ISMEO, a lezione di diplomazia archeologica
L’ISMEO, ’Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente. ISMEO non è soltanto studio, formazione e ricerca ma anche promozione e sviluppo di rapporti culturali, scientifici e di cooperazione con entità internazionali. Con il suo Presidente, Adriano Rossi, abbiamo avuto l’opportunità di entrare all’interno del vasto ecosistema dell’ISMEO, parlando di viaggi, campagne archeologiche in zone di guerra e sui modi per valorizzare il patrimonio storico-culturale dei Paesi dell’Asia e dell’Africa. Il tutto condito da un’unica parola d’ordine: diplomazia archeologica.
Per rompere il ghiaccio: quali sono le attività principali svolte dall’ISMEO?
ISMEO – l’Associazione internazionale che prosegue da oltre dieci anni i fini dell’IsMEO (1933-1995) e dell’IsIAO (1995-2011) – costituisce un’interfaccia soprattutto tra il mondo occidentale e l’Asia e, oggi, naturalmente, anche con l’Africa, entrata in maniera rilevante nelle nostre tematiche di studio. In generale, tutto ciò che è studiabile archeologicamente, epigraficamente e linguisticamente, nelle diverse realtà dei paesi dell’Asia e dell’Africa, è di nostro interesse. Grazie ai nostri accordi con oltre cenyo tra università e istituzioni di ricerca italiane e straniere, possiamo disporre di specialismi di tutti i tipi, anche se il nostro campo centrale rimane l’archeologia, che è stata a lungo ritenuta il campo quasi esclusivo degli studi dell’ISMEO, dovuto ad un interesse quasi ossessivo del suo fondatore Giuseppe Tucci, che talvolta, erroneamente, è stato definito come archeologo, quando in realtà è stato tutto – orientalista, buddhologo, esploratore e storico delle religioni – meno che tale!
Oltre all’archeologia, un campo in cui ci impegnamo a fondo è la linguistica, sia descrittiva sia, in particolare, la lessicografia. Ad esempio, abbiamo pubblicato recentemente un dizionario sumero e, in corso di ultimazione, ci sono, tra i tanti, anche un dizionario assiro, uno fenicio e uno, etimologico, baluci, che sto dirigendo personalmente da circa quarant’anni.
Inoltre, siamo presenti in molte attività di impegno sociale: corsi di cultura somala fatti in collaborazione con la regione Friuli, così come, in modo analogo, abbiamo svolto corsi di cultura curda all’Università Roma Tre. Un’altra attività che, ultimamente, ci ha impegnato molto è stata quella dell’organizzazione dei concerti di allievi e docenti dei conservatori provenienti dall’Asia e dall’Africa che vengono nel quadro di programmi di scambio organizzati da noi e ospitati da vari conservatori italiani: quest’anno, ad esempio, il concerto di apertura dell’anno accademico al conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli ha avuto particolarmente successo.
L’attività musicale, pertanto, è un nostro importante punto di forza e tutto questo è possibile grazie ad un finanziamento pluriennale del Ministero dell’Università e Ricerca. Da ultimo, e non per importanza, tra i progetti del nuovo ISMEO c’è stata la riapertura della “Biblioteca IsIAO” all’interno di spazi dedicati dalla Biblioteca Nazionale Centrale: la collezione conta più di 250.000 volumi ed è una delle più grandi collezioni di africanistica e di orientalistica d’Italia. Insomma, svolgiamo parecchie attività, sostenute anche dal fatto che abbiamo un periodico di rilevanza internazionale, East and West, rivista specialistica di fascia A, che oggi ha due comitati internazionali ed è molto nota anche perché è stata sempre pubblicata in lingua inglese, fin da quando Tucci la fondò nel 1950, e questo è per noi motivo di grande orgoglio.
Viviamo in un periodo di forte instabilità geopolitica: quali sono i rischi, soprattutto a seguito dei conflitti che stanno sconvolgendo sia il Vicino che il Medio Oriente, per il patrimonio storico?
Questo è un altro dei fattori che l’ISMEO ha sempre cercato di mettere al centro dell’attenzione internazionale, fin dalla sua istituzione, nel 1933. Già Tucci si faceva garante del dialogo tra le diverse culture del Vicino e Medio Oriente e tutt’oggi lavoriamo con specifiche e mirate iniziative nello stesso senso: ci si fa garanti del fatto che, in primis, il dialogo sia tra le culture di paesi di antichissima civiltà, anche se le realtà degli schieramenti politici non sempre rendono possibili le iniziative necessarie.
Per esempio, l’UNESCO è un’entità internazionale con la quale siamo in contatto e abbiamo svolto concrete azioni, nello specifico caso dell’Iran, per far dichiarare un’area a rischio, quella di Firuzabad, come parte del Patrimonio mondiale. Questo noi lo facciamo – l’Italia l’ha sempre fatto – da molto tempo. Con la nostra presenza italiana laddove, dove siamo riusciti a costruire una base stabile, una foresteria, una biblioteca, una sala convegni, un piccolo museo, si è di fatto creato un punto di stabilizzazione e di dialogo civile. Cose del tutto analoghe sono accadute anche in Afghanistan e in Pakistan, si creano dei rapporti stabili e, così facendo, l’opera degli archeologi italiani viene ricordata positivamente. Riconosco che stiamo parlando di piccoli punti di stabilizzazione, ma ritengo comunque che tutte le iniziative di lungo respiro debbano fondarsi su base bilaterale. Certo, per carità, non bisogna mai sottovalutare gli accordi che prevedano l’azione di organizzazioni internazionali ma credo che il vero aiuto a stabilizzare la società possa arrivare da legami bilaterali.
Come ISMEO, siamo attivi attualmente, ad esempio, in Afghanistan e in Sudan, nel quale ultimo abbiamo due missioni di scavo. In questo momento, però, in Sudan è tutto bloccato perché è in atto una guerra civile e non è chiaramente una situazione facile. Naturalmente riusciamo a garantire la non distruzione dei magazzini archeologici. In questi frangenti, l’Italia mantiene un ruolo proprio per quello che il nostro paese ha rappresentato nel passato, ma si tratta di un prestigio che però sta un po’ cominciando a perdere, quindi non sappiamo fino a che punto rimarrà il logo della Repubblica italiana con la scritta Ministero degli Esteri in tutte queste missioni su cui siamo attivi. Insomma, c’è tutta una diplomazia, anche a base archeologica.
Diplomazia archeologica è un concetto molto interessante, poco conosciuto, che forse meriterebbe più spazio. Ampliando un po’ il discorso, potremmo riflettere sui rapporti che esistono tra storia, politica e archeologia. Sarebbe interessante ragionare attorno all’utilizzo politico che è stato fatto della storia dell’archeologia…
In questa domanda c’è un riferimento implicito a tutto il ruolo che ha esercitato l’ISMEO nel corso della sua esistenza. Il nostro compito è quello di aiutare anche gli studiosi meno armati di strumenti per la comprensione critica – perché non tutti gli studiosi sono critici abbastanza – e cerchiamo di fornire loro mezzi per fare dei ragionamenti corretti dal punto di vista storico, correggendo una visione influenzata dal nazionalismo politico che ha molto influenzato la lettura – sia in Oriente che in Occicdente – dei dati archeologici. Mi viene in mente il caso del Turkmenistan, che è stato discusso anche a livello mondiale e non solo tra gli studiosi specializzati di quel settore.
Uno studioso aveva sostenuto di aver trovato un tempio zoroastriano e, pertanto, questo serviva per comprovare che gli zoroastriani, indo-europei, erano insediati nel paese fin dal 2000 a.C. È un esempio di come possa avvenire l’infiltrazione del nazionalismo politico perfino nella stesura delle didascalie dei musei, per capirsi, quelle che si stampano sotto le foto in un manuale e possono provocare storture in una direzione o in un’altra. Il rischio di creare didascalie e illustrazioni storiche “di parte”, per così dire, è reale.
Un altro punto che ci interessa è quello di sapere quanto la tecnologia moderna si unisce alle archeologie e questo, effettivamente, è un periodo in cui siamo testimoni di una grande evoluzione della tecnologia applicata, nel nostro campo, allo studio dei colori o alle tecniche di smaltamento nell’antichità. Tutto ciò è possibile grazie ad una collaborazione internazionale e nuovamente osservo che questa si realizza meglio su base bilaterale. Le analisi con tecnologia del radiocarbonio, ad esempio, sono soggette a costanti evoluzioni e le nostre università, dalla Federico II, alla Sapienza, a Bologna quanto a Urbino riescono a mantenere il passo. Quando c’è una vasta collaborazione internazionale, i risultati arrivano anche più facilmente, come accaduto molto spesso, ad esempio, in Iran con la cooperazione tra Italia e Francia…
In merito alla tradizione storica dell’Iran, quale potrebbe essere un possibile ruolo futuro del Paese?
Questo è un punto molto importante dal punto di vista anche soltanto giornalistico. Ci sono giornali più vicini all’area cattolica o pontificia, che riconoscono dei forti legami tra il Vaticano e le sfere politiche dell’Iran contemporaneo, ma questo è la prosecuzione di qualcosa che è sempre esistito. La grande amicizia che si stabilì nel Cinquecento tra il Papato e l’Iran avvenne per alleanze in funzione anti-turca, che erano un pericolo per tutti i paesi europei del Mediterraneo. Anche quando questa specifica alleanza economico-militare cessò, gli accordi culturali si mantennero vivi, quindi ecco per quale motivo nelle biblioteche vaticane vi sono grandi quantità di materiali documentari riguardanti l’Iran. Un’altra prova è il fatto che l’ambasciatore in Vaticano oggi conti politicamente più di quello presso lo stato italiano, proprio come se si fosse instaurato nel tempo un ordine gerarchico, riconosciuto magari solo informalmente.
Pertanto, rimane il fatto che l’Italia era, prima ancora di più, ma in fondo è ancora, anche se un po’ in diminuzione, un punto di riferimento importantissimo per la politica dell’Iran.
L’ultima riflessione era più che altro una suggestione riguardo lo spazio e la ricerca spaziale dell’archeologia. Quindi scavare un po’ più in profondità e comprendere se potesse esserci un’ibridazione tra metodologie filologiche e archeologiche…
Oggi si vede che, a parte i riferimenti strettamente legati alla tecnologia – a cui ho fatto cenno precedentemente – c’è una figura che si afferma sempre più nell’applicazione delle tecnologie: gli analisti d’immagine. Era una funzione che hanno sempre sviluppato i tecnici dei servizi di sicurezza, la CIA e il KGB in particolare. Sono cose che vanno molto indietro nel tempo, fin da quando, forse fin dalla Seconda Guerra Mondiale, si specializzarono gli analisti di fotografie aeree. Questa figura dell’analista di immagini satellitari credo che in un prossimo futuro si possa specializzare in analista di immagini a fini archeologici. Conseguentemente, credo che presto verrà formalizzata anche una specializzazione universitaria in fotografia archeologica, che è un campo su cui ho avuto anche dei dialoghi con vari professori italiani (da ultimo ad es. all’Università di Bologna e di Viterbo) e potrebbe, nel prossimo futuro, rivelarsi un campo di studi interessante.