Art Noveau: Alfons Mucha a Palazzo Ducale di Genova fino a settembre

Accogliamo con gioia una mostra così, dopo decenni di impressionismo e dintorni, un tema davvero fin troppo sviscerato.
Finalmente l’approccio ad un altro periodo in cui l’arte si è espressa in tutte le sfaccettature consentite dai media del momento. L’Art Noveau, che di questo stiamo parlando, fu un movimento artistico filosofico che permeò di sè tutta la società di allora. Ideato da Van de Velde per spiegare la propria ricerca, fu poi codificato da Edmond Picard nel 1894.
Il movimento trovò terreno fertile all’Expo del 1900 di Parigi e fu in seguito “incoronato” a Torino nel 1902 grazie esposizione internazionale di arte decorativa moderna, palcoscenico privilegiato, dove furono presentati i prodotti dei maggior designer europei, che Arthur Lasemby Liberty aveva lanciato nei suoi magazzini a Londra. Art Noveau quindi o Stile Liberty e tante altre terminologie che ciascun paese adottò facendo propria la tematica di base.
Fu questa la reazione alla neonata industrializzazione, che se da un lato esaltava gli animi, dall’altro creò paure dato che sembrava appiattisse e travolgesse tutto. Si rivendicava quindi il valore di quella sana artigianalità che sa coniugare mano mente e spirito. Mi fa molto piacere l’attenzione ad Alphons Mucha, esponente di spicco di questo movimento, artista emblematico della versatilità, troppo spesso ora equivocata come superficialità, liquidando così il parametro fondamentale connaturato all’essenza dell’artista.
Ernst H. Gombrich nell’incipit del suo trattato di Storia dell’Arte che personalmente considero più avvincente di un giallo, afferma che ” non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari per le stazioni della metropolitana, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose.
Non c’è alcun male a definire arte tutte codeste attività, purché si tenga presente che questa parola può significare cose assai diverse a seconda del tempo e del luogo, e ci si renda conto che non esiste l’Arte con la A maiuscola che è oggi diventata ridicola e spaventosa”. Avete letto bene. “Per la metropolitana”. Eccolo! è MUCHA…
Queste parole sembrano essere state scritte per lui. Una magnifica e preziosa collezione di suoi “Affiche” fa bella mostra di sé negli appartamenti del Doge a Palazzo Ducale, affiancati da una farragine di oggetti di uso diverso, specchiere scatole sculture di vetro di bronzo, manipolato alla stregua della seta, perché gli artisti vivevano e vivono cosi, sulla Committenza grazie alla quale il nostro Paese è uno scrigno d’arte unico al mondo.
Ieri papi principi imperatori, oggi i loro “eredi”, fedeli a quanto percepito e scritto già nel 1972 da Marco Valsecchi, che mi riempie di orgoglio dato che attribuisce agli italiani una naturale tendenza al bello. Vero, verissimo, ma fino a quando? Come sarà possibile salvaguardare e alimentare questo dono preziosissimo se la scuola ha infilzato i licei, il latino il greco la storia dell’arte nostro humus impagabile, e non solo nel 2008 la riforma della scuola ha addirittura imposto la chiusura dei laboratori degli Istituti d’arte.
È stata inaridita così la fonte preziosa di tutto quell’artigianato di alta qualità famoso nel mondo, e da cui scaturivano facilmente anche imprenditori e artisti che tanto hanno in comune. Ma torniamo alla mostra godibilissima di Mucha, che apre la mente e penso che offra stimoli e spunti di cui oggi c’è più bisogno che mai data appunto l’aggressività della globalizzazione che ripropone paure ed esaltazioni gia protagoniste più di 100 fa.
Lasciatevi quindi sommergere da tanto fascino con la speranza che possa stimolare in ciascuno di noi curiosità e voglia di sperimentare.