Sandro Veronesi. Settembre nero

Ricordarsi di se stessi a 12 anni non è facile. È un processo che implica un viaggio indietro nel tempo, ad un’età in cui alcune cose finiscono e molte altre cominciano. Sandro Veronesi, nel suo ultimo romanzo Settembre nero, edito da La nave di Teseo nel 2024, esplora la fioritura di un ragazzo di 12 anni, ripercorrendo i dettagli di una crescita che comporta delle perdite, la fine dei giochi infantili, delle voglie ‘da bambino’, ma apre anche ad una nuova consapevolezza:
Quando ci si ritrova molto distanti da ciò che si è stati un tempo, come è successo a me, ricordarsi di quel tempo è importante; e se si trattava di un tempo fatto di piccole cose, come è stato per me, anche le piccole cose diventano importanti. Il punto, infatti, non è che quelle cose io le ho perdute. Le avrei perdute comunque. Il punto è capire se, essendo quello che ero, io potevo o no opporre resistenza alla forza che me le ha fatte perdere in quel modo.
Settembre nero, nella sua ricostruzione lenta (e l’autore ci tiene a sottolineare questa fondamentale lentezza, unico mezzo possibile per ricordare il passato), è un romanzo che esplora le dinamiche della memoria, del dolore e della fragilità umana attraverso la storia di Gigio Bellandi, dodicenne originario del paesino toscano di Vinci. Il protagonista, ormai adulto, narra la sua storia in prima persona, immergendosi nel ricordo dell’estate del 1972, l’estate in cui, afferma il protagonista: “per la prima volta il mondo è arrivato a toccarmi direttamente, senza filtri – e il mondo brucia, è fuoco vivo, e questo io non lo sapevo.”
Su una spiaggia toscana, che odora di plastica e di gomma, i tipici odori che caratterizzano gli anni ’70 italiani, mentre sullo sfondo risuonano le note di David Bowie su di un giradischi, Gigio fa la sua conoscenza con il primo amore, quello adolescenziale che ti colpisce in pieno viso e che ti fa dimenticare tutto il resto. Astel, ragazzina bellissima dalle lunghe treccine afro che condivide con il protagonista la passione per la musica e per i fumetti di linus, renderà l’estate di Gigio indimenticabile, finché, come spesso accade, un evento traumatico segnerà irrimediabilmente la sua vita.
Veronesi si conferma maestro nell’intrecciare temi universali con una scrittura che sa alternare tensione e introspezione. Il libro si sviluppa in un crescendo di emozioni, raccontando un viaggio interiore che diventa anche un’analisi profonda della nostra società e dei suoi malesseri, soprattutto quelli familiari. L’estate ’72 è anche quella delle Olimpiadi di Monaco, dove ci fu l’attentato terroristico palestinese da parte dell’organizzazione Settembre nero e che portò alla morte diciassette persone. Mentre la notizia della tragedia mondiale passa alla radio e in televisione, tra le mura della famiglia di Gigio si consuma un’altra, di tragedia, una più piccola ma comunque immensa.
Con un climax finale che accelera bruscamente la narrazione, il romanzo si sposta in Irlanda, ventisette anni dopo, con il protagonista, ormai adulto, che ripensa a quando nella sua vita tutto è cambiato. Non ci sono rimpianti, solo forse un leggero velo di nostalgia per ciò che è andato perduto. In fondo, però, ce lo ha insegnato fin dall’inizio che, se alcune cose sono destinate a finire, altre trovano un modo di rinascere, come gli uliveti che resistono alle gelate e da un tronco ne nascono altri due.
Io vi lascio qui. Sono nel mio oliveto, col telefonino all’orecchio, e dentro al telefonino c’è mia sorella. […] Il solo suono che mi circonda è il canto dei nipoti dei nipoti dei nipoti dei nipoti dei nipoti dei nipoti degli uccellini che cantavano nel mio giardino quando ero piccolo. Sto guardando i due polloni che spuntano dal terreno e, nel mezzo, il ceppo del tronco originario, segato dopo la gelata.
Sono tre.
Ecco: immaginatemi sempre così, per favore. Mentre vedo.