Il bivio europeo

Poco meno di quattro mesi all’appuntamento con le elezioni europee. Sfileranno euroscettici da una parte e pro – europeisti dall’altra.
Il sentimento antieuropeo sta crescendo a dismisura, dovuto principalmente al periodo di recessione che incombe sull’Europa tutta e mediterranea in particolare.
I sintomi più forti dell’antieuropeismo si evidenziano soprattutto nell’aumento del numero dei discorsi contrari all’integrazione comunitaria e nel crollo della fiducia nei confronti delle istituzioni europee.
Ebbene, questa ideologia antieuropeista si sta diffondendo a macchia d’olio per ragioni legate all’incapacità dell’UE di fronteggiare la crisi del debito pubblico che sta colpendo alcuni stati membri, l’aumentare delle disuguaglianze, nonché l’impoverimento degli Stati nazionali causato dalle manovre d’austerity imposte dalla Troika.
Gli euroscettici si oppongono al processo d’integrazione pretendendo meno Europa e più Stato Nazionale, nonché un ritorno alla sovranità monetaria.
Dall’altra, coloro che invece credono in un’Europa diversa, che incorpori al suo interno un mix di solidarietà cooperazione e maggiore integrazione, in grado di fronteggiare l’imperante avanzata delle tigri asiatiche.
Pertanto, si presenta dinanzi ai nostri occhi un’Europa frammentata sia da un punto di vista politico che economico, incapace di rispodere alla gravità della situazione attuale. Sebbene il processo d’integrazione richieda molti anni, ad oggi purtroppo, l’Europa cosi come costruita incorpora diversi problemi a cui è difficile rispondere.
Innanzitutto, l’ombra che rincorre l’Eurozona è quella della deflazione. Le politiche recessive, fatte di tagli lineari ai servizi pubblici, rigore nei bilanci dello Stato, hanno esacerbato ancor di più una spirale recessiva in diversi Paesi come ltalia Grecia e Spagna.
È importante sottolineare che sicuramente alcuni Stati hanno adottato politiche scellarate, che hanno innalzato il debito pubblico, ma tuttavia la panacea fatta di politiche restrittive ha aggravato ancor di più la situazione nei Paesi meno virtuosi.
Dunque per colpe imputabili ad una miope gestione delle politiche economiche da una parte e spese che con il tempo sono risutate improduttive dall’altra, hanno generato il pessimo scenario che noi cittadini europei stiamo vivendo. Dunque gli errori sono derivati sia a politiche errate da parte degli Stati nazionali, sia dalle politiche restrittive della Troika. Ci ritroviamo dinanzi ad un bivio: scegliere tra più Europa o meno Europa?
In primis, bisogna ammettere che le strategie di politica economica degli antiruropeisti, laddove presenti, sono assolutamente un salto nel baratro, ma tuttavia è sicuramente doveroso riconoscere che le scelte della Troika hanno mancato di avvedutezza e lungimiranza.
Per quanto riguarda le scelte di politica economica di una uscita dall’euro o non, attualmente vedono in corso diverse diatribe tra coloro che ritengono assolutamente necessario un ritono ad una sovranità monetaria a dispetto di coloro che invece vogliono un euro ed un’Europa, ma che abbia al suo interno caratteristiche differenti.
Da un punto di vista economico un ritorno a Stati indipendenti vedrebbe il contrapporsi tra grandi e piccole economie. In senso stretto, non è possibile rinunciare totalmente all’Europa perché il PIL aggregato ad oggi è il più alto a livello mondiale, mentre l’Italia – ad esempio – rappresenterebbe da sola solamente il 3,6%, incapace pertanto di competere con l’avanzata delle tigri asiatiche.
Si presenta dunque ai nostri occhi una grande massa di problemi da risolvere che potrebbe divenire più pesante delle forze che rimangono in vita per sorreggere il progetto europeo e dunque la possibilità di una rivoluzione diviene sempre più un scenario possibile che ci auguriamo venga scongiurato.
di Marco Franco
25 gennaio 2014