Quel che resta del giorno, l’eccessivo garbo di una casa inglese
Leggere un Romanzo del genere, di Kazuo Ishiguro, scrittore inglese di origini nipponiche, ai giorni d’oggi ci farà sembrare di andare ancora più lontani di un libro d’epica, in cui passioni, guerre e dannazioni fanno treccia alla vita così come oggi, in cui l’uomo sguazza nelle sue miserie, vizi e virtuosismi.
Il titolo, Quel che resta del giorno, riassume in un binomio antitetico, un accenno di rimpianto per ciò che si è perso in gioventù per rincorrere l’ideale della perfezione professionale, e una coraggiosa speranza per ciò che ancora ci rimane da vivere. Ci sarà ancora posto per l’amore?
Mr. Stevens è un uomo d’altri tempi. Un maggiordomo ligio al suo dovere, che basa tutta la sua esistenza sull’etica del lavoro, sulla perfezione delle prestazioni, sul rispetto assoluto del suo signore.
Assolutamente addestrato all’abnegazione di sé stesso, e alla soppressione della sua essenza pur di soddisfare i desideri del proprio datore di lavoro, e svolgere le sue mansioni in modo impeccabile.
Solo una volta ormai da vecchio, durante il suo primo viaggio di sei giorni dopo anni, a lui concesso da Mr Farraday, suo nuovo datore di lavoro, Stevens si rende conto che la sua vita è stata un fallimento, un doloroso castigo autoinflitto.
Il suo pianto sul molo è una resa definitiva e al protagonista di “Quel che resta del giorno”, nonché voce narrante, non resta che ragionare su quello che avrebbe potuto fare, su quello che avrebbe voluto vivere.
E ‘un romanzo che denuncia l’inesorabile crisi dell’aristocrazia inglese. La vendita di Darlington Hall a un signore americano, di usi e costumi differenti da Lord Darlington, con un senso dell’ironia che Stevens non riesce ad afferrare in pieno, rappresenta il tracollo di un sistema saturo e decadente, che nonostante pieno di storia e grazie è destinato a dare il largo alla spavalderia americana.
Le porcellane non avranno più quel ruolo, lasceranno anche esse spazio al caos americano.
Stevens rimane ancorato a un sistema di valori dal sapore arcaico che si regge unicamente sul significato della dignità, e l’etichetta: il the delle cinque, il limone ben tagliato in fondo la tazza, il suo latte.
Stevens è un narratore inaffidabile, riporta la sua versione dei fatti, non riesce a narrare quello che è successo senza alterare il racconto con elementi soggettivi per esigenze personali. Nega di aver lavorato per Lord Darlington, conscio che quest’ultimo ha collaborato con i nazisti e ha persino costretto il maggiordomo a licenziare i membri ebraici del suo personale, anche se Stevens ha lavorato per molti anni per lui e scrive di andarne fiero.
“Ho dato a Lord Darlington il meglio di me.”
Anche dal confronto tra Stevens e Miss Kenton, che trova il suo spannung nel dialogo finale, emergono due mondi simili eppure con visioni opposte. Miss Kenton ha una vita oltre il lavoro, crede nel valore della famiglia, nel successo di avere una figlia, poi un nipotino. Mostra maggiore umanità, persino debolezza dinanzi alla morte della zia, che è stata quasi una madre per lei, rispetto alla freddezza di Stevens, il quale, di fronte alla morte del padre, non rinuncia al suo lavoro per assistere l’anziano genitore nei suoi ultimi momenti di vita.
Stevens non dirà mai alla signora Kenton cosa provasse,
James Ivory nel 1993 ne farà un film di successo, con una straordinaria Emma Thompson e un commovente Anthony Hopkins.
Una riduzione cinematografica che ha raccolto ben otto nomination al premio Oscar e costituisce il completamento e la negazione del romanzo, dal momento che è presente una conclusione certa, con una maggiore attenzione alla questione sentimentale. Il libro non ha un finale, si chiude con una speranza mista a un senso di incertezza, di delusione guardando al passato. La memoria ha il valore di filo conduttore che lega il passato di Stevens e il presente del suo viaggio, in un racconto che si dispone su più piani temporali, con più filtri letterari. Una delle scene più significative del film è quando la signora Kenton irrompe nella stanza del protagonista e lo sorprende leggere una storia d’amore, provocando in egli grande imbarazzo. Il film com’è il libro provocano nello spettatore una continua e trattenuta voglia di commuoversi, ma farlo romperebbe quell’atmosfera, in cui i sentimenti sono sempre celati, segreti, scandalosi. Lo spettatore è quasi con rispetto alla storia che non si lascia andare ad un emozione, ad un suono.
Quel che resta del giorno, titolo del film e libro, è la parte più bella della giornata secondo la narrazione del signor Stevens. La sera è il momento del riposo, degli incontri, della lettura dei suoi tanto amati libri. Questa storia è come guardare una gabbia aperta una miriade di uccelli pronti a spiccare il volo, ma che non riescono a farlo. Il fiato resta sospeso ma il garbo con cui il film ti educa non farà non solo spiccare il volo agli uccelli, ma non spingerà neppure noi stessi ad incoraggiarli.
Il tempo perduto e la speranza che il signor Stevens ha di essere ancora felice, la timida voglia di andare ancora avanti e pensare ancora all’amore, fanno amare questo personaggio. Il signor Stevens sa che una vita senza amore è una vita che non vale la pena vivere. Il finale sia del film che del libro resta aperto, riuscirà il maggiordomo inglese a lasciare spazio alla passione?
“Si usa dire a volte che i maggiordomi esistono davvero solamente in Inghilterra. Altri paesi, quale che sia il termine effettivamente usato per definirli, hanno unicamente dei domestici. Io sarei propenso a credere che ciò sia vero. Gli europei non sono in grado di fare i maggiordomi, perché come razza non sanno mantenere quel controllo emotivo del quale soltanto la razza inglese è capace.”