Le spie atomiche di Alfredo Mantici

Buongiorno Dott. Mantici, congratulazioni per il suo libro, le analisi e la narrazione da lei proposte rendono completo e chiaro sia il lavoro svolto dall’intelligence russo sia l’importanza che hanno avuto storicamente. Nella nostra società quanto è importante fare informazione sul lavoro che svolge quotidianamente la nostra intelligence chiaramente nel limite del possibile?
Non è importante sapere cosa fa l’intelligence perché non è proponibile saperlo, l’intelligence lavora in segreto, quello che invece è importante è conoscere la cultura dell’intelligence, la società deve sapere a cosa serve un’agenzia di spionaggio, qual è la sua funzione non quali sono le sue attività segrete. E’ questo ciò che manca nella cultura italiana, si conoscono per larga percentuale gli insuccessi dell’intelligence italiana. L’importante invece è riconoscere come questa attività sia di alto livello professionale ed utile a consentire al governo di prendere decisioni giuste sulla base di informazioni e di analisi accurate.
Nel libro rende cristallino il lavoro fatto dall’intelligence per lo studio e lo sviluppo della bomba atomica; diamo uno sguardo al presente con focus sul conflitto tra Russia e Ucraina, che ruolo sta giocando l’intelligence in campo e chi, secondo lei, è in vantaggio al momento su quel fronte?
Bisogna distinguere quello che sappiamo noi come opinione pubblica da quello che sanno i governi. In questo anno quasi trascorso, la gente è stata informata solo da strumenti di propaganda. Strumenti che servono a orientarne il supporto ma che non servono a conoscere la totale verità. L’intelligence conosce la verità. Non abbiamo strumenti di conoscenza per poter dire chi sa cosa del rispettivo avversario. Quello che sappiamo è che l’intelligence occidentale – dato che di quella russa non sappiamo nulla – è mobilitata per informare l’Ucraina sulle mosse militari della controparte. Credo che questa attività sia abbastanza efficiente, l’operato consiste nell’intercettare le comunicazioni, i dispacci. Personalmente, ritengo che ciò stia avvenendo a un buon livello, non ho la minima idea di quello che stanno facendo i russi ma credo si mobilitino alla stessa maniera. Certo è che è stato sviluppato dall’intelligence occidentale un eccellente sistema di intercettazione delle comunicazioni.
Stalin, per alcuni versi, sottovalutò inizialmente la potenza atomica USA poiché impegnato nello scontro con l’esercito tedesco sul fronte, vi fu anche altra ragione a questa “disattenzione”?
Tornando alla primavera del ’45, Stalin era impegnato nella gigantesca battaglia contro la Germania, aveva mobilitato due milioni di soldati per la conquista di Berlino e la sconfitta del Nazismo. In quel momento, non esistevano ancora le premesse per la Guerra Fredda. Stalin era concentrato sui carri armati e le risorse militari quando Truman, nel luglio dello stesso anno, a Potsdam, lo informò dell’esperimento nucleare di Alamogordo. Si rese conto allora di essere indietro e quando scoppiarono le bombe a Hiroshima e Nagasaki, comprese come l’Unione Sovietica, al termine della Seconda Guerra, si trovasse in una notevole posizione di svantaggio strategico potenziale nei confronti degli USA. Questo divario andava dunque colmato nel minor tempo possibile. Con la sola ricerca scientifica ci sarebbero voluti dieci o quindici anni; lo spionaggio gli consentì di sviluppare la stessa tecnologia in quattro.
Torniamo sulla società; l’intelligenza artificiale quanto e come cambierà il lavoro dell’intelligence sia nell’analisi dati sia sugli agenti “sul campo”?
Io non credo molto nelle potenzialità “umane” dell’intelligenza artificiale. Il supporto che proviene dalla tecnologia è innegabile: facilita il lavoro di intelligence, migliora le comunicazioni, migliora la possibilità di analisi, consente di approfondire in tempo brevissimo le informazioni. Tuttavia facilita non sostituisce l’intelligenza umana. La human intelligence resta e resterà strumento fondamentale nell’attività di raccolta delle informazioni. L’intelligenza artificiale non sostituirà mai l’intelligenza umana.
Nel suo libro scrive che Kapica fosse convinto del fatto che qualora l’URSS avesse fatto uno sforzo ulteriore avrebbe avuto risultati importanti mentre Beria preferì puntare forte sullo spionaggio; facciamo fantapolitica per qualche istante, qualora avesse avuto la meglio Kapica che scenario, secondo lei, avremmo avuto negli anni a seguire?
Lo spionaggio consente di accelerare processi e di risparmiare denaro, come le dicevo prima, la Russia sarebbe arrivata comunque alla bomba atomica ma in un tempo notevolmente maggiore e con uno sforzo economico ingente. Lo spionaggio ha permesso che ciò avvenisse risparmiando soldi e tempo.
Durante la Guerra Fredda ci furono parecchie spie atomiche attive sul campo, chi fu quella che fece davvero la differenza?
È difficile da stabilire perché la rete di spie russe era estremamente diramata e sofisticata, quello che possiamo dire è che di certo ci furono due protagonisti: da un lato, in ambito scientifico, Klaus Fuchs che rivelò all’URSS i segreti della bomba atomica; dal lato dello spionaggio puro, invece, Donald Maclean.
Nel 1979 inizia il suo lavoro per il SISDE, come nasce la passione per quel tipo di lavoro e che caratteristiche sono fondamentali per svolgerlo al meglio?
La passione nasce dalla curiosità di sapere che cosa succede in realtà, dietro la cortina di quello che ci viene raccontato dai giornali. Vivere nel mondo dell’intelligence consente di guardare al mondo reale dal buco della serratura e di vedere molte realtà che il pubblico non riesce a percepire. Per fare intelligence occorre curiosità, cultura, meticolosità nello studio dei problemi e sacrificio ed entusiasmo nel tentare di risolverli. È un lavoro che per gran parte è noioso, non è per niente avventuroso, non si salta da un tetto a un treno in corsa, non c’è niente di James Bond, c’è molto di studio e, come dice la parola, molto di intelligenza.
Oltre alle spie citate nel libro, c’è un agente da lei ritenuto il migliore nella storia?
È veramente difficile fare una graduatoria, i successi dell’intelligence sono fatti da piccoli passi spesso invisibili. Voglio citare Churchill che, presentando Alan Turing all’allora regnante, disse: “Maestà le presento l’uomo che ha vinto la Seconda Guerra Mondiale”. Ecco, Alan Turing è l’uomo e matematico che ha sfondato la macchina Enigma, consentendo agli Alleati di conoscere tutte le mosse dell’esercito tedesco dal 1941 in poi. Alan Turing è un eroe della Seconda Guerra Mondiale, non ha mai rischiato la vita ma ha messo l’intelligenza al servizio della guerra.
Nelle pagine finali del libro ci racconta dell’esperienza di Fisher nelle scuole, in Italia questo tipo di attività viene svolta?
Questo non avviene e non è avvenuto. In Italia non sentiamo il bisogno di fare questo tipo di propaganda, non ci sentiamo in guerra anche se in questo momento partecipiamo al conflitto fra Ucraina e Russia. Come le dicevo, non abbiamo una cultura dell’intelligence come ci può essere in Russia o in Inghilterra, motivo per cui l’esperienza di Fisher non è replicabile.