Separazione delle carriere: arriva il si dal Senato

Il governo Meloni spunta un altro punto sulla lista delle cose da fare. Nel programma elettorale presentato ormai tre anni fa si leggeva al punto tre: “Riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario: separazione delle carriere riforma del CSM”. Oggi, con l’approvazione del disegno di legge costituzionale da parte del senato, questa promessa sta per diventare realtà.
Cosa è successo ieri
La giornata di ieri ha segnato un enorme passo avanti per il governo Meloni. La riforma della giustizia, che porterà il suo nome insieme a quello di Carlo Nordio, si avvicina alla battuta finale. Nel pomeriggio, infatti, il Senato ha approvato un disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere in magistratura: 106 i voti favorevoli, provenienti dalle forze di maggioranza e da Azione, contro 61 i contrari (PD e M5S) e gli 11 astenuti (Italia Viva).
Da dove si arrivava
Facciamo ora un piccolo passo indietro. Non è la prima volta che sentiamo parlare di separazione delle carriere. Quello di ieri è stato, infatti, il secondo passaggio di un iter già iniziato mesi fa alla Camera dei Deputati, che aveva approvato il testo a gennaio. La proposta nasce dalla volontà di distinguere nettamente tra le funzioni giudicanti e quelle requirenti, ovvero tra giudici e pubblici ministeri, con l’obiettivo di garantire maggiore imparzialità e trasparenza nell’azione giudiziaria.
Cosa prevede la riforma?
Sono diversi i punti che verranno toccati da questa riforma. Il più significativo, come già suggerisce il nome stesso, è la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. Ad oggi, l’articolo 104 della Costituzione stabilisce che: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.” La riforma proposta dall’attuale esecutivo interviene su questo articolo, prevedendo l’aggiunta di una precisazione importante: “È composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente.” Cosa significa questo concretamente? Oggi i giudici (che emettono sentenze) e i pubblici ministeri (che esercitano l’azione penale) fanno parte di un unico corpo, con la possibilità di passare (seppur con alcune limitazioni) da una funzione all’altra nel corso della carriera. Con la riforma, si sancisce una netta distinzione, con i due percorsi professionali separati fin dall’ingresso in magistratura.
Due CSM separati
Il secondo punto della riforma prevede la nascita di due CSM distinti. Attualmente il Consiglio Superiore della Magistratura è uno unico. Se la proposta di legge passerà definitivamente, a questo se ne sostituiranno due: il consiglio superiore “della magistratura giudicante” e quello “della magistratura requirente”. Entrambi continueranno ad essere presieduti dal presidente della Repubblica, ma un cambiamento si vedrà nelle modalità di scelta dei componenti dei due consigli. Se finora i membri erano eletti da parlamento, pdr e togati d’ora in poi saranno estratti a sorte. Spieghiamolo meglio. Essi saranno composti per un terzo da membri laici e per due terzi da togati; i primi saranno estratti a sorte da un elenco di giuristi predisposto dal Parlamento in seduta comune; i secondi saranno sorteggiati tra tutti i magistrati, giudicanti e requirenti, che avranno i requisiti che stabilirà una legge ordinaria successiva. I componenti dei due Csm “durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva”.
L’alta corte disciplinare
La riforma cambia anche la giustizia disciplinare. I nuovi CSM non avranno più competenze in materia di disciplina, che verrà affidata a un nuovo organo: l’Alta Corte Disciplinare. Questa sarà composta da 15 membri: magistrati e laici, con i primi in maggioranza, ma il presidente sarà scelto tra i laici. Le sue decisioni potranno essere appellate solo all’interno della stessa Corte, in diversa composizione, e non saranno più impugnabili in Cassazione.
Voci dall’esecutivo
Pochi minuti dopo l’approvazione in Aula, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato un post su X: “L’approvazione in seconda lettura al Senato della riforma costituzionale della giustizia segna un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione.” “Il percorso non è ancora concluso, ma oggi confermiamo la nostra determinazione nel dare all’Italia un sistema giudiziario sempre più efficiente, equo e trasparente.” In un videomessaggi ha poi aggiunto: “Penso che sia stata una giornata di risposte concrete, di risultati e di impegni che vengono mantenuti. Perché questo è quello che sappiamo fare meglio: rispettare la parola data e il programma che abbiamo presentato ai cittadini.”
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha commentato: “Ho realizzato una mia aspirazione che risale al 1995, quando da magistrato scrissi il mio primo libro sulla giustizia. Ci ho sempre creduto.” Ha poi aggiunto: “La seconda lettura dovrebbe essere rapida, poi andremo al referendum, che io auspico, perché una materia così delicata va sottoposta al giudizio degli italiani.”
Proteste dall’opposizione
I 61 no sono arrivati principalmente dal Movimento Cinque stelle e Partito Democratico, che hanno manifestato il loro dissenso con proteste in aula. I senatori pentastellati in particolare hanno sollevato dei cartelli accusando il centrodestra di strumentalizzare le figure di Falcone e Borsellino per giustificare una riforma che, a loro dire, affonda le radici nel progetto di Licio Gelli e di Silvio Berlusconi. I senatori del Pd, invece, hanno mostrato il testo della costituzione capovolta a simboleggiare il ribaltamento dei principi dell’ordinamento repubblicano.
La riforma si avvicina, ma per ora nulla è certo
Con il via libera del Senato il governo Meloni ha portato a casa un risultato politico di grande peso, che porta la riforma della giustizia sempre più vicina alla sua attuazione. Ora però, bisogna attendere il doppio passaggio parlamentare finale: una alla Camera e una al Senato, non prima di tre mesi da oggi. Se si raggiungerà il quorum dei due terzi, la riforma diventerà legge senza passare per il referendum. In caso contrario, saranno i cittadini a decidere, rendendo la giustizia uno dei temi centrali del dibattito pubblico nei prossimi mesi.