Bébi, il primo amore: una storia di Sándor Màrai

Da giugno 2024 in libreria per Adelphi Edizioni il primo romanzo scritto da Sándor Márai, uno dei più grandi narratori del Novecento mitteleuropeo.
“Bébi, il primo amore” – tradotto da Laura Sgarioto – narra di un professore di latino di mezza età, solo e imprigionato in una routine quasi ossessiva, nel diario del protagonista, un riservato professore di latino cinquantenne, si scorge la monotonia della sua esistenza, scandita da una routine immutabile: lezioni, passeggiate, serate al circolo e rare e fugaci visite a una casa di tolleranza.
Un uomo solo, un lavoratore, alienato da ogni sentimento, di cui non sente bisogno di parlare con nessuno; immerso in un grigiore quotidiano in cui si è autoconvinto di star bene. Tuttavia, durante un soggiorno in montagna, qualcosa inizia a incrinarsi.
Un’inquietudine prende corpo, la tristezza e un senso di vuoto lo pervadono, spingendolo a confidarsi con un perfetto sconosciuto per il quale, in precedenza, provava solo indifferenza. Inizia così a parlare il professore, il riconoscere una brutta emozione è meglio del nulla.
È meglio alla totale abnegazione del sentire. Durante tutta la lettura del libro vorremmo dire al nostro protagonista quello che cantano i Diaframma nell’“L’ odore delle rose”: “se torni indietro amore tu certo ce la fai a dare un senso alle cose “.
Ma, seppure con delicatezza, la narrazione di Marái è struggente. Il tempo è tiranno e la vita è tutto uno sguardo di attimi, che vanno via per sempre. Il disagio umano – sentimentale- si fa ancora più profondo quando, con l’inizio del nuovo anno scolastico, al professore viene assegnata una classe di studenti dell’ultimo anno in cui ci sono anche sei ragazze. In lui una serie di turbamenti prendono vita, soprattutto quando due allievi innamorati risvegliano in lui un sentimento sopito da tempo: l’amore e la tenerezza che ne comporta.
Márai, con magistrale abilità e attraverso le parole stesse del professore, ci svela i sentimenti che lo sconvolgono: l’invidia per la giovinezza dei suoi studenti e il desiderio proibito per una delle sue allieve, lo spingono verso un baratro inesorabile. L’uomo inizia a curare il suo aspetto, compra un nuovo abito, si taglia la barba e si fa fare massaggi per cancellare le rughe del tempo. Ci si affeziona alla goffaggine del professore. Gli si vuole bene. Ogni gesto diventa un tentativo disperato di aggrapparsi a una vita che si è fatto in parte scivolare via. Giocando al compromesso con Eros, quello in cui a lui quella parte di vita non sarebbe stata necessaria. È, come in tutte le storie la firma della propria condanna a morte.
“Bebi, o il primo amore” è un viaggio struggente nell’animo di un uomo e un invito a riflettere sulla fugacità dell’esistenza. Spesso si vive come si fosse eterni, per pigrizia o paura, timidezza o menzogna. Qualunque fosse il motivo che l’esistenza fugge dovrebbe spaventarci di più. Forse ne faremmo personali capolavori.
Il protagonista ha vissuto nella costante attesa di qualcosa che non è mai accaduto, che si è lasciato sfuggire… e che non tornerà, almeno in quelle vesti. L’autore è dolce, indaga con mani pulite nell’anima di un uomo rotto dentro, la sua narrazione è chiara e commovente. Un altro libro da mettere sotto l’ombrellone, magari verso fine stagione col profumo che porta settembre.