Impresa e ESG: da “command and control” a sistemi di relazioni

La sostenibilità (parola oramai talmente usata che si corre il rischio di privarla di senso) è il banco di prova su cui da anni si gioca il vantaggio competitivo e reputazionale delle società avanzate, o quantomeno lungimiranti. Mauro Magatti dice che la sostenibilità è il nuovo baricentro della società, riconoscerne la centralità significa riconoscere che tutto è in relazione con tutto. Un grande sistema di interferenze, per il quale non c’è prosperità economica senza inclusione sociale; la crescita deve fare i conti con l’ecosistema; che l’interesse individuale sta sempre in rapporto col bene comune; la vita sociale non è mai riducibile ai coevi, ma è sempre un’alleanza intergenerazionale; che la diversità è una ricchezza se sa rispettare il bisogno di identità e di senso di appartenenza.
Da qui facile dedurre l’insostenibilità del modello di sviluppo economico e di benessere sociale fin qui conosciuto, e la necessità di innovazioni profonde, che soddisfino, attraverso nuove idee, modelli, prodotti e servizi, i bisogni sociali della collettività. Nasce da questa consapevolezza la necessità di riscrivere un nuovo ruolo sociale dell’impresa, soprattutto la necessità di esplicitare e rendere intellegibile nella mission di impresa quella di determinare impatto generativo sul miglioramento sociale.
È la nuova visione di integrazione sociale di impresa, che pone l’accento sulla relazione, sui sistemi di relazione, che intercorrono tra azienda e società. Affermare che il business e la società abbiano bisogno uno dell’altro può’ sembrare un luogo comune, ma le grandi imprese hanno bisogno di una società sana.
L’istruzione, l’assistenza sanitaria e le pari opportunità sono fondamentali per una forza lavoro produttiva. Le condizioni lavorative e la sicurezza dei prodotti non solo attraggono clienti, ma riducono i costi interni. L’utilizzo efficiente di suolo, acqua, energia e altre risorse naturali, accresce la produttività. Il buongoverno, il principio di legalità sono essenziali ai fini dell’efficienza e dell’innovazione. Severi standard legislativi rendono un’azienda più competitiva. In sintesi un’impresa non può perseguire i propri fini a spese della società.
La dipendenza reciproca che intercorre fra azienda e società implica che le decisioni di business e le politiche aziendali di carattere sociale si basino sul principio del valore condiviso o meglio sulla catena di valore dell’impresa che tocca le comunità.
L’interdipendenza tra un’impresa e la società assume due forme. In primo luogo quella dell’impresa che impatta sulla società con le proprie attività di business, Ma sono anche le condizioni sociali esterne ad influenzare le aziende, quello cioè che possiamo chiamare contesto competitivo. Ed è questo contesto competitivo che nel tempo ha acquisito un’importanza strategica maggiore. Nessuna impresa è in grado di risolvere tutti i problemi della società, né di sostenere i costi per farlo, ma ogni impresa può decidere come meglio orientare il proprio impatto sociale.
Questo impegno, che nel tempo abbiamo ascritto alla CSR, intesa come quel complesso di attività e iniziative che affiancano il business, sta via via lasciando il passo ad un impegno di tipo diverso che riguarda nello specifico la finanza, ma che è destinato a contaminare anche altri settori. Il cambio di prospettiva è stato dettato dal Taxonomy: Final Report of the Technical Expert Group on Sustainable Finance pubblicato dalla UE nel giugno 2020.
Un cambio di prospettiva, di focus, che comporta delle enormi conseguenze nel ripensamento delle strategie di mercato di aziende e istituzioni: l’Unione sposta l’esame della sostenibilità dal prodotto al produttore, dall’output all’identità. E lo rende uniforme e obbligatorio. Se prima era “ciò che fai” e “come lo fai” ad essere valutato, ora si tratta di rendere “ciò che sei” ESG compliant .
La sfida è quindi quella di costruire la ESG identity dell’azienda. La leadership aziendale dovrà identificare un nuovo paradigma di gestione in cui i parametri ESG siano integrati sia dal punto di vista strategico che operativo. E dovrà poi comunicarlo. Anche qui, le strategie di comunicazione finora adottate andranno riviste alla luce del cambiamento.
Incorporare i criteri ESG nel DNA di un’azienda richiede un percorso strutturato e strategico di lungo termine in cui management e comunicazione (esterna e interna) lavorano insieme per dare vita ad una nuova o migliorata identità aziendale. La costruzione di una ESG identity è in grado di garantire una presenza sul mercato più stabile e vantaggiosa, almeno sotto quattro punti di vista:
Un maggior focus ESG può aiutare il management a ridurre i costi di capitale e a migliorare l’appetibilità dell’azienda. Infatti, visto il numero sempre crescente di investitori che sceglie di investire in aziende con una performance ESG più forte, ci saranno capitali maggiori a disposizione.
Interventi positivi e trasparenza in materia ESG possono aiutare le aziende a proteggere il loro valore sul mercato, evitando oscillazioni legate alle iniziative di regolatori nazionali e nazionali di imporre ESG disclosures.
Gli sforzi per garantire pratiche sostenibili contribuiranno a mantenere la soddisfazione degli stakeholder nei confronti della leadership del consiglio di amministrazione. Bisogna infatti considerare che se sempre più investitori con un sempre maggior numero di asset under management si impegnano a investire in modo sostenibile, avranno più potere di voto per apportare cambiamenti.
Il più grande vantaggio dell’adozione di una identità ESG e della sua comunicazione è connaturato al concetto stesso di identità. Il modo di essere, il DNA dell’azienda è qualcosa che ha un orizzonte di lungo o di lunghissimo periodo. Può evolvere, certo, ma “essere” ESG compliant è una garanzia rispetto al fatto che il “fare” sarà di conseguenza ESG compliant. Le pratiche ESG fanno parte di strategie a lungo termine e ogni azienda ha bisogno di investitori che sostengano il purpose dell’azienda, la visione e i piani del management per il futuro.
Una ridefinizione di ruolo e di identità che può contribuire a qualificare questo tipo di interventi, non più soltanto come socialmente responsabili, ma come vere e proprie azioni di responsabilità civile, veri e propri ingranaggi del più vasto sistema di innovazione sociale. Anche questo determina un cambio di prospettiva.
Infatti gli aspetti che hanno caratterizzato da sempre la responsabilità sociale di un’azienda, sono state tradizionalmente attuate attraverso l’emanazione di prescrizioni legislative e attraverso il successivo controllo amministrativo del loro rispetto: un approccio conosciuto con il nome di Command and Control che, come richiama la definizione stessa, si compone di due ambiti. Il primo – il comando – si riferisce alla definizione di obblighi o divieti stabiliti dal legislatore o dall’amministrazione, per indirizzare un utilizzo efficiente delle risorse e ad un rispetto di standard di sostenibilità e di sicurezza. Il secondo – il controllo – attiene invece all’effettivo monitoraggio delle attività svolte dai soggetti regolamentati, ovvero alla verifica del rispetto degli standard definiti da enti di Controllo o Regolatori.
Negli ultimi anni l’approccio legislativo è gradualmente mutato ed è data particolare rilevanza alla Corporate Governance, uno strumento che favorisce l’autogoverno dei processi aziendali e la gestione di sistemi di autocontrollo da parte delle aziende per quanto riguarda gli obblighi di legge e dei requisiti di compliance. Questa nuova impostazione è guidata dalle politiche dell’Unione Europea, che tende a premiare le imprese più sensibili e moderne che vogliono andare oltre gli obblighi della prescrizione di legge applicando le norme internazionali che specificano i requisiti per la corretta gestione aziendale .
Caratteristica fondamentale risulta il fatto che i sistemi di gestione ed i modelli organizzativi non sono prescrittivi, cioè non specificano come il miglioramento debba essere ottenuto, ma forniscono un insieme di procedure per la partecipazione pro-attiva delle aziende nel miglioramento delle performance aziendali, stimolando così soluzioni più creative, eliminando l’approccio di tipo Command and Control tipico del precedente quadro normativo.
Il fatto che tra i pilastri fondamentali del Codice della Corporate Governance ci sia il tema della sostenibilità, inteso come l’obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”, rende chiara la direzione. La “sostenibilità” non ricomprende solo le questioni ambientali come il cambiamento climatico o la scarsità di risorse (come l’acqua, l’energia), ma significa molto di più, riguardando anche le questioni di governance societaria, l’etica aziendale, la trattazione delle tematiche sociali, le modalità produttive, la sicurezza dei prodotti realizzati– erogati, la sicurezza dei dati e delle informazioni, la gestione delle risorse umane e dei talenti dell’azienda, ovvero i fattori ESG (Environmental – Social – Governance).
In quest’ottica, ragionevolmente, il macro processo di identificazione, analisi, valutazione e gestione dei rischi correlati all’ESG, diventa esso stesso un obiettivo strategico per preservare e creare valore non solo per gli shareholder, ma anche per gli stakeholder.
Un modo di costruire una buona corporate citizen, in grado di definire obiettivi chiari e misurabili, monitorati nel tempo, e un sistema relazionale dello stakeholder engagement non solo come segno d di governance sostenibile, brand reputation, crescita solidale, ma anche come definizione di comunityholder, sia interne ( funzioni centrali, business, dipendenti) sia nella società (enti e organizzazioni del terzo settore, pubbliche amministrazioni, università, aziende).