Il Candomblé afrobrasiliano: tra memoria e colonizzazione
Attraverso piroette vertiginose, ritmi cadenzanti e vivaci evoluzioni, il Candomblé si diffonde tra gli eterogenei angoli del movimentato Brasile, impertinente promemoria di combinazioni africane. Considerato come un curioso culto magico, descritto come un’antica tradizione spirituale, e osservato come un’esotica manifestazione liturgica, il Candomblé afrobrasiliano è stato etichettato in differenti modi seguendo variegate e problematiche interpretazioni. È proprio di fronte alla variabilità dei lignaggi e degli eventi che si manifesta come un processo creativo e dialogico con la memoria, capace, mediante la trasmissione orale, di stabilire una regolarità nel e del tempo. Esaltando la sacralità della vita, invita a seguire i ritmi dell’esistenza continuamente in comunicazione con il mondo spirituale, confluendo e ritornando tra gli avanzamenti della storia. Nei racconti orali che affondano le loro radici nelle tradizioni africane, viene ribadito come, al di sopra della nostra sfera materiale e tangibile, esista un essere supremo che prende il nome di Oludumaré oppure Olorum. Attraverso il suo respiro, Olorum fu in grado di originare il principio maschile e femminile insieme al nostro mondo fornito di natura e di esseri viventi.
“E quando parliamo di scienze ‘iniziatiche’ o nascoste, termini che possono confondere il lettore razionalista, è sempre, per l’Africa tradizionale, una scienza eminentemente pratica che consiste nel saper entrare in un rapporto appropriato con le forze che sostengono il mondo visibile, e che può essere posta al servizio della vita” (Hampaté Bâ). Identificandoli con il vento, con i tuoni, con le acque dolci e con quelle salate, si ritrovano gli Orixás (o Santi): forze della natura che, con personalità e gusti distinti, fanno da mediatori tra l’Essere Supremo e le comunità dei viventi. Quest’ultime tendono a rispondere ad un sacerdote, Pai de Santo, o sacerdotessa, Mãe de Santo, posizionati al vertice di una gerarchia ordinatrice di ruoli. Ritmato dalle incessanti percussioni di tamburi pronti a richiamare lo specifico Orixá, Il Candomblé risuona, prendendo vita nei terrieri, luoghi predisposti ad accogliere le case sacre.
Su una base ritmica costante impreziosita dalle improvvisazioni caotiche dei maestri, ritornano in Brasile i caratteri tipici di musiche di ascendenza africana. Rimbombano gli echi di storie passate legate ai flussi schiavistici che drammaticamente hanno delineato i profili di un eclettico paese. Il Candomblé dimostra chiaramente una memoria ancestrale migrante che ha resistito ai sanguinosi secoli di colonizzazione e schiavitù del continente africano. Tra il 1549 e il 1888 ca., 4 milioni di persone appartenenti ai popoli africani, furono trascinati come schiavi in Brasile dai colonizzatori e conquistatori portoghesi, presenti intorno al 1500 in questo paese. Appesi ai pelourinho (le gogne) di Capo Verde e Guinea Bissau, venivano sistematicamente selezionati per poi essere imbarcati su affollate navi negriere, dirette verso le coste brasiliane. Sfruttati e umiliati, utilizzarono ogni tipo di opportunità per ri-organizzarsi eseguendo e percuotendo, nel buio delle senzalas (dormitori degli schiavi) i ritmi del Candomblé. A tal proposito, giungevano misteriosamente sulle sponde latino-americane, dopo estenuanti traversate, anche i variegati e molteplici Orixás. Cercando di contrastare l’arroganza e la prepotenza degli schiavisti e della Chiesa Cattolica, perennemente occupata a ridurre i popoli in confraternite, gli Orixás si nascondevano sotto gli altari e dietro ai nomi di Santi Cattolici, prosperando silenziosamente negli stati di Bahia, Minas Girais, Rio de Janeiro, e Saô Paolo. Iorubá, Fon, Ewe e Bantu, riscrivevano così faticosamente la geografia del Brasile, distinguendosi per culture, lingue e musiche. Tuttavia, dovettero attendere il 1946, anno della promulgazione della Legge della Costituente, affinché venisse garantita la libertà di culto in Brasile. Ancora oggi il Candomblé viene considerato come una commistione di tradizioni cristiane e africane, nonostante, nel 1983 venne rivendicata la presenza dei soli elementi africani: “Iansa (divinità dei venti e dei lampi) non è Santa Barbara!”, (Mãe Stella de Oxossi). Seguendo le loro guide, i fedeli danzano convulsamente ridistribuendo quella forza vitale conosciuta come Axé, incrementando la propria energia e stabilendo un rapporto reciproco con ciò che viene considerato Sacro. La pratica secolare del Candomblé, rinvigorendo ritualmente i corpi, permette ai propri fedeli di sopportare e reagire alle violente intemperie della Storia, partecipandovi attivamente. “La realizzazione empirica di una delle virtualità contenute nel Candomblé – virtualità che corrisponde esattamente al suo aspetto rituale già predominante, e più resistente ai progressi della storia” (Marcio Goldman).