo uno in ogni casa e li laviamo con la benzina e poi li asciughiamo col lanciafiamme e tutto è risolto», ma anche «Gente sporca, devono morire, se trovo uno di loro gli verso dell’acido di batterie così capiscono che non li vogliamo» e ancora «Diamo fuoco al palazzo con loro dentro». Queste alcune delle frasi che i quattro incriminati hanno scritto sul social network, riferendosi ad alcuni migranti, colpevoli non si sa bene di cosa, ma che secondo loro dovevano comunque essere uccisi, addirittura arsi vivi. La pena prevede che i quattro non utilizzino Facebook per sei mesi, anche se le modalità tramite le quali questo divieto sarà messo in atto non sono molto chiare. Inoltre dovranno leggere libri e guardare film con cui comprendere la situazione umana dei migranti per poi sostenere delle vere e proprie verifiche al fine di dimostrare se hanno compreso o meno lo sbaglio commesso, ma anche scrivere regolarmente delle riflessioni su quanto hanno fatto. Infine è previsto il pagamento di una multa da 200 euro e lo svolgimento di lavori di pubblica utilità per quattro ore la settimana. La legge violata è la Mancino, con l’aggravante della discriminazione razziale.
Una giusta decisione?
Credo che sia estremamente ovvio e giusto controllare questi casi di discriminazione prima che, come temo stia già accadendo, l’abitudine a commenti di questo genere ci porti totalmente all’indifferenza, poiché diventati una cosa “normale”. In fondo, in quanti di noi leggono tali esternazioni sui social network ogni giorno? Bisogna anche considerare che la possibilità di intervenire è estremamente limitata: la segnalazione a Facebook non porta sempre all’eliminazione del commento o al ban dall’utilizzo della piattaforma, inoltre una tale negazione non serve a nulla, nella maggior parte dei casi i segnalati, quando beccati, fanno un account nuovo con credenziali diverse e ricominciano da capo. Nei casi restanti non viene posto alcun limite dal social network, oppure, come già capitato, le segnalazioni in massa portano a “processi sommari” per cui una pagina, come già capitato, viene chiusa senza un’attenta analisi dei contenuti, non a caso a rimetterci maggiormente sono pagine che fanno satira senza incitare all’odio o al razzismo.
Tuttavia in questo caso a decidere non è stato un algoritmo, ma un organo della giustizia. Eppure la decisione mi ha comunque fatto riflettere, portando alla mente due immagini. La prima, probabilmente forzata, ma ovviamente impulsiva e incontrollabile, è stata quella di Alex, il drugo protagonista di Arancia Meccanica, il celebre film di Stanley Kubrick, che viene posto con la forza di fronte alla proiezione di immagini violente prese dalla realtà ed ha dei dilatatori speciali negli occhi che lo obbligano a guardare. Alla fine del film, insieme anche ad altri procedimenti, il risultato è che Alex non è più in grado di commettere alcun tipo di violenza, ma ha dovuto rinunciare a ciò che lo rendeva umano, la capacità di decidere tra giusto e sbagliato, la possibilità di riflettere sul fatto e prendere una decisione in modo consapevole. Il secondo pensiero, più ragionato, è stato quando alle medie se qualcuno della mia classe prendeva in giro un nostro compagno la professoressa di italiano ci faceva fare un tema a riguardo. Il risultato era che tutti scrivevano quello che l’insegnante voleva leggere ed i voti alti fioccavano.
Proprio da questo spunto di riflessione vorrei riflettere sulla pena che è stata decisa per i quattro commentatori. Come si può verificare che si siano veramente pentiti, o meglio, che abbiano veramente compreso quale fosse l’errore nel gesto compiuto? Potrebbero benissimo scrivere quello che ci si aspetta di leggere per poi tornare sul social network e ricominciare da capo. Qualcuno pensa che almeno la multa e le ore di lavoro pubblico possano servire a qualcosa? Non credo proprio, perché se anche smettessero, nella più remota delle ipotesi, di postare commenti razzisti su Facebook, potrebbero comunque farlo a voce in qualsiasi altro momento della giornata, con il rischio da tenere in considerazione che la loro rabbia possa aumentare e sfociare in qualche atto peggiore, come l’aggressione alla prima persone di origine africana che incontrano per strada.
Credo la che soluzione migliore sia il rapporto con l’essere umano. La migliore arma per combattere questo tipo di discriminazioni da quattro soldi, foraggiate esclusivamente da notizie false prese a caso da internet, o da articoli che riportano crimini compiuti da persone non italiane, è proprio l’essere umano. Le idee non si possono ficcare in testa come un chiodo nel muro, non è possibile né tantomeno corretto, poiché la persona è tale solo se ha un proprio pensiero. Pertanto credo che la soluzione vada pensata in un altro modo e puntare sull’arma migliore: il dialogo. Porre questi quattro individui a contatto con gli abitanti del centro di accoglienza di Portogruaro, farli ascoltare a vicenda, creare un dialogo biunivoco che porti alla comprensione. Un fatto è ancora “più vero” se ascoltato da chi l’ha vissuto piuttosto che recepito tramite un film in televisione o con la lettura di un libro. Solo attraverso questi strumenti si può far capire che in realtà il razzismo è una cosa inutile, che non esiste, che l’unica razza è quella umana e che nessuno persona può meritarsi di bruciare viva. Proprio per questo temo che la pena decisa non migliorerà affatto la situazione, anzi, non farà che peggiorarla.