Bella Ciao. Il canto della resistenza

“Sta mattina, mi sun levata” canta una donna mentre insegue coraggiosa l’uomo amato: poche parole bastano per costruire l’incipit di una canzone destinata a divenire il simbolo della resistenza. Risalente presumibilmente da un canto francese del XV – XVI secolo, O bella Ciao trae origine da un testo popolare diffuso in Piemonte e intitolato Fior di Tomba. A documentarne la struttura testuale fu il poeta e filologo Costantino Nigra, che ne incluse diverse versioni nei Canti popolari del Piemonte, pubblicati per la prima volta nel 1888.
Nella variante veneziana raccolta dall’autore, viene narrata la storia di una donna morta per amore e sepolta vicino ad un bel fiore tanto ammirato dai passanti.
Secondo alcune ipotesi più recenti, la melodia di O bella Ciao richiama la canzone yiddish, Koilen, intonata da ebrei dell’Europa orientale e registrata nel 1919 a New York dal fisarmonicista di origini ucraine Mishka Ziganoff. Lo studioso della British Library di Londra, Rod Hamilton ritiene che la canzone Koilen sia una variante Dus Zekele Koilen (“due sacchetti di carbone”), della quale esistono numerose versioni diffuse nei primi anni del 1920.
Altre teorie riconducono la composizione musicale, caratterizzata dalla famosa iterazione del termine “ciao”, più volte ripetuto, ad un canto infantile diffuso in tutto il nord, La me nòna l’è vecchierella, rilevato dall’etnomusicologo italiano Roberto Leydi:
“La me nòna, l’è vecchierèlla
la me fa ciau, la me dis ciau, la me fa ciau ciau ciau”
Studi precedenti sostenevano l’idea di una relazione tra la canzone partigiana e il canto delle mondine padane, registrato dalla cantante italiana Giovanna Daffini, nel 1962, e presentato, due anni dopo, al Festival di Spoleto nel 1964. Tuttavia, non è chiaro quale delle versioni (partigiana oppure operaia) si sia affermata per prima e, di conseguenza, quale delle due abbia ispirato l’altra. I tormenti e i soprusi di un lavoro estenuante venivano denunciati nel racconto delle mondine – le lavoratrici stagionali delle risaie – profondamente motivate e stimolate dalla speranza di libertà:
“Il capo in piedi col suo bastone
O bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao,
Il capo in piedi col suo bastone
e noi curve a lavorar”
[…] Ma verrà un giorno che tutte quante
O bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao,
Ma verrà un giorno che tutte quante
Lavoreremo in libertà”
L’idea di resistenza così fortemente espressa si ritrova evidente nel canto partigiano per eccellenza. Secondo lo storico italiano Cesare Bermani, O bella ciao fu l’inno ufficiale della formazione partigiana, la Brigata Majella – attiva in Abruzzo nel 1944 – diffondendosi successivamente anche tra le altre compagnie dell’Italia centrale. L’ipotesi tuttavia non risulta supportata da prove fondate: pur ammettendo che il canto fosse conosciuto durante la Resistenza, rimaneva appannaggio di piccoli gruppi di partigiani. È possibile che O bella Ciao sia nata in un secondo momento e che, tra i combattenti italiani, risuonassero altre melodie, come l’inno delle Brigate Garibaldi (legate al Partito Comunista Italiano), ripreso sulla falsa riga di una canzone popolare sovietica: Fischia il Vento/Katjuša.
O bella ciao, oggi, continua a richiamare atti collettivi di coraggio, di resistenza e di libertà, schierandosi duramente contro l’oppressione fascista e la silenziosa indifferenza.
“E le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E le genti che passeranno
Ti diranno «Che bel fior!»
È questo il fiore del partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!”