Lucrezio annuncia cose inaudite
Cosa libererà l’umanità dalle tenebre in cui è avvolta? Non saranno gli dèi o i loro figli sui nostri troni. Bensì, “la visione e la scienza della natura”. La conoscenza è l’antidoto alla paura. Questo è il mantra programmatico del De rerum natura di Lucrezio, celebre poeta latino vissuto attorno al I secolo a.C.. Una sfida radicale lanciata a tutto il panorama politico e religioso romano.
Il De rerum natura è un’opera tanto scomoda, iconoclasta e anticonformista da subire la damnatio memoriae di tutto il mondo latino-romano nei secoli a seguire. Lo spiega sapientemente Ivano Dionigi nel suo libro “L’Apocalisse di Lucrezio: Religione, Politica, Amore”, edito da Raffaello Cortina Editore. Sconosciuto a Dante, Petrarca e Boccaccio, assisteremo ad una nuova primavera lucreziana soltanto nel Rinascimento a seguito della riscoperta dell’umanista Poggio Bracciolini nel 1417.
La verità di cui il poeta latino si fa portavoce è devastante. È una verità da cui l’umanità si è sempre dovuta difendere creando una pletora di fragili sovrastrutture. Dalla religione, al culto politico e persino nella concezione dell’amore. Non sono altro che convenzioni atte a conservare l’ordine sociale e politico, ma, al contempo, ci condannano all’infelicità. Forse, il celebre psicanalista Jacques Lacan prendeva spunto proprio da Lucrezio quando affermava che “il rapporto sessuale non esiste”. Esso, come sostiene il poeta latino, non è che una frustrante e irrisolta lotta tra corpi che cercano inutilmente di fondersi in un’unità inscindibile.
Ma cosa vuole rivelarci Lucrezio? Una realtà fatta di atomi eterni e indistruttibili privi di una mente ingegnosa che ne decida i movimenti. Se non l’intrinseca libertà meccanica concessa dal clinàmen, la deviazione infinitesima e casuale dei moti degli atomi. Quella affrescata da Lucrezio è una natura sorretta dalla legge d’isonomia. Un equilibrio di forze uguali e contrarie, vita e morte, creazione e distruzione. In quest’incessante vortice, in realtà, nulla si crea e nulla si distrugge davvero, perché gli atomi, indistruttibili ed eterni, danno continuamente vita a nuovi mondi. Che il poeta latino abbia anticipato di due millenni il celebre Lavoisier?
Ecco che allora diventa fondamentale per un epicureo come Lucrezio accettare la distruzione, la malattia, la rovina di un’epoca “stremata”: la Morte. Nulla può sfuggire alla mors immortalis. Ma cos’è in fondo essa, se non un intermezzo tra l’eternità che ci precede e quella che ci segue? Un puro accidente naturale. Tutt’altro che penosa e contro natura, come avrebbe affermato Agostino in polemica con epicurei e stoici.
Ma allora? Che spazio per l’umanità? Che ruolo rimasto per una creatura verso cui gli dèi – stando alla lezione dello stimato maestro Epicuro – sono incuranti, addormentati nella loro summa pace? Non v’è altro destino per il sapiens che essere “un frammento brulicante del dramma universale”. È la Natura la vera protagonista della nostra storia:
“Nessuna centralità dell’uomo o dell’universo, dal momento che gli universi sono infiniti; e nessuna gerarchia tra le foglie degli alberi, i fiocchi di neve, i sassi del fiume, le messi, gli arbusti, le specie dei viventi, il cielo, il mare, la Terra. Tutti della stessa natura, formati dagli stessi atomi (eadem elementa), governati dalla stessa legge, vincolati dallo stesso principio (eadem ratio). Tutto è in relazione, anzi tutto è relazione e ha un destino comune e quindi tutto ha la stessa dignità”
Ivano Dionigi mette abilmente in risalto quanto nel poeta latino si consumi una vera e propria uccisione della visione classica, consistente in un cosmo ordinato e antropocentrico. Abitiamo una natura matrigna, come ci ricorda il Dialogo della Natura e di un Islandese di Leopardi, non pensata per noi, non curante delle nostre sofferenze e non a nostra misura. Eppure, può essere compresa dalla ragione e dalla vista, scrutata con tranquillità e consapevolezza. Non c’è da sorprendersi, d’altronde, che autori come Machiavelli, Bruno, Goethe, Leopardi ed Einstein ne fossero profondi estimatori.
Seppur si allontani dalle calde rassicurazioni antropocentriche, il monito di Lucrezio, sottolineato da Ivano Dionigi, è quello di una responsabilizzazione di ciascuno di noi. In un mondo convinto di poter piegare la natura ai suoi scopi (con gli esiti ecologici che tristemente osserviamo) e sempre sedotto dalla ricerca del potere, nulla ci sottrae al caos e al nostro “destino comune”. La prospettiva è drammatica e al tempo stesso liberante. Ci rende liberi di studiare, capire senza pregiudizi la complessità, abbandonare mitologemi e convenzioni sociali manipolatorie. Perché liberarci dalle nostre paure è l’unico ponte di passaggio verso la nostra felicità.