Ferie d’Agosto: il mese più fugace dell’anno

Agosto: ottavo mese dell’anno, cuore e fine della bella stagione. Mese per celebrare gli dèi. Controluce a un tramonto di pesca e zucchero come scrive “Garcia Lorca”, il quale ci invita ad approfittare della fugacità dei suoi trentuno giorni.
Nel 1996 uscì il Film di Paolo Virzì: “Ferie d’Agosto”; una storia corale che vinse il Davide di Donatello. <<Voi intellettuali v’atteggiate tanto, parlate così sofistici, state sempre a analizzà, a criticà, a giudicà… Ma la sa qual è la verità? La verità è che non ce state a capì più un cazzo, ma da mo!>>, dice il Ruggero Mazzalupi del compianto Ennio Fantastichini in una scena chiave.
Nell’anno in cui il Governo Prodi fa cadere il primo governo Berlusconi, due famiglie totalmente diverse si troveranno a condividere due case vacanze nello stesso terreno presso l’antichissima isola di Ventotene. Il regista di Livorno metterà lo spettatore davanti un’analisi sociale pungente e spietata.
Da una parte c’è il gruppo familiare guidato dal giornalista Sandro Molino (Silvio Orlando), che si contraddistingue per una morale progressista e inclusiva (sono presenti nel suo nucleo una coppia gay, una vera e propria famiglia allargata, consumatori di droghe leggere, praticanti del nudismo, scrittori, intellettuali, pseudo attori), e il loro senso di sciocca superiorità li accompagnerà per tutto il film.
Sulla componente più sempliciotta e volgare della società invece: la famiglia Mazzalupi, guidata dal proprietario di due armerie Ruggero (Ennio Fantastichini) e contraddistinta dal qualunquismo politico e ideologico e da un ostentato disprezzo per gli intellettuali e per le principali norme di civiltà.
Gli animi si adirano quando viene, per via di uno scherzo crudele, ferito un venditore ambulante extracomunitario, a causa di un colpo d’arma da fuoco stupidamente sparato da Ruggero dopo una piccola discussione sull’acquisto di un paio di occhiali da sole.

Ferie d’agosto è indubbiamente figlio della lunga e florida tradizione della commedia all’italiana, capace di coniugare efficace intrattenimento con una riflessione aspra e amara sulla società. Un film riuscitissimo e ancora attuale dopo quasi trent’anni.
Nell’approccio narrativo di Paolo Virzì e del suo fidato co-sceneggiatore Francesco Bruni è però evidente anche l’amore per la grande commedia corale americana, a partire dal mai abbastanza citato. Il grande freddo, non a caso particolarmente caro a entrambi.
Il regista lavora sui personaggi, sulle loro fragilità sul loro squallore, sulle loro sofferenze e frustrazioni. Senza giudicarli e rappresentandoli nel bene e nel male in tutta la loro umanità, sono uomini incastrati in una vita che hanno scelto da troppo giovani, vivono di rimpianti e perduti amori, con la stremata voglia di dare finalmente orecchio al vero sé, che altro non chiede di poter vivere.
Al centro del racconto in questo caso c’è una contrapposizione sociale, che non si limita alla politica ma abbraccia tutti gli altri aspetti della vita, sapientemente tratteggiati da Virzì. Da una parte i Molino, che accettano senza particolari problemi la mancanza di corrente elettrica, trascorrendo le serate cantando e parlando di arte, dall’altro canto i Mazzalupi, che al contrario di fanno carte false per avere accesso alla televisione (e soprattutto alle trasmissioni berlusconiane), sono tutti benestanti, disprezzano apertamente le minoranze e hanno un rapporto molto più malsano e provinciale con l’amore, assolutamente assente di coraggio; come dimostra la passione di Ruggero per la cognata Marisa (Sabrina Ferilli), sposata con il suo mediocre socio Marcello (Piero Natoli). Le continue liti portano a un confronto diretto fra i Molino e i Mazzalupi, che degenera rapidamente in scontro politico.
I primi accusano apertamente i secondi di fascismo e atteggiamento di stampo mafioso, i secondi sostengono la propria distanza dalla politica, rimarcando però la loro abnegazione lavorativa e il totale scollamento degli intellettuali dal paese reale. In un’affollata tavola, durante una serata estiva al lume di decine di candele in una piccola isola laziale, si raffigura la sintesi politica e sociale degli ultimi 30 anni, che Virzì e Bruni hanno saputo leggere con buon anticipo. Anche perché la sceneggiatura è stata scritta bene due anni prima dalla caduta del governo di destra.
Incompiutezza e insoddisfazione segnano le vite di ogni personaggio. Gli ideali di sinistra vanno dissolvendosi tra le nuvole di Ventotene, gli stessi giovani della famiglia Molino ne deridono inneggiando all’anarchia. I Mezzalupi tra ignoranza e tradimenti in casa tirano avanti. Alla fine dell’ennesima lite familiare l’unica cosa importante da sapere è se ci sono i biscotti per la colazione e se per cena andranno bene le seppie coi piselli.
Solo i bambini sono belli, onesti e puliti in questa commedia agrodolce, la piccola Martina (Agnese Claisse), del nucleo Molino, è felice di vedere la mamma innamorata del suo secondo marito e l’idea di avere due papà la entusiasma. L’adolescente Agnese (Vanessa Marini), dell’altro nucleo, si innamora del bello e snob Ivan (Emiliano Bianchi); proprio loro, i bambini e i ragazzi porteranno la poesia in un trionfo di trivialità che non risparmierà nessuna delle due famiglie.

Martina chiederà durante un bagno, al suo secondo padre, di recitarle “Riviere” di Eugenio Montale; questo è forse il più bel frame del film in cui la voce Silvio Orlando recita pochi incantevoli versi di una poesia in cui il ritmo è variabile e le rime sono rare. Poi c’è anche la poetica affettuosamente definibile neorealista di Agnese, che quando vedrà il suo Ivan lasciare l’isola con un’altra del suo entourage, dopo una corsa a perdifiato verso il traghetto che abbandona il molo, urlerà a squarciagola: “Stronzo, Stronzo, io ti amo”.
Un altro film ambientato nel mese di agosto, con un finale assai simile, seppur la trama e gli anni sono completamente differenti, è: “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’ Agosto” del 1974 di Lina Wertmüller. Anche qui il caldo e un amore impossibile danno vita ad un inseguimento ricco di amore e imprecazioni verso la propria amata che fugge con qualcun’ altro.
Un indimenticabile Giancarlo Giannini urlerà da sotto un elicottero ormai in volo, alla divina Mariangela Melato, anche essa in fuga con uno del suo entourage: “Fitusa traditrice bottana, lo sapevo che non dovevo fidarmi di una ricca, e i ricchi ti fottono sempre, ora mi lasci solo”. Agosto è fugace e travolgente, da afferrarne ogni momento in quanto sentinella dell’inverno. Ma per innamorarsi c’è sempre stata la primavera.