È giusto dare del razzista a Salvini?

Salvini viene costantemente etichettato come razzista, ma questo deriva dal fatto che vuole fermare l’immigrazione clandestina? Se un ministro dell’interno adotta misure volte a fermare fenomeni illegali è un razzista o sta solamente svolgendo il proprio lavoro? Proviamo a rispondere di seguito a questi quesiti.
Cos’è il razzismo?
Il razzismo è fondamentalmente di due tipi: biologico/scientifico e culturale. Il primo, fortunatamente, appartiene al passato. Esso riguardava tutti gli studi “scientifici” il cui fine ultimo era quello di dimostrare la superiorità di una razza a discapito di un’altra, inferiore, cercando di giustificare tali valutazioni con teorie pseudoscientifiche. Esso è nato nel XVIII secolo e terminato intorno al periodo successivo alla seconda guerra mondiale, termine dopo il quale viene politicamente e scientificamente rifiutato, seppur continua, in casi minimi, a sopravvivere. Il secondo tipo di razzismo, culturale, si giustifica sulle differenze tra le culture, irriducibili tra loro, e pertanto motivo di incompatibilità tra diverse etnie (termine che ha sostituito razza). Proviamo ora ad analizzare il processo della sua nascita: esso deriva dallo stereotipo, in particolar modo quando questo si “cristallizza”, durante il processo di percezione, tramite il quale la nostra mente rielabora i “dati” che riceve; per cui si arriva ad etichettare degli individui come meri rappresentanti dell’etnia a cui appartengono per poi diffondere all’intera etnia i comportamenti o pensieri dei singoli con cui per primi siamo entrati a contatto. Per fare un esempio: poniamo che un tedesco abbia in mente lo stereotipo dell’italiano incivile e veda per strada un cittadino italiano sputare in terra e buttare sigarette dappertutto, egli inizierà a pensare, se non si sforza di pensare che, semplicemente, non si può fare di tutta l’erba un fascio, specialmente con gli esseri umani, che tutti gli italiani sono degli incivili; se poi agirà o penserà in base a questa idea, allora sta facendo del razzismo.
Un occhio al passato recente
Obiettivamente Salvini non è poi così ingiustamente tacciato di razzismo, anzi. Il caro Matteo ci ha abituati da tempo a quelli che sono i suoi modi di fare politica e raccogliere consenso intorno a sé. Ben nove anni fa festeggiava il suo traguardo politico dedicando un coro poco felice ai napoletani, definendoli puzzoni, colerosi e terremotati (qui il video). Nel gennaio 2017 ha affermato, riguardo ai migranti, che «Bisogna salvare chiunque in mezzo al mare, ma poi riportarlo indietro. Bisogna scaricarli sulle spiagge, con una bella pacca sulla spalla, un sacchetto di noccioline e un gelato». Sorvolando sulla “comicità” fatta sulle spalle di persone che muoiono in mezzo al mare, non credo serva fare un’approfondita analisi linguistica per capire il senso velato delle noccioline. L’apice senza dubbio l’ha raggiunto nell’agosto del 2016 «Quando saremo al governo polizia e carabinieri avranno mano libera per ripulire le città. La nostra sarà una pulizia etnica controllata e finanziata, la stessa che stanno subendo gli italiani, oppressi dai clandestini». Per pulizia etnica si intendono atti violenti con cui eliminare una minoranza etnica da uno stato al fine di preservarne la “purezza”. Il termine richiama subito episodi vergognosi della storia come quelli attuati durante la guerra in Jugoslavia, o peggio ancora i piani di pulizia etnica ideati da Hitler. Nella serata tra 13 e 14 novembre 2015, appena dopo gli attentati terroristici di Parigi, i più gravi nella storia europea, Salvini ha twittato «Hollande: ‘Chiudiamo le frontiere’. E #Renzi? Dorme», approfittando subito della paura delle persone cercando di convogliare la loro percezione del pericolo verso i migranti che provengono dall’Africa.
Dalle urla della prima Lega Nord alla legittimazione
Il leader del Carroccio ha iniziato con il razzismo più becero, quello sopra citato, molto più simile ad un coro da stadio che ad un discorso politico, per poi passare lentamente ai tweet ed ai post su Facebook con cui, velatamente, legittima le proprie dichiarazioni giustificandole con questioni di sicurezza. Di ciò gli va dato atto. Con il tempo, soprattutto con i successi elettorali, non solo ha abbandonato la felpa passando al completo blu scuro, di certo più adatto ad un ministero, ma ha saputo legittimare l’odio razzista giustificandolo con la tutela pubblica. Nel corso degli anni ha sfruttato la percezione pubblica e diffusa di terrore, data sia dagli attentati terroristici di matrice islamica (in Italia non ci sono mai stati fino ad ora), sia dai cambiamenti economici in atto. La percezione di pericolo non deriva infatti solamente dalla propria salute fisica, dunque il rischio di morire mentre si torna dal lavoro o mentre si sta assistendo al concerto del proprio gruppo preferito, ma soprattutto dal timore di perdere il proprio lavoro e rimanere dunque senza un reddito, magari con dei figli. Proprio “premendo” su questi tasti il suo razzismo ha mutato forma ed è diventato “governo del buon senso”. I napoletani non sono più colerosi e tutti i mali dell’Italia derivano dai migranti (nonostante la criminalità sia in calonegli ultimi anni, in particolare sono diminuiti omicidi e furti, come dichiarato dal ministro dell’Interno Minniti, il 36,4% delle notizie riguarda la criminalitàin Italia), i quali sono diventati nell’ottica comune un pericolo fisico o coloro che «ci rubano il lavoro». Questi sono stati delegittimati, disumanizzati: non esistono più le persone, sono semplicemente migranti o clandestini (solo nelle ultime dichiarazione dell’attuale Ministro dell’Interno sembra sia importante la distinzione) che rappresentano un potenziale pericolo per l’Italia.
L’uso sapiente della propaganda
Ciò non basta, perché non convinci il 17% degli elettori in Italia a votarti solo dicendogli che i migranti sono criminali. Matteo Salvini, ma soprattutto il suo staff, sa bene come utilizzare i mezzi di informazione e sceglie in modo particolarmente accurato le proprie parole: enfatizzare in modo esagerato un problema e trovare un colpevole, questa dichiarazione del 5 marzo ne è l’esempio «Il PD ha trasformato l’Italia in un campo profughi», anche se nei primi sei mesi del 2018 gli sbarchi sono diminuiti dell’80%. Oltre a ciò crea empatia, almeno a livello affettivo, con il proprio elettorato, infatti moltissimi dei propri post iniziano con affermazioni con cui si identifica con il comune cittadino italiano o con i padri di famiglia. Molto sapientemente ha attirato verso il proprio partito anche vecchi elettori che mai avrebbero pensato di identificarsi con le sue idee. La legittimazione ha avuto modo, infatti, grazie ad una sorta di travestimento ideologico con cui Salvini è diventato quasi trasversale, in un unico grande fronte che ritiene i migranti e gli zingari essere la prima causa di tutti i problemi di Italia, dalla sicurezza pubblica alla disoccupazione e gli elogi a De André rientrano in questo processo: il cantautore genovese si è sempre distinto per la vicinanza agli ultimi e in particolare ai discriminati, prostitute e zingari ad esempio (i Khorakhané, da cui prende il titolo una canzone di Faber, sono una tribù rom musulmana, praticamente il centro di raccolta del male del mondo secondo Salvini); da qui non è derivato l’effetto aspettato, ovvero le accuse di incoerenza, ma ulteriore consenso generato dal pensiero secondo il quale chi sbaglia effettivamente è chi lo accusa di essere razzista e di fomentare l’odio. La ciliegina sulla torta, però, ancora mancava: il giuramento sul vangelo, in cui Salvini ha giurato che avrebbe applicato la costituzione rispettando i princìpi presenti nel vangelo su cui posava la sua mano, chiedendo alla folla astante di giurare insieme a lui. Superfluo dire che in un colpo solo si è attirato praticamente tutto l’elettorato cattolico di destra, nonostante la scena fosse a dir poco grottesca.
La risposta alla domanda di apertura? «Sì».