Morire per un ideale: Jan Palach

Ferrogallico Editrice con la graphic novel “JAN PALACH – PRAGA 1969. UNA TORCIA NELLA NOTTE”, ci riporta a quel 16 gennaio del ’69, in Piazza San Venceslao; il freddo inverno cecoslovacco non fermò la Primavera di Praga, a fermarla ci pensò però l’Unione Sovietica, senza mezze misure reprimendo nel sangue le rivolte. Ogni rivolta ha una storia da raccontare ed almeno un eroe da proclamare, un martire, e Jan Palach è sicuramente uno di quelli che merita di essere ricordato. Jan, giovane europeo, il 16 gennaio del 1969 decide di donare la vita per la causa cecoslovacca dandosi fuoco divenendo così “il mito”, divenendo la “torcia n.1”. Umberto Maiorca ha curato la postfazione dell’opera ed oggi avremo modo di confrontarci direttamente con lui attraverso qualche domanda.
Ciao Umberto, ti ringrazio da subito per aver accettato la nostra proposta d’intervista; partiamo con una domanda scomoda, perché sui manuali di storia contemporanea non si parla molto di alcuni avvenimenti o personaggi?
“Esiste un filone della storia che potremmo definire ‘degli sconfitti’, di quelli che non meritano di finire sui libri di storia perché hanno perso una guerra, erano schierati dalla parte ‘sbagliata’, che hanno agito in un momento storico in cui non potevi che essere ‘allineato’. Per forza di cose, purtroppo è così, quei personaggi e quelle vicende non finiscono nei manuali di storia. Potremmo anche dire che i manuali di storia sono stati sempre scritti seguendo un canovaccio che è sempre quello: cioè raccontare una ‘vulgata’, che vede i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, a maggior ragione con la storia del Novecento. È anche vero che un manuale non può occuparsi di tutto, sennò diventerebbe un’enciclopedia. Jan Palach è stato un personaggio così scomodo per il comunismo sovietico e i partiti comunisti dell’Europa occidentale che era meglio non parlarne o trasformarlo in un pazzo”.
Raccontare la storia attraverso una graphic novel potrebbe essere una leva d’interesse anche verso i più giovani, cosa ne pensi dell’idea di Ferrogallico?
“Il fumetto è un mezzo espressivo molto potente, evocativo. Basta vedere l’interesse che suscitano manifestazioni di settore, soprattutto nei giovani, per comprendere che il fumetto, o la graphic novel, sia uno strumento di comunicazione molto importante per veicolare idee, storie e vicende storiche. Ferrogallico ha intrapreso una strada che in Italia non era molto battuta, quella del fumetto con contenuti sociali, storici, politici che vanno oltre il semplice intrattenimento. In una società sempre più veloce, autoreferenziale e menefreghista, penso che si tratti di un progetto ambizioso, ma necessario”.
Jan Palach, oltre il suo gesto, incarna un’idea di politica che si è quasi spenta, quell’amore per un ideale che nasceva spesso nelle sezioni di partito ed infiammava i cuori dei ragazzi. Come spieghi questo fenomeno?
“Nella domanda, in parte, è contenuta anche la risposta: le sezioni di partito. Jan Palach era cresciuto in una famiglia borghese, legata all’idea del socialismo nazionale di Tomáš Garrigue Masaryk. Poi aveva frequentato le sezioni del Partito comunista cecoslovacco, lo aveva iscritto la madre, la quale non era comunista, ma sapeva che solo così i figli avrebbero potuto studiare. Eppure nella scuola comunista aveva affinato il suo pensiero critico, comprendendo che quello che insegnavano era in aperto contrasto con la realtà sociale ed economica che viveva. Il suo viaggio in Russia fu illuminante per comprendere quanto il comunismo sovietico e la libertà dei lavoratori fossero due realtà opposte. Quindi la risposta è le sezioni di partito. In quei luoghi si studiava, ci si confrontava, si imparava il dibattito e si affinavano le idee. Sia a destra sia a sinistra quel mondo è sparito, anche fisicamente non esistono più sezioni di partito, se non quando sono circoli sociali per anziani. Una volta la politica si viveva, per questo infiammava gli animi”.
C’è la possibilità che nei giovani si possa riaccendere l’amore per quel tipo di politica? Se si, come?
“Non ho una risposta. Ho visto e frequentato delle realtà interessanti, cresciute un po’ in tutta Italia, ma si tratta di comunità militanti, in cui la politica è un passo indietro al fare, allo sporcarsi le mani nella società, dalle raccolte viveri per i bisognosi al recupero di zone mal frequentate. Quello è un modo ‘altro’ di fare politica, che non incide nei palazzi, ma ne quotidiano. Forse l’amore per la politica nei giovani si potrebbe riaccendere partendo da queste esperienze militanti e portando quel ‘fare’ nei consigli comunali, provinciali, regionali. Di sicuro quello spirito dovrebbe entrare nei partiti. In ultimo aggiungerei che come si va a scuola per imparare a leggere, scrivere e far di conto, anche per la politica è necessario imparare: e qui torniamo alle sezioni di partito”.
Torniamo su Palach, personaggi come lui a chi danno fastidio?
“Danno fastidio a tanti e a nessuno. Jan Palach ha dato fastidio a tutto il Partito comunista cecoslovacco e ai sovietici, ma il suo sacrificio non ha fermato la repressione della Primavera di Praga. Diciamo che è stato un fastidio perché hanno dovuto inventare che era pazzo, che non c’entrava nulla la politica, che si poteva tornare alla normalità. Pensiamo a personaggi come Yukio Mishima o Dominique Venner, al loro lascito culturale, di pensiero, al loro gesto. A chi possono aver dato fastidio? Ai politici giapponesi che avevano abbandonato l’idea tradizionale di Nazione? Ai grandi potentati economici europei? Non credo che abbiano dato fastidio, però hanno lasciato un segno potente. Pensiamo al cinese che si mise davanti ai carri armati in piazza Tienanmen. Certamente fece preoccupare qualche politico comunista cinese, ma la rivolta finì lo stesso. Il gesto, immortalato in una foto e nei filmati, però, trasmette ben altro: la forza di un singolo che non arretra davanti al potere. L’uomo che sa di ‘sperare contro ogni speranza’, ma fa ugualmente quello che i tempi e le vicende richiedono. La storia ricorderà questi uomini”.
Oltre i colori politici nessuno può non essere d’accordo nell’inquadrare Jan Palach come patriota, la domanda però è questa: qual è la figura del patriota oggi secondo te?
“Il patriota è chi ama la sua Nazione, chi è disposto a lottare per essa, che sia in una trincea sul Carso o nell’impegno quotidiano nel proprio lavoro e nella famiglia. In un mondo globalizzato è chi non rinnega le proprie radici, approfondisce la propria cultura, fa scelte consapevoli che rispettino la storia e la tradizione di un territorio. Non credo che serva ‘scimmiottare’ gli Stati Uniti d’America con mani sul cuore e inni cantati, come non è assolutamente patriottico guardare ad altre esperienze politiche al di fuori dell’Italia. Prima di parlare del patriota, forse, sarebbe il caso di recuperare il termine Patria, comprendendone il significato e il valore, per poi domandarsi: credo in questo? Sì o no, non ci sono altre risposte”.
Ci sono tante storie “nascoste” o tenute in sordina come quella di Jan, puoi suggerircene una da approfondire?
“Sempre rimanendo nell’ambito delle graphic novel di Ferrogallico potrei suggerire la storia di Norma Cossetto che, nonostante tutto, ogni anno, come per le vicende degli esuli italiani, è oggetto di critiche politiche e ricostruzioni fantasiose. Oppure le vicende dei tanti eroi sconosciuti della Rivolta di Budapest nel 1956”.Ti ringraziamo ancora per il tuo tempo e speriamo di risentici presto.