Il Dizionario Gonzo e la vita di Carlos D’Ercole

Metà mattinata di un giugno qualsiasi a Roma ma a Trastevere fa caldo come fossimo a fine luglio ed in mente ho ben sei domande personali da fare a Carlos D’Ercole. Entro nel Caffè Settimiano, Carlos è già lì, nelle precedenti settimane all’incontro c’eravamo già scritti per messaggi ma mai visti in presenza. Saluti di rito e caffè; mi dona i suoi tre libri: Dizionario Gonzo, Vita sconnessa di Enzo Cucchi e Casa come me, quest’ultimo uscito da pochissimo per quelli di Settecolori. Parliamo d’arte in generale, quindici minuti di scambi e opinioni culturali…non ho più bisogno di fare le famose sei domande, è un esteta di una cultura tanto bella quanto per pochi. Spagnolo ma vive in Italia, collezionista, viaggiatore: uno stanatore di curiosità. Torno a casa, metto i libri sulla scrivania e faccio mente locale: Casa come me ci sono troppe storie altrui, quello su Cucchi lo dice lo stesso titolo ed io sono in cerca di Carlos non d’altre storie, Dizionario Gonzo sia. Oggi con Carlos parleremo proprio di quel libro.
Ciao Carlos e benvenuto su 2duerighe.com. In Dizionario Gonzo c’è una parte di te suddivisa in libri, bellissime foto di copertine e chiaramente testo. Partiamo da Limonov, negli ultimi mesi, causa anche il conflitto in Ucraina, è un personaggio che sta tornando alla ribalta in alcuni ambienti. Chi era per te Limonov e cosa ti ha colpito?
Limonov l’ho scoperto con Il Libro dell’Acqua, che pubblicò all’inizio degli Anni Duemila Alet, glorioso editore padovano che durò poche stagioni. Mi colpì il modo diverso di raccontare le metropoli. Ancora oggi mi ritrovo in quella sua osservazione: “Erano belle le città malate, la New York degli Anni Settanta, la Parigi dei primi Anni Ottanta. La cosa più disgustosa è una città in piena salute, che trabocca grasso e merda”. Profetico: odio la Parigi e la New York di oggi. Mettici pure Londra.
Nel tuo libro parli del “rapporto” con la casa editrice Adelphi, affermi che non ha più la forza propulsiva di un tempo. Cosa è cambiato?
Gli Adelphi sono stati formativi nei miei 20 anni. Penso a Junger, Nietzsche, Cioran. Poi ho cominciato le mie avventure nella letteratura spagnola, francese con Anagrama, Seix Barral, P.O.L., Les Editions de MInuit.
Adesso con orgoglio posso dichiarare che la nuova Adelphi è la Settecolori che ho creato con Manuel Grillo e Stenio Solinas. In tre anni abbiamo dato vita a un catalogo eccezionale: Umbral, Prokosch, Mac Orlan, Semprun, Montherlant, Fleming, Giono, Eca de Queiroz.
Parlando della tua vita, citi un posto a te caro: il Teatro Valle. Il ricordo più bello legato al Valle e ,oltre il teatro, cosa ti manca di quel periodo della tua vita?
Quando penso al Valle mi tornano in mente gli anni della spensieratezza romana. Entravo al Valle dall’ingresso di servizio, complice il mitico custode Antonio Gabioli che mi faceva accedere alle prove degli spettacoli. Tra i 10 e i 25 anni ho visto di tutto. Peccato solo non aver conosciuto Carmelo Bene di cui ricordo ancora l’ultimo Pinocchio all’Argentina. Aggiungo: Vita di Carmelo Bene è ancora un mio livre de chevet.
Come si vive da “dèracinè”?
Bene, acrobaticamente. Mi piace vivere Roma da lontano, è il modo migliore per apprezzarla. Ti confesso che ho sempre più voglia di Madrid, soprattutto per andare a trovare Alberto Garcia-Alix, fotografo straordinario.
Nel libro parli di solitudine quando citi due pugili, precisamente la solitudine di un pugile messo a tappeto. Si dice che chi legge tanto, un po’ di solitudine la soffra. Cos’è la solitudine per Carlos? Ne hai mai sofferto e se si come la combatti?
No, sono pieno di amici. E che anche se non avessi, avrei la compagnia dei miei libri. A proposito di pugilato mi alleno ancora con Rocky Mattioli, campione del mondo degli Anni Settanta. Mi racconta spesso della sua amicizia con Roberto Duran e Marvin Hagler. Sono lezioni spirituali settimanali. Altro che solitudine.
Medio Oriente; aspettavo un affaccio su una città mediorientale per tutto il libro e poi è arrivata: Beirut. Ho avuto la fortuna di intervistare o interfacciarmi con un buon numero d’intellettuali, di destra e di sinistra…il fascino del Medio Oriente mette tutti d’accordo, un mix tra bellezza, nostalgia e mistero. Secondo te cosa spinge a scrivere e guardare con quegli occhi le terre mediorientali?
Il mio interesse per il Medio Oriente nasce grazie all’amicizia con Sari Nusseibeh, grande intellettuale palestinese vicino ad Arafat. Fu lui a suggerirmi la lettura di Samir Kessir, in particolare L’infelicità araba. Il mio viaggio a Beirut fu invece di puro piacere, ospite di amici armeni di Los Angeles. Notti indimenticabili in una rara parentesi di assenza di guerre e conflitti.
Si evince che hai viaggiato tanto, il corpo lo sposti facilmente ma in totale sincerità c’è un posto dove hai lasciato un pezzo di te?
Berlino nel 2003. Vivevo tra Mitte e Prenzlauer Berg. Ci torno adesso ad agosto dopo 20 anni di assenza. Vado al concerto degli Element of Crime, band storica tedesca. Non vedo l’ora.