Al Salone degli Specchi di Firenze il Festival della Crescita “felice”
Si stanno indubbiamente moltiplicando iniziative animate dalla volontà di sopperire alla mancanza di consapevolezza dei formidabili valori che il nostro Paese possiede: quelli materiali che sono sotto gli occhi di tutti, ma che appunto non sono visti nè tantomeno recepiti, e quelli immateriali, ancor meno sentiti. Benvenuta quindi la nuova tappa del Festival della Crescita, accolto recentemente nella splendida cornice della Sala degli Specchi di Luca Giordano a Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
Il deficit scolastico iniziato con Luigi Berlinguer, si aggravó senz’altro con Letizia Moratti, per subire un crollo con le riforme successive.
La realtà è che dal 1968, che pure era iniziato sotto i migliori auspici, a cui va il grande merito di aver chiuso con gli strascichi dell’ottocento – non mi dimentico a questo proposito che noi ragazzine non potevamo andar scuola in pantaloni e oggi va gìà bene se ce l’hanno – sì è alimentato un deficit scolastico sempre più devastante.
Mio padre che conseguí la maturità, con la riforma Gentile, a soli 17 anni e a pieni voti, ci guardava con compatimento quando fu il nostro turno di confrontarci con l’esame che terrorizzava intere generazioni.
L’ennesima riforma permetteva di portare “solo” l’ultimo anno con forti, ma forti riferimenti dei primi due. Ho capito il suo stato d ‘animo assistendo alla maturità di mio figlio, due sole materie! E quando andai a lamentarmi dicendo che non era possibile che chiudessero con tutte le altre a gennaio, il professore mi rispose che sì… avevo ragione… “ma che le devo dire… ci hanno tolto gli strumenti, ma stia tranquilla ci penserà poi la vita a dare lezioni”.
Recentemente però, dal consesso voluto da Massimo Bray nei magnifici spazi della Treccani da lui stesso guidata, alla Scholé di Paolo Zanenga, raro “esemplare” di ingegnere umanista, che invece dovrebbe essere la norma, allo stesso Artour-O il “Must” lanciato a Firenze nel 2005, al Festival della crescita ideato e guidato con grande spirito e passione da Francesco Morace, si assiste ad un corroborante effetto risveglio sull’importanza dei valori della nostra cultura e quindi della nostra identità, che molto si fonda sulla bellezza tanto da aver fatto del nostro Paese uno scrigno di inestimabili valori che tutto il mondo riconosce e ama.
Fino a qualche anno fa il solo parlare di bellezza, soprattutto nel campo dell’arte contemporanea, veniva visto male. L’arte “in purezza”, rubiamo questa locuzione agli enologi, per essere tale doveva emanciparsi dalla bellezza. Definire qualcosa con il termine bellezza, ne implicava la cacciata dall’empireo dell’arte contemporanea.
Ora assisto piacevolmente stupefatta ad un ribaltamento di questi concetti e anzi, da Cenerentola qual’era, la bellezza torna alla ribalta, il coro che la esalta si fa sempre più nutrito.
Politici, critici, studiosi sono – ora – tutti d’accordo che l’arte e la bellezza sono indispensabili e sono anche motori di impresa e di economia.
Non posso che esserne felice, ma c’è un ma… In tutto questo parlare e portare alla coscienza la consapevolezza di cui sopra, ci si dimentica di un elemento fondamentale, senza il quale la nostra abnegazione, che di questo per lo più si tratta, vada sprecata.
Abbiamo un bel parlare del nostro patrimonio unico al mondo, ma chi lo potrà non dico tutelare, ma almeno gustare se la cultura imperante non prevede di dare i parametri indispensabili alla loro comprensione?
Una volta di più ho risposto alla “chiamata” e ho assistito e partecipato all’iniziativa promossa da Francesco Morace che da ottobre scorso percorre instancabile l’Italia, e siamo solo all’inizio per diffondere e comunicare questi valori che sono il DNA dell’Italia. Perfetto, ma si sta seminando su un terreno giorno dopo giorno sempre più arido, tanto che al convegno dell’esimio Massimo Bray abbiamo saputo che il Ministero Franceschini presenterà all’UNESCO la richiesta di dichiarare il greco e il latino patrimonio dell’Umanità, seppellendole cosi sotto una pietra tombale… ma almeno il latino era vivo, alla portata di tutti, si imparava alle Medie di cui la mia generazione ha goduto, ed era la nostra identità, immateriale e invasiva che imperava nel mondo occidentale
Non sarebbe più semplice e proficuo reintrodurle, almeno alle medie? Li sento già: “ma a che serve”? Serve eccome! Perché mettono in moto il cervello, insegnano ragionamento e metodo e soprattutto ripeto, sono la nostra identità. Ci capivamo da Bolzano a Trapani, da Parigi a Pesaro a Ventimiglia a Berlino, perché le medie fornivano le famose “basi” humus fertile su cui gettare i semi successivi e tutti uscivamo con qualcosa a cui attingere. La scuola non è e non deve essere un corso per imparare l’inglese o un programma, ma dà gli strumenti per usare il cervello urbi et orbi.
Al festival di Morace sono state dette cose sacrosante. Straordinario e coraggioso l’intervento di Baban che ha dichiarato che costruire l’eccellenza diventa un problema perché gli imprenditori dovrebbero prevedere il futuro cosa da sempre difficile, ma ora impossibile data la velocità dei cambiamenti, “e ci siamo giocati già due generazioni”… e straordinario anche l’intervento di Felice Limosani, grande artefice del bello, lui nato come dj, che ha detto che occorre sapere saper fare e far sapere il saper fare.
Il messaggio è che l’idea di crescita deve recuperare la nostra storia e far rivivere i valori dell’Umanesimo. il famigerato.
Pil non ha parametri giusti. Meglio prendere ad esempio la Francia che misura la crescita di un paese non solo in termini di pil ma di cultura
Gli Usa sono una grande potenza perchè hanno influenzato il mercato con la loro cultura, così, perdonatemi il paragone che suona quasi blasfemo, la Firenze del Rinascimento ha trasformato la bellezza da privata a pubblica facendone una cultura su cui angora oggi viviamo di rendita.
Questi, conclude il sindaco di Firenze Dario Nardella, tra l’altro raffinato violinista, erano palazzi della Civitas.
Di qui lancio l’appello, non obiettivi straordinari ma uno solo, far vivere il latino per i suoi valori fondanti scippati alle ultime generazioni. Ce la possiamo fare. Se fossimo francesi, consapevoli della nostra forza culturale, sarebbe ancora vivo e vitale.