Sesso in carcere: la privazione raccontata da un ex detenuto

La riforma penitenziaria approvata appena due settimane fa non prende minimamente in considerazione il diritto all’affettività, di cui devono fare a meno i detenuti degli istituti penitenziari italiani. A raccontare cosa significa vivere in questo stato di privazione è un ex detenuto C.V. che, rispondendo ad alcune domande, ci permette di cogliere più a fondo l’essenza dei diritti: cosa può scaturire non solo dall’esigenza ma dalla mancanza del «diritto ad essere amati» e del «diritto ad amare».
L’astinenza dal sesso: la pena nella pena. Cosa significa e cosa implica esserne soggetti?
Il sesso in carcere non esiste. Non è consentito praticarlo. La ‘desessualizzazione indotta’ applicata ai detenuti è una pena che si aggiunge alla pena intesa come condanna e rende la reclusione molto più disumana. È sicuramente una forma di tortura mentale e fisica celata in nome della sicurezza. Ad ogni modo il problema è che questo divieto viene esteso inevitabilmente anche alle compagne dei detenuti, pur non avendo commesso alcun reato.
Esiste un legame tra sesso e rieducazione e dunque reinserimento sociale?
Esiste un diritto ad essere amati. Esiste un diritto ad amare. Se l’amore è un bene, tutto quello che lo è sicuramente serve per la rieducazione del soggetto quindi per la sua risocializzazione. In Italia si continua a concepire il carcere come una ‘discarica sociale’ e nessuna forza politica ha il coraggio di cambiare le cose e di affrontare un tema che comunque riguarda tutti. Riguarda i detenuti, ma anche la società che dovrà riaccoglierli in qualche modo e continuare a ignorare il problema di certo non aiuterà a risolverlo.
Per l’opinione pubblica di questo paese il sesso è ancora un tabù, figurarsi il sesso in carcere. Perché è invece importante che si inizi a sostenere il diritto all’affettività?
La concezione del sesso di solito è molto condizionata dalle culture popolari e dalle religioni. Nel nostro paese quella cristiana ha influenzato molto la sessualità. I gusti di alcuni sono considerati devianze per molti. Il sesso in carcere oltre che un tabù è considerato un privilegio: quello che si deve capire è che in realtà è una necessità fisiologica tanto per i cittadini liberi quanto per i reclusi. La sessualità è un diritto e come tale deve essere trattata.
Perché in Italia il diritto all’affettività è così in ritardo rispetto ad altri paesi europei?
Tra i detenuti ci si chiede spesso perché si continui a lasciare la questione del vis a vis immutata praticamente da sempre. C’è chi dice che in carcere il sesso non è consentito perché “offenderebbe la morale del Papa”. I più complottisti pensano che proibendo il sesso si eviti la riproduzione e, quasi per una ‘selezione della razza’, si vorrebbe evitare che i criminali ne mettessero al mondo altri, come se fosse un male trasmissibile geneticamente.
Forse la risposta è che una classe politica troppo debole per affrontare argomenti scomodi come questo deve fare per forza leva sui populismi e, anziché guidare il paese verso un’evoluzione civile, si lascia guidare dalla retorica.
In Europa – ormai solo l’Italia e qualche altro paese si rifiutano di affrontare la questione – Spagna, Olanda, Belgio, Francia, Svizzera e Germania hanno affrontato il tema già da parecchi anni. Qui gli istituti penitenziari non vengono concepiti come ‘depositi di criminali’ a differenza dell’Italia, ma piuttosto come luoghi di rieducazione vera e propria.
Purtroppo da noi risulta difficile accettare che se un detenuto non viene trattato con civiltà i cittadini si ritroveranno sostanzialmente un criminale che, scontata la pena, tornerà ad essere quello che nella vita è sempre stato. In uno Stato di diritto si deve assolutamente tutelare la vittima dal crimine subito, ma successivamente ci si deve occupare di chi il crimine lo ha commesso. Bisogna far prendere coscienza del male a chi il male lo ha sempre vissuto con consuetudine e questo spetta a uno Stato che si fa carico di garantire un altro principio costituzionalmente garantito, cioè la rieducazione.
Quali altri disagi o conseguenze nascono dalla privazione del sesso?
L’abbandono volontario genera nel recluso un senso di frustrazione che lo porta a pensare di non avere debiti di riconoscenza nei confronti di nessuno e da qui il passo a commettere nuovi reati una volta uscito è breve.
L’astinenza dalla pratica sessuale fa si che i detenuti si avvicinino in modo ossessivo alla pornografia, usata per l’autoerotismo. Quando la pornografia diventa l’unico mezzo per la masturbazione si innescano processi mentali distorti o comunque innaturali e sicuramente pericolosi.
Per quanto riguarda le detenute invece pare siano addirittura molto diffusi i rapporti saffici, anche nel caso in cui le stesse non hanno mai manifestato prima di entrare in carcere desideri omosessuali. A Rebibbia si è verificato un evento importante lo scorso anno, quando è stato celebrato il primo matrimonio gay tra due detenute della sezione femminile. La coppia ha chiesto e ottenuto di poter condividere la stessa cella creando così un precedente storico in materia di affettività, ma contestualmente con tale concessione si è sancita una disparità di trattamenti tra etero e omosessuali.
Parli dell’omosessualità tra donne, gli uomini invece?
L’omosessualità accettata, sia al maschile che al femminile, è solo quella televisiva quindi artistica, purtroppo. Del resto si continua a valutare la persona in base a chi si porta a letto. C’è sicuramente tanta discriminazione e poca sensibilizzazione già a partire dalle scuole, dove spesso i professori fanno finta di non vedere e non sentire. Credo sia necessario partire proprio dagli ambienti scolastici, per esempio inserendo l’educazione sessuale come materia obbligatoria. Troppo spesso i genitori non riescono ad affrontare l’argomento sesso con i propri figli, o lo affrontano poco e male, quindi dovrebbe essere compito della scuola far capire ai ragazzi che un orientamento sessuale diverso da quello più comune non è da temere o da disprezzare.
La riforma penitenziaria da poco approvata dal Consiglio dei ministri non menziona minimamente il diritto all’affettività. In quale direzione va una riforma che non tiene conto delle esigenze e delle aspettative dei reclusi?
Si è progettato un grattacielo per poi costruire una capanna. L’affettività era addirittura considerata il fulcro della riforma quando fu concepita, ma è stata immediatamente scartata insieme ai tantissimi decreti non approvati. La politica teme il giudizio popolare, si nutre dei consensi. In politica contano i numeri e i carcerati sono una minoranza di cittadini, tra l’altro senza diritto al voto, quindi i politici cavalcano l’onda per restare in piedi. Con queste premesse non poteva finire diversamente. Tutto quello che di positivo si era pensato in favore dei detenuti è stato scartato per lasciare il posto al peggiorativo o comunque all’irrilevante. La codardia della nostra classe politica non ci consentirà mai di avere cambiamenti radicali che tengano conto delle esigenze dei detenuti, ma un cambiamento sarebbe necessario visto che l’ultima riforma dell’Ordinamento penitenziario risale al 1975.
Come resistono (o non resistono) i rapporti di coppia in questa situazione, soprattutto a fronte di condanne lunghe?
L’amore platonico è bello da leggere non da vivere. Il sesso è uno degli elementi fondamentali della coppia e quando viene meno non tutte le compagne dei detenuti aspettano il ritorno a casa del proprio uomo tessendo la tela come Penelope. Nelle carceri c’è gente che non pratica sesso da 30/35 anni o forse 40: nella maggior parte dei casi sono ergastolani e quindi gente destinata a morire da reclusi, perché, contrariamente a quanto si crede, con l’ergastolo dal carcere non si esce in vita. Anche i rapporti idilliaci perdono la loro alchimia man mano che il tempo passa, figuriamoci quelli già un po’ incrinati.
Nel diritto all’affettività rientrano sesso e affetti, insomma è il diritto a non sentirsi soli. Il distacco dagli affetti in generale rappresenta sicuramente una delle componenti più difficili da gestire durante la detenzione. Cosa significherebbe avere la possibilità di colmare, almeno in parte, questo vuoto?
Significherebbe non doversi accontentare di qualche bacio dato quasi di nascosto per l’imbarazzo di stare davanti ad altri detenuti durante il colloquio, significherebbe che la tua donna potrebbe sedersi sulle tue gambe senza che l’agente venga a dirti che non è consentito, significherebbe non essere costretti a passare solo 48 ore all’anno insieme alla persona amata e poterla sentire al telefono più delle 4 ore annuali concesse.
Questi sono gli orari in cui devi fare il marito, il padre, il figlio, il fratello. Se il tuo bambino ha la febbre, per non dire altro, e tu hai terminato i 20 minuti mensili previsti di telefonate, devi solo pregare che possa stare meglio perché tu non hai il diritto di saperlo, il tuo tempo è scaduto.
Il sistema penitenziario italiano non ha la sensibilità di mettere la persona, che comunque ha sbagliato, nelle condizioni di prendersi cura quanto meno degli affetti più cari.
Il detenuto sarà sempre un padre ad intermittenza. Un padre da vedere 4 ore al mese se è in un carcere vicino casa o se si ha la possibilità di raggiungerlo lì dove si trova, ma quasi sempre è fuori dalla regione di provenienza. Se la possibilità non c’è hai a disposizione solo 20 minuti di chiamata al mese da spendere in 2 telefonate.
Nelle carceri di altri paesi europei, oltre ad essere consentito il sesso, è possibile fare telefonate ai propri famigliari tutti i giorni, anche più volte al giorno, e le ore di colloquio previste sono di più. Il problema della sicurezza osannato dai nostri legislatori esiste anche in Spagna, in Belgio, in Olanda, ma viene gestito diversamente pur potendo accedere agli stessi mezzi.
L’Italia ha un tasso di recidiva molto alto e questo anche perché il modo di concepire la pena nel nostro paese altro non fa che incattivire ancora di più i criminali abbandonati a se stessi. Sarebbe giunta l’ora forse di prendere qualche esempio da quei paesi a cui noi troppo spesso diciamo che non hanno nulla da insegnarci?