Venus in Furs. Nico, l’ultima eroina gotica
Immaginate una voce incatalogabile, inclassificabile. Pensate poi ad una personalità apparentemente algida, una figura a tratti tragica, controversa, sfuggente. Ipotizzate, poi, che questa figura sia biondissima, appariscente al punto di rifiutare coscienziosamente il suo essere, proiettando il proprio fisico in un tunnel di autodistruzione, come una sorta di musa che, però, ha smarrito definitivamente la propria strada. Presupponete, infine, che questa donna resti sola per scelta, per tutta la vita. Enigmatica, ambigua, intensa.
In una parola: Nico.
Christa Päffgen, così all’anagrafe, è sinonimo di completa duttilità: attrice, cantante, modella. Considerata la musa e l’iniziatrice del progetto Velvet Underground, Nico pubblicò assieme a Lou Reed e soci l’omonimo, famosissimo, “album con la banana” del 1967.
Ma facciamo un passo indietro.
https://open.spotify.com/track/29engDqjmMr3VLqMm0c0WE?si=c976eb15a25845ce
A Bob Dylan si deve l’aver plasmato Nico come capostipite del gotico in salsa rock, in cui musica, folklore e atteggiamenti psichedelici si miscelano per creare un ibrido perfetto.
Nel 1962 Nico va a Londra con l’obiettivo di incidere un singolo per la Immediate, l’etichetta di Andrew Loog Oldham, manager dei Rolling Stones e vive per un po’ di tempo con Brian Jones. Poi vola a Parigi e Nico racconta: “Dylan cantò due canzoni che mi colpirono molto e poi, qualche settimana dopo, mi spedì un demo con quegli stessi pezzi suonati al pianoforte. Tutto qui. […] In effetti, quando lo incontrai, Bob mi fece cambiare idea sul fatto che dovessi cantare solo torride canzoni d’amore […] Quindi il manager di Dylan, Albert, mi comprò un biglietto aereo e mi disse che sarei dovuta andare a New York. Soltanto in America lui avrebbe potuto fare qualcosa per me. Ed è così che ho incontrato Andy [Warhol, ndr.].”
Di quel momento, Warhol ricorda: “Nico ci chiamò da un ristorante messicano e noi ci precipitammo subito da lei. Sedeva a un tavolo davanti a un bicchiere da cocktail, e mentre ficcava le sue lunghe dita sottili nella sangria, cercava di tirare fuori le fette di arancia impregnate di vino. Quando ci vide, piegò la testa da un lato e si tirò indietro i capelli con l’altra mano e disse, molto lentamente: ‘Mi piace solo il cibo che galleggia nel vino’.
Così inizia la lunga ascesa (e conseguente discesa) di Nico: tra Velvet Underground e carriera solista, passando per la sua tossicodipendenza.
Il resto è storia: un album da leggenda, prodotto da Warhol, in cui Nico avrebbe cantato delle canzoni scritte appositamente per lei: All Tomorrow’s Parties, Femme Fatale e I’ll Be Your Mirror che resteranno, oltretutto, tra le migliori canzoni uscite dalla penna di Reed. Poi Chelsea Girl, primo album solista, colonna sonora per l’omonimo film di Warhol, contenente brani scritti sia da Reed che da Cale, seguito da The Marble Index e Desertshore, vera pietra miliare della sua carriera solista. Capolavoro senza tempo del gothic sperimentale, con tratti neoclassici avant-garde, in un clima musicale di incertezza, tipico dell’inizio degli anni Settanta. L’impressione è quella di ammirare un Kirchner, navigando, a vista, tra il tragico e l’osceno, tra la solitudine della sua voce in “My Only Child” che fa da contraltare ad “Abschied”, con un violino e un organo distorti. Le otto tracce presenti nell’album descrivono dei piccoli ritratti iconici, in pose anche contraddittorie tra loro, dell’anomala personalità di Nico. La decadente cantante di inizio carriera ha lasciato posto ad una figura sciamanico-gotica, che sembra riprendere tecniche di canto mediorientali, con il suo marchio di fabbrica sospeso in quella sua gelida neutralità, dalle tinte acide, che hanno caratterizzato la sua intera carriera.
L’intera discografia non raggiunge le cinque ore e la sua unicità non si riduce soltanto a questo: c’è qualcosa di soprannaturale nella figura di Nico. Le sue canzoni, soprattutto nelle ultime due fatiche (Drama of Exile e Camera Obscura), sono guidate, in parte, dalla sua schiacciante dipendenza dall’eroina. In Songs They Never Play on the Radio, libro scritto da James Young nel 1993, si dice che Nico non aveva mai assunto droghe nel periodo dei Velvet Underground e della Factory di Warhol, ma di aver iniziato durante la sua relazione con Philippe Garrel sul finire degli anni settanta.
Ora, respiriamo. Immaginiamo un cottage enorme, in collina, ad Ibiza. Una caduta, fatale, dalla bicicletta. Un errore di valutazione di ben due ospedali e del reparto tecnico-sanitario. Così, Nico lascia la vita nel luglio del 1988. Di lei resta iconico anche soltanto il ricordo durante il funerale a Berlino, in cui alcuni amici intonano la prima strofa di Mütterlein, brano-cardine di Desertshore, perfetto per essere la chiusa della propria esistenza terrena: “Liebes kleines Mütterlein/Nun darf ich endlich bei dir sein” (“Cara piccola mamma, ora potrei finalmente essere con te”).