No Pasarán! (almeno stavolta)
La storia del Novecento europeo si semplifica spesso in una dicotomia che divide il secolo breve nei due conflitti mondiali. Una scansione temporale che sembra contemplare solo due tempi per quanto riguarda il fallimento della democrazia e l’avvento dei fascismi: il 1914-1918 e il 1939-1945. Sappiamo quanto la storia contemporanea sia ben più complessa e per citare Marc Bloch diremo che “l’incomprensione del presente cresce fatalmente dall’ignoranza del passato”. Difatti, dare ancora oggi poco spazio alla fine della Seconda Repubblica Spagnola è anche dare poca importanza a un evento storico il cui impatto ha mobilitato, con l’anima e con il corpo, centinaia tra intellettuali e artisti dello scorso secolo.
Antonio Di Grado ha pubblicato, per La Nave di Teseo, La brigata delle ombre. Scrittori e artisti nella guerra di Spagna. L’opera si presenta sotto forma di confessione, uno stile colloquiale e introspettivo ci guida in una lettura fluida e scorrevole ma allo stesso tempo accademicamente ricca di contenuti. Di Grado ci porta indietro nel tempo, lasciandoci rivivere i tragici momenti successivi al golpe di Francisco Franco del 18 luglio 1936 e lo fa con le parole di un’interminabile brigata composta da scrittori, poeti e artisti di tutto il mondo che, in nome e in difesa della libertà, chi più chi meno, si unirono alle Brigate internazionali, gruppi di volontari stranieri pronti a imbracciare le armi contro l’incubo della futura dittatura franchista, il regime militare più longevo d’Europa.
“Oggi in Spagna, domani in Italia” diceva Carlo Rosselli. Un’unica idea, combattere il Fascismo, che fosse in Spagna o altrove poco importava, ciò che era necessario era non piegarsi alla violenza liberticida. Federico García Lorca, Saint Exupéry, Antonio Machado, Ernest Hemingway, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Simone Weil, Maria Zambrano, George Orwell, Mercè Rodoreda. Tutti uniti sotto l’egida di quel motto che passò alla storia e la leggenda vuole venisse riportato dalla bocca della Pasionaria: No Pasarán! gridava Dolores Ibárruri, simbolo immortale della Resistenza spagnola. Ma la storia non è andata come l’intellighenzia internazionale sognava e Di Grado ce lo ricorda riproponendo opere e documenti preziosissimi:
“Nel pugno chiuso una manciata di terra”: sono parole rubate a una struggente sequenza del documentario di Fréderic Rossif Morire a Madrid, sulla guerra civile che nel 1936-1939 devastò la Spagna, opponendo alla legittima Repubblica l’esercito golpista di Francisco Franco e i suoi alleati nazifascisti italo-tedeschi. A salutare con il pugno, emblema comunista, socialista e anarchico di solidarietà e di lotta, sono i combattenti repubblicani sconfitti, al cui desolato esodo dalla patria ispanica assistiamo nelle ultime sequenze del film. Ma in quel pugno chiuso i miliziani e le loro famiglie stringono “una manciata di terra”: la loro terra, su cui hanno versato invano il proprio sangue; la loro terra, di cui in quel pugno serberanno tangibile memoria e indomiti furori”.
E i “furori” collegano idealmente la Spagna di Dolores Ibárruri alla Sicilia di Elio Vittorini che nella sua Conversazione di astratti furori ne impregnava le pagine. L’asse Sicilia-Spagna non è di matrice aragonese bensì letteraria e non c’è da stupirsi di questo legame soprattutto dopo aver letto il libro di Antonio Di Grado che colloca in maniera impeccabile il pensiero di autori come Elio Vittorini, Vitaliano Brancati e Leonardo Sciascia, quest’ultimo caro amico e confidente dell’autore.
Dopo una longeva carriera accademica in qualità di professore ordinario di Letteratura italiana, Antonio Di Grado ci consegna un’opera enciclopedica e ricchissima di spunti, riflessioni e visioni di un periodo storico che molto ha influenzato artisti e scrittori. Opera scevra di preziosismi indigesti, comunica forza e malinconia per una rivoluzione culturale e intellettuale fallita il cui ricordo però nutre e rafforza la speranza per i giorni a venire.