Un Rach 3 al femminile

Fior fior di pensatori, filosofi, letterati e scrittori hanno da sempre sostenuto una piccolo verità sul mondo delle arti, ovvero che abbiano dei poteri. Quali siano questi, nessuno lo sa con precisione: il potere di emozionare? Il potere della catarsi? Il potere della fantasia? E fin quando una persona non assiste a determinati “spettacoli” che l’arte ci può offrire continuamente nella sue più svariate forme, non se ne capacita davvero e forse nemmeno ci crede. Ma quando si assiste ad un concerto di musica classica, come quello che ha chiuso il Festival Pianistico di Primavera dell’Orchestra Rai di Torino, allora sì che questi fantomatici poteri saltano all’occhio e colpiscono tutti i sensi, come un’ondata presa in piena faccia. Giovedì 18 giugno 2015 si è tenuto presso l’Auditorium Rai A. Toscanini di Torino l’ultimo pezzo mancante del puzzle chiamato Festival, ossia l’esecuzione del complicato e parimenti affascinante e travolgente Concerto n. 3 di Sergej Rachmaninov (conosciuto ormai più che altro con l’abbreviazione “Rach 3”). La popolarità di questa composizione si deve anche al film “Shine” del 1996, che racconta la lotta del pianista David Helfgott contro una malattia nervosa, forse causata dalla musica stessa, ma indubbiamente anche dal rapporto problematico e terribile avuto fin da bambino con un padre dispotico e molto severo.
E ad eseguire questa prova che ogni musicista può considerare una delle più difficili, una donna, la pianista russa Olga Kern: alta e biondissima, è riuscita davvero ad ammutolire e far salire la pelle d’oca costante per tutti i 43 minuti dell’esecuzione. Una performance che si è guadagnata una boato di applausi tanto da spellarsi le mani, e dico guadagnata perché è stato proprio uno di quei momenti: una di quelle parentesi della propria vita in cui ci si rende conto che la musica ha davvero dei poteri, che scivolano dai compositori al pubblico, che riescono a creare un’atmosfera a sé stante, come se tutti in quell’ora di concerto fossero rimasti chiusi dentro una bolla. L’energia che usciva dalle sue dita era ipnotica, la sua assoluta compostezza allo stesso tempo risultava quasi incredibile, la concentrazione legata anche al fatto di dover eseguire a memoria un brano che a vederne lo spartito si vede solo nero, tante sono le note che si accavallano l’una sull’altra. Trasparente anche la totale armonia tra l’orchestra, il direttore Juraj Valcuha e la pianista: un trittico delicato, ma così armonioso come fosse stato un quadro, che nessuno ha avuto dubbi dall’inizio fino al compimento dell’esecuzione che tutto sarebbe andato bene. Nel momento in cui il “Rach 3” è giunto al termine, la tenerezza e l’entusiasmo con cui Olga Kern si è alzata dalla sua postazione ed è andata ad abbracciare il direttore, proprio come gli stesse dicendo “Ce l’abbiamo fatta!” ha colpito tutti, nonostante la stanchezza di questa pianista fosse palpabile, il suo sorriso entusiasta sembrava volerle dare quella carica in più per assimilare tutti gli applausi.
Rebecca Cauda
22 giugno 2015