L’editoria secondo Francesco Giubilei: l’intervista al fondatore di Historica Edizioni

Francesco Giubilei ha fondato nel 2008 la casa editrice Historica, realtà nata con l’obiettivo di realizzare editoria di qualità con una forte attenzione ai giovani autori e nel segno dell’indipendenza editoriale. È presidente della Fondazione Tatarella e del movimento di idee “Nazione Futura”.
L’Italia, secondo le stime Istat, non sembra un Paese per lettori. I cosiddetti “lettori forti” (con almeno 12 libri letti nell’ultimo anno) sono solo il 15,2%. Percentuali al di sotto delle stime europee. Nel 2008 ha fondato la casa editrice Historica. Da editore con una consolidata esperienza nel settore come spiega questa caratteristica della realtà editoriale?
In Italia c’è un problema legato ai tassi di lettura, rispetto a molti altri paesi del resto d’Europa, in Italia si legge poco e il mercato editoriale è sostenuto dai “lettori forti” che sono una percentuale minoritaria della popolazione. I dati preoccupanti riguardano le persone che hanno letto almeno un libro in un anno con una media nazionale del 40% che scende addirittura sotto il 30% in alcune regioni del sud. È evidente che ci sia un problema atavico su cui è necessario intervenire che si scontra anche con la diffusione delle nuove tecnologie e un mondo sempre più digitale e pieno di distrazioni in cui la lettura di un libro viene spesso vista come un qualcosa di accessorio o di cui poter fare a meno.
È possibile secondo lei mettere in campo strategie per invertire questa tendenza storica?
È necessario puntare su una maggiore educazione alla lettura in particolare per i bambini e le giovani generazioni. Da questo punto di vista la scuola ha un ruolo primario, è molto più semplice educare a leggere un bambino invece di un adulto ma è imprescindibile anche l’attività della famiglia per avvicinare i giovanissimi alla lettura. Si tratta di una battaglia culturale ancor prima che politica, riuscire a far passare il messaggio che leggere un libro non è solo un modo per intrattenersi o per passare il tempo ma un arricchimento per se stessi e per la propria comunità, è la vera sfida che abbiamo di fronte a noi.
Rimanendo nel campo editoriale, Longanesi, a cui ha dedicato un’approfondita pubblicazione, ha rappresentato un riferimento imprescindibile per il mondo del giornalismo e dell’editoria italiana. Che consigli darebbe a chi volesse intraprendere il percorso di editore oggi, magari alla luce proprio degli insegnamenti di Longanesi, modello a lei strettamente caro?
Contrariamento a quanto si pensa, la barriera di ingresso per avviare una casa editrice è molto più bassa che in altri settori. Per aprire un ristorante sono necessari investimenti di varie decine o centinaia di migliaia di euro, lo stesso dicasi per altre attività commerciali. Aprire una casa editrice ha invece un costo molto basso (tutto è ovviamente relativo alle dimensioni che si immaginano), la difficoltà non è realizzare un’impresa editoriale quanto fare in modo che stia sul mercato e duri nel tempo. La grande lezione di Leo Longanesi (che poi è quella di ogni editore indipendente di successo) è riuscire a pubblicare libri di valore e culturalmente elevati coniugandoli con le esigenze del mercato. L’editore è un imprenditore che deve fare i conti con un bilancio, con spese e costi ma non svolge un’attività imprenditoriale qualsiasi bensì nel settore culturale ed ha perciò il dovere morale di pubblicare libri che diano un contributo culturale alla nazione.
Nella sua ampia produzione di autore, un ruolo centrale ricopre la storia del pensiero conservatore, un percorso importante per la cultura del nostro paese ma forse poco conosciuto dal vasto pubblico. Quali sono a suo avviso i punti chiave del pensiero conservatore?
Su questo tema ho scritto Storia del pensiero conservatore che è stato tradotto negli Stati Uniti e di recente in Ungheria cercando di definire i tratti e i pensatori salienti del conservatorismo. Da vari anni mi sto soffermando sullo studio del conservatorismo italiano lavorando a un libro su questo tema. È necessario distinguere il conservatorismo a seconda della nazione in cui si sviluppa, il conservatorismo italiano è diverso da quello inglese così come quello tedesco differisce dallo spagnolo, ci sono però alcuni punti in comune di una tradizione di pensiero conservatrice in Occidente che possiamo sintetizzare nella difesa del concetto di identità, di famiglia, della libertà, delle radici cristiane. Il conservatorismo non è un’ideologia ma uno stato di natura.
In particolare nella sua esperienza di scrittore e ricercatore, si è venuto sottolineando il forte legame tra il pensiero conservatore e il rispetto dell’ambiente. Alla luce dell’importanza assunta da temi quali la sostenibilità, quale potrebbe essere l’apporto oggi di una visione definibile come conservatrice?
È un tema fondamentale. Quando parliamo di ambiente ci riferiamo a un argomento che va oltre il concetto di sinistra e destra. Eppure c’è stata negli ultimi anni un’appropriazione della tematica ambientale da parte di una determinata area politica che ha portato avanti un ambientalismo ideologizzato che dimentica il concetto di identità e di tradizione e non tiene in considerazione le esigenze sociali dei ceti più deboli e del mondo delle imprese. È necessario perciò sottolineare l’esistenza di un conservatorismo verde sintetizzato da vari autori come Roger Scruton. Di recente ho letto un libro di Gian Antonio Stella intitolato Battaglie perse. Montanelli ambientalista rimosso in cui sono raccontate le battaglie a tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale di Indro Montanelli, un testo che consiglio perché racconta un Montanelli a tratti inedito e sfata il mito di una destra disinteressata all’ambiente.
Partendo da un modello tipicamente gramsciano, in Italia si è definita, storicamente, un’egemonia culturale appannaggio prima del PCI e infine di figure d’intellettuali, sempre secondo la definizione di Gramsci, organici ad una Weltschaunng progressista. È d’accordo con questa interpretazione?
Dal ’68 in avanti la sinistra ha svolto un’operazione di egemonia riuscendo a occupare i principali centri di controllo del potere culturale. Dalla scuola ai media, dall’università alle fondazioni, si è trattato di un’operazione capillare e metodica che ha dato i suoi frutti negli anni riuscendo a orientare il dibattito politico e influenzando l’agenda con posizioni progressiste. La miglior testimonianza di come sia imprescindibile un retroterra culturale e metapolitico all’azione politica. Negli ultimi anni questa egemonia è entrata in crisi perché la sinistra ha perso gran parte dei propri temi storici sposando una visione liberal che ha generato nei propri mondi di riferimenti uno spaesamento e un avvicinamento verso il mondo conservatore che invece si è fatto più artefice di una difesa dei ceti più deboli. Il caso della transizione ecologica è emblematico.
Secondo lei perché, in tali termini, il pensiero conservatore è sembrato avere una minore capacità di penetrazione nel dibattito pubblico?
Le motivazioni sono due. Da un lato proprio perché c’è stato (ed esiste tuttora) un tentativo da parte del mondo progressista di non lasciare spazio a idee o persone che provengono dal mondo conservatore considerando la cultura come un monopolio della sinistra, dall’altro lato è però necessario fare autocritica. In passato il mondo politico di destra non ha dedicato la necessaria attenzione alla cultura che invece ha un ruolo imprescindibile se si vuole costruire un sistema di potere duraturo. A onor del vero anche il mondo culturale di area non è esente da colpe, spesso si è preferito un approccio snob e da “torre d’avorio” invece di confrontarsi con la gestione del potere culturale in cui la sinistra è stata molto più attenta. Ora speriamo tutto ciò possa cambiare.
Possiamo parlare, al di là delle vicende storico/politiche del nostro paese, di una difficoltà effettiva nell’organizzare un modello culturale alternativo a quello definibile come egemonico?
La cultura di destra non ha nulla da invidiare a quella di sinistra, è necessario scrollarsi di dosso una sorta di complesso di inferiorità che non ha ragion d’essere. Ci sono scrittori, filosofi, artisti, ascrivibili al mondo conservatore o alle altre correnti di pensiero della destra che hanno dato un contributo imprescindibile alla cultura italiana dei secoli scorsi. Molto spesso però figure come Guareschi, Longanesi, Prezzolini, Montanelli, Piovene, Papini, Del Noce… non sono sufficientemente conosciute o ricordate. La vera sfida è fare in modo che queste e tante altre voci abbiano il giusto riconoscimento e al tempo stesso portare avanti iniziative che promuovano idee e valori cari al mondo della destra. Tutto ciò si può realizzare attraverso un necessario e imprescindibile spoils system nel settore culturale.