Scuola Holden: piccola riflessione sull’importanza della narrazione in Italia
La settimana scorsa ho avuto il piacere di trascorrere due bellissime giornate alla Scuola Holden di Torino. Il sabato sera ha avuto luogo il tanto atteso rollercoasterparty che viene fatto coincidere con il Salone del Libro.
Il cortile della ex Caserma Cavalli (restaurata da Renzo Piano) di via Borgo Dora brulicava di scrittori, attori, cantanti, giornalisti, studenti, conduttori radiofonici, gente insomma che ha qualcosa da raccontare o gente a caccia di una storia.
Fondata nel 1994 da cinque amici, la Holden è una scuola per narratori. Ciò che ti insegna è raccontare storie per mestiere, si non ho sbagliato a scrivere, per mestiere. È divisa in college, offre corsi biennali per studenti fino ai 30 anni e corsi più brevi, ma non meno intensi, per gli over 30. La parola chiave è uscire dalla zona di comfort, andare fuoripista alla scoperta di linguaggi solo in apparenza lontani da quello del college scelto, per imparare ad allargare lo sguardo, a vedere sempre più in là.
Narrare è un’arte. Narrare richiede tempo, osservazione, richiede una gran voglia di continuare a farsi delle domande, senza trovare sempre delle risposte.
È molto difficile però convincere chi ci sta attorno che vogliamo fare lo scrittore, l’attore, vogliamo lavorare in radio o fare film in un mondo dove l’informazione e il risultato devono essere immediatamente disponibili, senza tante storie, appunto.
Non dimentichiamoci però che da italiani dobbiamo moltissimo a chi prima di noi ha dipinto, ha scritto, girato film o diretto orchestre. La creatività è nel nostro DNA. Siamo cresciuti tra la bellezza e a questa ci siamo abituati, forse anche troppo però, perché non ci stiamo preoccupando abbastanza di crearne ancora. La possibilità di narrare costituisce un’enorme ricchezza per il nostro paese e noi dobbiamo assicurarci che non solo si continui a raccontare storie ma che altre persone che sentono questa necessità inizino a farlo con la stessa serietà con cui farebbero qualsiasi altro mestiere.
L’Industria della Cultura e della Creatività in Italia ha generato nel 2014 un valore economico complessivo di 46,8 miliardi di euro. La filiera creativa ha dato occupazione a quasi un milione di persone, con circa 850.000 occupati diretti nell’Industria. L’Italia è il primo paese al mondo per numero di siti patrimonio dell’umanità UNESCO. Quella italiana è la sesta editoria libraria al mondo per fatturato e ottava per numero di titoli pubblicati all’anno, vantiamo premi Nobel, più di 55 Oscar e la nostra lingua è la quarta più studiata al mondo.
I profili di occupazione nell’Industria della Cultura sono molto eterogenei, e qui la scuola Holden ci ha visto lontano. Si tratta di figure professionali poliedriche che sanno adattare il contenuto a diversi contenitori. Nonostante abbia conosciuto lunghi periodi di crisi, il settore è una grande opportunità anche per i giovani. La percentuale di giovani e di donne che ci lavorano infatti, non solo è molto alta ma è anche nettamente superiore a quella di altri settori. Essendo un mondo variegato necessita di più aggregazione tra le persone che ci lavorano e di molta più tutela da parte della politica.
È difficile trovare dati sull’Industria della Cultura e della Creatività in Italia proprio perché i suoi confini non sono sempre facili da delineare. Lo studio a cui facciamo riferimento è il primo in Italia di questo genere a cura di Ernst & Young (www.italiacreativa.eu). I diversi ambiti aggregati dallo studio sono 11 e vanno dalla radio ai libri, da quello della musica, del cinema, dell’architettura fino a quello dei videogames.
Se la creatività italiana pesasse sul PIL quanto pesa dai nostri vicini francesi, questo settore potrebbe generare 15 miliardi di euro in più e creare oltre 300.000 nuovi posti di lavoro.
Come in tante cose il primo passo lo si fa prendendo coscienza di una situazione. Deve essere la scuola a fare il primo passo. Come più volte ripetuto da Alessandro Baricco, scrittore e non a caso fondatore e preside della Scuola Holden, è importante spiegare ai ragazzi il perché oltre alla matematica devono studiare letteratura, greco e storia. Per motivarli, per dare uno scopo al loro percorso.
La cultura per mestiere deve recuperare la considerazione che merita e che è necessario rivolgere ad un settore che non solo apporta un enorme contributo all’evoluzione della nostra società ma che, come abbiamo osservato, offre occupazione. Tutela, aggregazione e sensibilizzazione sono le parole chiave.
“Tanti anni di studi per andare a chiacchierare in radio” o “Con la filosofia non ha mai fatto i soldi nessuno” (erano in dialetto ma qui ve le ripropongo tradotte) sono ahimè espressioni piuttosto ricorrenti dalle mie parti, per non parlare della prima in classifica – “Si va bene ho capito, ma che lavoro fai?”. Se proprio ci tieni a saperlo, simpatico amico, io di mestiere racconto storie, e tu, cosa fai?