Ghost e Cloud kitchen, la ristorazione 2.0
La pandemia di covid-19 si è abbattuta come un cataclisma anche su due settori estremamente importanti per il tessuto economico del nostro paese, il turismo e l’ospitalità, con le disastrose conseguenze che il distanziamento sociale, come si può facilmente immaginare, ha comportato per questo tipo di attività.
La mobilità, elemento fondamentale per le suddette attività, è diminuita drasticamente, quasi fino a sparire in alcuni momenti, e rispondere a questo cambiamento non è alla portata di tutti. Eppure la ristorazione aveva già mostrato, con diversi anni di anticipo sulla pandemia, un mutamento: il food delivery.
L’era del food delivery
Con l’exploit delle innumerevoli piattaforme di distribuzione di cibo, come Just-eat, Deliveroo, Glovo e Uber Eats, durante questo annus horribilis per la ristorazione (37,7 miliardi di euro di perdite, secondo i dati della FIPE), la ristorazione digitale sembrerebbe essere l’unica strada veramente percorribile per chi vuole lanciare la propria proposta. Le Ghost kitchen sembrano essere nate per facilitare il trucco magico dell’ultimo decennio, ovvero la possibilità di interagire con il nostro device e ricevere il nostro Burrito 15 minuti dopo
Leggiamo sul report stilato dall’Osservatorio annuale sul mercato dell’online food delivery di Just-eat che nell’ultimo anno (2020) il 30% dei ristoranti ha scelto il digitale, con richieste di attivazione del servizio di 5 o 6 volte superiori durante il periodo di lockdown, portando il food delivery a rappresentare il 25% dell’intero settore del domicilio.
Un tempo relegato alle grandi città, il servizio di consegna a domicilio durante la pandemia si è diffuso a livello capillare su tutto il territorio, divenendo cruciale anche per le realtà di provincia, con una copertura del 66% per la popolazione nazionale e del 100% dei comuni con più di 50.000 abitanti.
Il nuovo linguaggio della ristorazione si appropria di termini tipici di un immaginario fantasy. Ghost, dark e cloud-kitchen: questi i nomi dei nuovi modelli di business che sono penetrati nel Food&Beverage e che ne stanno delineando le linee guida del futuro. Non si parla più di attività tradizionali che si affidano ai riders per consegnare i loro piatti; in questo caso si tratta di ristoranti senza sala che vivono esclusivamente come entità digitali. Ora le parole chiave per questo genere di attività sono: differenziazione, logistica e qualità.
Certamente, evitando una serie di costi, il nuovo ristoratore ha la necessità di puntare sulla qualità della materia prima, perché già attraverso questa si potrà raccontare il menu di cui farà parte, attraverso l’utilizzo dei social, piattaforme d’importanza strategica per queste nuove cucine. La logistica, quindi l’ottimizzazione del tempo, delle risorse economiche e delle materie prime, dovrà essere necessariamente studiata e progettata con molta attenzione, perché il rispetto dei tempi di consegna è uno dei fattori di maggior importanza affinché il cliente possa ritenersi soddisfatto. Infine, per poter avere speranza di successo in questo settore, bisogna sapersi differenziare. Da qui l’importanza di dover fare un’attenta ricerca di mercato onde evitare la replica di un format già attivo nell’area individuata per la futura apertura.
Nell’ultimo anno inoltre, la ristorazione digitale ha già assunto una forma nuova: durante l’autunno a Milano è nata la prima Cloud kitchen Italiana. Un’altra mutazione che questa volta si va ad intrecciare con il concetto di coworking. L’idea consiste nell’apertura, da parte di uno o più imprenditori, di uno spazio al cui interno verranno allestite diverse cucine professionali, dotate di tutto l’occorrente base. L’idea di dar vita ad un coworking di cucina ha diversi punti di forza per chi vuol dar vita ad un piccolo business di Ghost kitchen.
Quali vantaggi
I vantaggi di aprire in un contesto simile sono decisamente evidenti. I costi di avviamento iniziali, trovando una postazione già strutturata per il servizio di food delivery, sono molto contenuti. Il costo del personale, non avendo una sala, riguardano solo il personale di cucina, e di conseguenza ci sarà la possibilità di avere un’ottima marginalità sul venduto rispetto alle spese sostenute. Infine, all’interno di una cloud kitchen, il vantaggio principale è quello di poter testare la propria idea di cucina senza dover sottostare ad un affitto oneroso, e all’acquisto dell’attrezzatura necessaria. Inoltre, nel malaugurato caso in cui il business non dovesse decollare come supposto, un’eventuale chiusura potrà avvenire semplicemente alla scadenza del contratto stipulato, senza dover affrontare tutti gli aspetti più insidiosi legati alle dispendiose lungaggini amministrative riguardanti la cessione di un’attività.
In un mondo sempre più connesso e digitalizzato, questi differenti modelli di cucina “remota” stanno gettando le basi per quel cambiamento necessario a garantire sviluppo e penetrazione ai ristoratori in difficoltà a causa della pandemia e delle conseguenti chiusure, ai piccoli brand e ai ristoratori indipendenti.
Articolo a cura di Daniele Zito