Ennio Flaiano: La guerra spiegata ai poveri

Opera teatrale di valore straordinario, edita nel 1946 al termine della Seconda guerra mondiale e ripubblicata da quelli di Rogas nel 2024. Un testo che costringe il lettore ad una riflessione profonda sulla follia correlata al tema del conflitto umano e sulle dinamiche di potere che lo generano.
Il dramma unisce una critica feroce all’assurdità della guerra con una struttura narrativa che attinge tanto alla tradizione teatrale quanto all’avanguardia dell’assurdo, numerose sono le analogie con l’“Aspettando Godot” e il teatro dell’assurdo di Becket, suo contemporaneo.
Flaiano imbastisce una satira che si nutre della tragicità stessa della realtà storica per demolirla, ponendo in ridicolo le giustificazioni fornite dai potenti alle masse per legittimare la violenza collettiva.
Il componimento si apre con un prologo che già racchiude in sé tutto lo spirito critico dell’opera. Il generale, figura emblematica del potere, si rivolge a un gruppo di poveri promettendo di “spiegare la guerra“, quasi volesse offrir loro una chiave di comprensione per un fenomeno che, in realtà, non ha logica.
Questo atto stesso di spiegazione è carico di contraddizioni, poiché, come afferma il generale: “La guerra non si capisce, si fa“.
In questa battuta risuona l’intera poetica dell’opera: la guerra non è oggetto di comprensione razionale, ma è piuttosto un evento che sfugge alle categorie logiche e alle leggi morali.
Il generale incarna la figura del potere che promette risposte senza darne, manipolando la folla dei poveri con discorsi solenni ma privi di significato. “Non preoccupatevi di capire, basta che seguiate gli ordini”.
Flaiano si diverte a smontare la retorica bellica, mostrando quanto essa sia destinata a circuire i più deboli, promettendo gloria e onore a chi è, in realtà, solo merce da sacrificare per l’ottenimento degli obiettivi dei pochi potenti.
La distanza tra chi la guerra la progetta e chi la subisce emerge con brutalità: “A voi poveri lasciamo la gloria, noi ci accontentiamo dei profitti”.
I poveri, emblema del popolo vessato e schiacciato dai conflitti, vengono ingannati da una promessa vuota di comprensione e di partecipazione a un progetto più grande. Una realtà che rimane sempre inaccessibile, che i poveri sono destinati a subire senza poter mai comprenderne davvero la matrice e lo scopo.
I personaggi che popolano l’opera appaiono come figure comiche, intrappolate in un mondo assurdo che non comprendono.
È evidente, il pessimismo dell’autore verso il destino dell’umanità, incapace di imparare dagli errori del passato. La guerra, in questo senso, non è solo una distruzione materiale, ma anche una cicatrice morale che segna profondamente la coscienza collettiva, rendendo impossibile un vero rinnovamento.
I poveri, coloro che dovrebbero combattere per la gloria della patria, si trovano invece a essere consumati da un meccanismo di morte che non lascia loro alcuna possibilità di redenzione. È una condanna senza appello, in cui l’unico ruolo riservato ai più deboli è quello delle vittime in una partita di cui non conoscono né le regole né i giocatori.
L’intreccio dell’opera risulta frammentato e disordinato ma riflette l’idea della guerra come caos. I dialoghi sono spesso sconclusionati e carichi di ripetizioni. Ma l’opera si arricchisce di una componente politica e sociale che rende la sua critica più incisiva e radicata nella realtà storica. “La guerra non risolve problemi, ne crea di nuovi“, sentenzia uno dei personaggi, suggerendo che ogni conflitto, anziché portare a una soluzione, è solo l’innesco di un altro ciclo di distruzione.
E proprio in questo risiede la grandezza di La guerra spiegata ai poveri: Flaiano riesce a fondere una riflessione profonda e disincantata sulla natura umana con una forma teatrale che sfrutta i canoni dell’assurdo e del tragico-comico. Il risultato è un’opera che, pur nella sua apparente leggerezza, si legge facilmente in un ora, colpisce lo spettatore con una potenza inaspettata, portandolo a interrogarsi non solo sulla guerra, ma sul significato stesso della vita e dell’agire umano. “La pace è solo una parentesi tra due guerre “, afferma il generale con cinismo, riducendo ogni speranza di progresso a un semplice intervallo tra due momenti di violenza.
Con la sua penna tagliente, l’autore, ci consegna una visione del mondo amara e disillusa, in cui la guerra è il simbolo di un’umanità incapace di sfuggire al proprio destino di violenza e autodistruzione. E come recita uno dei personaggi nell’opera: “La guerra è il trionfo dell’assurdo, dove l’unica spiegazione è che non ci sia spiegazione “.