Testimonianze dalla Cop28
La crisi climatica comprende ormai tutti i livelli di quotidianità. All’alba del 2024, dopo un anno, il 2023, registrato come il più caldo di sempre, qualsiasi lavoro può essere reso “climate job” se fatto in un certo modo, soprattutto in paesi che non sono molto avanti sulle politiche per il clima, come l’Italia. È in questo “grande lavoro culturale da fare” che entra in campo Protect Our Winters: la NGO che si si occupa dell’impatto dei cambiamenti climatici sulle aree montane, nasce nel 2007 negli Stati Uniti dalla mente dello snowboarder professionista Jeremy Jones. POW Italy viene invece fondata nel 2020 da Linda Schwarz e Carmen Geyr insieme ad altri 10 appassionati del mondo outdoor.
Siamo stati all’open call organizzata da Generazione Prossima “Cop28: e quindi?” con ospite Sofia Farina, Presidente di Protect Our Winters Italia e Observer alla Cop28 di Dubai.
Sofia è una fisica dell’atmosfera e una dottoranda in meteorologia alpina presso l’Università di Trento. Come comunicatrice e attivista si è occupata di cambiamento climatico, analizzando in particolare l’area alpina. Da settembre a dicembre 2023 ha preso parte alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Dubai, come reporter per la Youth Press Agency della NGO brasiliana Viracao e Jangada, che da dodici anni porta un gruppo di ragazzi e ragazze alla Cop come observer. In Italia il progetto è aperto ai ragazzi residenti in Trentino. Prima di tutto si fa una selezione dei candidati in base alle competenze. Quest’anno, sono state selezionate sei persone tra fisici atmosferici, biologi, esperti di diplomazia internazionale e giornalisti. Stare dietro ai molti argomenti affrontati durante una Cop non è un lavoro facile. Motivo per il quale un gruppo di reporter necessita di figure esperte in differenti settori. Il gruppo ha cominciato il percorso a settembre con un percorso intensivo di formazione.
Dentro la Cop28: come funziona una conferenza sul clima?
La Cop di quest’anno è stata “particolarmente sentita” per due motivi: da una parte, nel 2023 tutto il pianeta ha risentito della crisi climatica e di conseguenza, c’è stato un passaggio drastico da “non esiste il cambiamento climatico” all’accettare che in realtà c’è. Ma nonostante si fa ancora fatica a dare la colpa all’uomo, nel documento finale approvato alla Cop28, per la prima volta, questa colpa è stata scritta in una dichiarazione firmata da tutti i paesi partecipanti. Dall’altra, la nomina a Presidente della Cop del Sultano Ahmed al-Jaber, AD della principale compagnia petrolifera degli Emirati, ha suscitato non poche proteste, tra cui la nascita di molti movimenti di boicottaggio e l’assenza di attivisti importanti tra cui la più nota Greta Thunberg.
La Cop28 è stata una delle più grandi degli ultimi anni, con circa 90mila badge rilasciati. Come spiegato da Sofia Farina, per passare da una zona all’altra si impiegavano anche tre ore. Ogni partecipante aveva a disposizione un badge di riconoscimento in base all’incarico (observer, membro della delegazione, negoziatore, membro ONU, membro NGO ecc). In base al badge si poteva accedere in determinate aree e in altre no. Le Observer Organization comprendevano sia organizzazioni governative che non (dai sindacati, agli istituti di ricerca fino ai lobbisti) mentre l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) aveva un suo padiglione. Come ci ha spiegato la Presidente di POW Italia:
«La Cop è come una fiera con i suoi padiglioni distinti e in questo contesto il ruolo degli osservatori era quello di parlare e interagire con gli altri partecipanti. Un Observer non può dire la sua in una plenaria ma può partecipare alle conferenze stampa e fare domande, anche se i membri della stampa hanno la priorità, possono interagire con delegati e partecipare al corteo degli attivisti, che quest’anno è stato più ridotto e limitato all’interno dell’area riservata ai soli possessori di badge, a causa delle politiche degli Emirati Arabi. Abbiamo avuto diverse occasioni anche per parlare con i membri della delegazione italiana.»
Un mondo frenetico quindi quello della Conferenza, in cui “si fa di tutto per sfruttare ogni minuto che si ha per parlare con personaggi rilevanti” e nonostante l’ambiente poco activist friendly, anche quest’anno il mondo dell’attivismo ambientale è riuscito comunque a portare la propria voce all’evento, seppur con una presenza ridotta.
Cop28: grande fallimento o grande successo?
Il racconto di un’esperta in materia come Sofia Farina, ti porta inevitabilmente a fare una riflessione su quanto accaduto alla Cop e all’approvazione di un testo che in rete ha affrontato differenti giudizi:
«Anche noi, con la nostra visione da attivisti ambientali e un’idea chiara sul clima, abbiamo dovuto riflettere su quanto accaduto in quelle due settimane: molti ci accusavano di non averla boicottata, altri invece ci hanno visto una speranza, quella che anche noi abbiamo visto dai tre minuti di applausi che ci sono stati quando è stato approvato il testo finale. La bozza finale è arrivata in ritardo, verso le sei di mercoledì mattina, dato che quella di martedì era inaccettabile. Non si parlava di argomenti importanti come i fossili e aveva creato grande sconforto. Sono stati due giorni pesanti quelli in attesa del documento definitivo. Stare lì ti permette di capire i pensieri delle varie delegazioni: abbiamo assistito ad una continua autocelebrazione della presidenza, per ogni “minimo successo” dei vari giorni.»
Ma come rimarcato anche dalla Presidente di POW Italia, nel documento finale c’è una forte assenza di parole fondamentali, dal profondo significato politico: non si parla di “phase-out” e di “transitioning away” ovvero “l’eliminazione graduale del fossile transitando fuori dai combustibili fossili nei sistemi energetici”. Secondo la visione di Al Jaber, l’eliminazione graduale del fossile è possibile solamente tramite le CCS (Carbon Capture and Storage) ovvero quelle che possiamo definire “l’arma principale della lobby del fossile”. In pratica, tramite queste tecnologie, le emissioni derivate dal carbone vengono compensate tramite la cattura e lo stoccaggio di carbonio. Dunque, siccome esistono queste tecnologie che abbattono le emissioni determinate dalla loro estrazione e utilizzo, allora si può continuare ad estrarre. E a questo punto già abbiamo una visione del futuro che ci aspetta paradossale e completamente sconnessa dalla realtà. Le tecnologie CCS vengono promosse dai lobbisti alla stampa come se fossero “tecnologie pronte all’utilizzo”. Al contrario, stiamo parlando di strumentazioni costose e ancora in fase di sperimentazione e che tra l’altro abbattono solo una parte delle emissioni (quelle delle estrazioni) e non le restanti, come quelle delle auto.
C’è speranza?
Ma nel documento finale Sofia Farina ci ha riportato anche degli elementi positivi. Prima di tutto, per la prima volta si è parlato dell’interazione tra la salute del nostro pianeta e quella degli esseri umani: l’Organizzazione Mondiale della Sanità è riuscita ad avere per la prima volta un ruolo fondamentale nel discorso sul cambiamento climatico, dimostrando come ogni anno molte persone muoiono a causa dell’inquinamento. Inoltre, c’è stata una giornata dedicata ai giovani e ai bambini e una dedicata ai sistemi alimentari nel mondo: sono stati firmati due documenti che hanno promosso varie azioni nei sistemi alimentari e per combattere la fame nel mondo, intervenendo sia sul settore alimentare che ogni anno rappresenta circa il 30% delle emissioni globali di gas serra e sia sugli eventi climatici che ogni anno danneggiano le piantagioni nel mondo. E parlare del settore alimentare in queste due direzioni è sicuramente un progresso. Tra i tanti argomenti è stato affrontato anche quello riguardante la riduzione delle emissioni del trasporto su strada e quello riguardante i diritti umani, inseriti nella parte delle premesse sul documento finale. Come già rimarcato, nelle 24 pagine del documento tutte le parti sono state d’accordo sul fatto che “il cambiamento climatico è causato dall’ uomo” e per la prima volta dopo Parigi si è fatto un bilancio sull’effettiva applicazione delle politiche sul clima nei vari paesi, prendendo atto che “non abbiamo fatto abbastanza”.
Il solo fatto che le organizzazioni mondiali hanno capito solo alla fine del 2023 due dati di fatto così importanti, è sicuramente grave e dimostra che la politica è indietro su quello che ci dice da anni la scienza.
Cosa aspettarsi dal futuro? Dalla Cop29 al ruolo dell’Italia
La prossima Cop ci sarà a novembre del 2024 nella capitale dell’Azerbaigian, Baku. La cattiva notizia? Anche la Cop29 sarà guidata da un petroliere: Mukhtar Babayev, attuale Ministro dell’Ambiente e che per 14 anni è stato alla guida della compagnia petrolifera di stato, la Socar. La zona del Caucaso verrà rappresentata da uno stato scelto con il lasciapassare della Russia, dopo la bocciatura della candidatura di Sofia. Uno stato, quello dell’Azerbaigian fortemente dipendente dagli idrocarburi (il 50% del prodotto interno lordo) e in cui la libera espressione è fortemente limitata, al pari degli Emirati Arabi. Non ci aspettiamo quindi grandi miglioramenti. E in Italia? Come si può procedere a livello istituzionale? Una domanda importante in un’open call come quella di martedì sera, organizzata da un gruppo di giovani attivi nel campo della politica. A risponderci è sempre Sofia Farina:
«Come scienziata e attivista, in Italia il lavoro principale da fare è educativo perché siamo molto indietro su questi temi. C’è una scarsa consapevolezza del cambiamento climatico e questo si vede soprattutto nella linea politica nazionale. Già la presenza italiana alla Cop è stata problematica: dal Ministro all’ambiente che non sapeva comunicare in inglese, all’ inviato per il clima che non sapeva come funzionasse il suo incarico. Il livello di disinformazione in Italia è altissimo. Non si investe neanche nelle strutture dedicate: stiamo parlando di un problema mondiale che per essere gestito ha bisogno di tantissimi fondi e investimenti.»