“Il nostro cibo ci sta uccidendo?” Sembrerebbe proprio di sì…
The Big Idea, Libri di base per il XXI secolo, collana di saggistica della casa editrice “Nutrimenti”, è una raccolta di brevi saggi che affronta con spirito critico le grandi questioni dei nostri tempi. L’idea di partire da domande provocatoriamente scomode, in maniera diretta, è certamente vincente. Insieme alla grafica moderna e alle copertine dai colori sgargianti, i titoli della collana catturano l’attenzione a colpo d’occhio.
Il lettore percepisce l’urgenza della responsabilità collettiva di doversi documentare per poter rispondere al quesito in prima pagina. Inoltre, la gerarchia del testo suddivide i lettori in base al tempo che scelgono di dedicare alla lettura del saggio: la grandezza dei caratteri indica la scala di importanza dei concetti esposti nei vari paragrafi.
Il saggio “Il nostro cibo ci sta uccidendo?” è curato da Joy Manning, scrittrice, editrice e sviluppatrice di ricette salutistiche e Matthew Taylor, autore degli altri libri della collana e non solo, presentatore, oratore e amministratore dell’istituzione inglese RSA.
In questo saggio è affrontato il problema del caro costo che il moderno approccio all’alimentazione comporta. In quest’ottica, l’ormai inflazionato concetto di “sostenibilità” sembra viaggiare in una direzione diametralmente opposta rispetto alle attuali abitudini alimentari: viviamo in un mondo interconnesso, non solo a livello teorico, grazie alle tecnologie, ma anche a livello estremamente pratico, in termini di reperimento di materie prime, beni e servizi. Il “tutto e subito” non è più sostenibile: è da questo che gli esperti tengono a metterci in guardia.
Il primo capitolo “L’evoluzione di una pandemia” approfondisce la tematica della crescita esponenziale della percentuale di obesi sulla popolazione mondiale. Nonostante le comprovate problematiche legate alla salute, solo nel 2013 l’obesità è stata dichiarata per la prima volta una malattia. Sono molteplici le complicazioni legate ad una scorretta alimentazione: malattie cardiache, diabete di tipo 2 e indirettamente anche cancro. Il causus belli di questa crisi sanitaria è stata la diffusione su larga scala della dieta occidentale. La globalizzazione, i trattati commerciali e l’urbanizzazione hanno contribuito alla diffusione di questo regime alimentare occidentalizzante e tendente a un eccessivo consumo di grassi saturi e cibi processati. Questi ultimi sono i protagonisti del secondo capitalo che ne evidenzia le minacce per il nostro benessere fisico: quasi ogni ingrediente aggiunto dall’industria alimentare risulta dannoso per la salute. I fast food non sono più il luogo per l’eccellenza in cui trovare cibi grassi e lavorati: anche nei piccoli punti vendita cresce ogni giorno il numero di prodotti ultra processati sugli scaffali.
Dunque la soluzione a fast food e cibi processati dovrebbe risiedere nella scelta di prodotti alimentari freschi, giusto? Non del tutto… Si, perché la sostenibilità non è solo ambientale, conosce altre sfaccettature che il saggio tiene ad approfondire nel terzo capitolo. La domanda di prodotti freschi tutto l’anno ha favorito il ricorso a tecniche agricole industriali, dando origine a frutti insapori e terreni aridi. Nel 1944, la Rivoluzione Verde ha rappresentato, senza dubbio, l’evento scatenante dell’industrializzazione dei processi produttivi in campo agroalimentare. La terza rivoluzione agricola ha fatto da promotrice all’impiego di fertilizzanti industriali e tossici nelle colture, con il fine di implementare la produzione. L’utilizzo di queste sostanze è altamente dannoso per i lavoratori di questo settore: lo sfruttamento dei lavoratori, al pari della riluttanza nella ricerca di soluzioni alternative e più sicure, denota lo scarso interesse delle multinazionali al rispetto della dignità della vita umana. Il problema, quindi, assume anche un carattere etico.
Fatto sta, comunque, che le nuove teorie economiche sembrano andare nella direzione di un processo di “deglobalizzazione”, o di slowbalisation, come definita dall’Economist e questo riguarda in prima persona anche il settore agroalimentare.
Il quarto capitolo, a riguardo, si prefigge l’obiettivo di fornire soluzioni ai problemi esposti nei precedenti capitoli. Più che soluzioni, purtroppo, si tratta di utopie: non è verosimile un ritorno al consumo di prodotti locali, a chilometro zero: ciò costituisce una scelta più costosa per i consumatori. Questi ultimi, sfortunatamente, non sono sempre interessati a considerare gli impatti ambientali ed etici delle loro scelte d’acquisto. Ciò non deve impedire a chiunque ne abbia interesse di iniziare da piccole e personali azioni quotidiane che, sicuramente, rappresentano un primo passo nella direzione giusta. La lettura di questo saggio, di sicuro, è uno dei primi passi verso una presa di coscienza della tematica. Infondo per affrontare un problema bisogna prima riconoscere di averne uno.