La Pittura come strumento di ricerca: l’opusartistico di Radomir Damnjanović
Radomir Damnjanović ha saputo coniugare la tradizione artistica con l’innovazione, esplorando nuovi media e ridefinendo il rapporto tra arte e spettatore, dalla Jugoslavia socialista agli spazi milanesi.
Pittore, artista concettuale e performer, RadomirDamnjanovićDamnjan, classe 1935, vede gli albori della sua carriera sulla scena artistica di Belgrado negli ultimi anni Cinquanta, dopo la laurea all’Accademia belgradese delle Belle Arti nel 1957.
La pittura con elementi simbolici, astratti e minimalisti caratterizza i primi anni della sua carriera, nonché il periodo belgradese e, di conseguenza, serbo e jugoslavo.
Si è spesso associato Damnjanović ad un modello pittorico “moderatamente modernista”, negli anni della Jugoslavia socialista.
Dal 1974 a oggi, inizia il suo periodo milanese e italiano, nel quale si affranca dal movimento del concettualismo.
A partire dagli anni Settanta, inizia ad utilizzare i nuovi media, come il video, la fotografia e la performance visiva. La sua pittura, in questo periodo, si avvicina di più ad una prospettiva analitica.
La personalità di Damnjanović è incidente non soltanto per la sua variegata produzione artistica, che vanta varie tecniche e discipline, bensì per il grande numero di eventi a cui l’artista ha partecipato.
Nel 1976 prende parte alla Biennale di Venezia: “Niente di superfluo nello spirito” è il titolo di un’opera che espone alla Serenissima e il concetto che segna il suo avvicinamento al riduzionismo.
La pittura si trasforma in oggetto di esplorazione: essa non deve più rappresentare qualcosa ma deve divenire lo strumento di studio del legame tra l’artista e la tela, tra l’arte nel senso più pragmatico e la traccia che questa lascia sulla superficie.
Il linguaggio e la parola scritta viaggiano indipendenti sula tela o applicati a un oggetto, creando un dialogo tra segno e significato.
L’artista vuole liberarsi dell’esteticità dell’arte: lo spettatore deve creare l’opera.
Quest’ultima acquisisce significato e prende vita attraverso lo sguardo e l’interpretazione visiva e linguistica di chi la osserva con spirito critico.
Negli anni Novanta torna ai temi della natura morta, ai ritratti e agli autoritratti creati come installazioni a pavimento o a parete dipinte nello spirito del nuovo pointillisme.
Molte delle sue opere si trovano in importanti musei come il Centre Pompidou di Parigi, il MoCA in S. Francisco, il Moderna Museet Stoccolma, il Museo de Arte Contemporanea Belo Horizonte, il Museo d’Arte Moderna di Belgrado, il museo Guggenheim di New York e il Fondo Artistico dell’Archivio Storico della Biennale di Venezia