Il faggio e la quercia: un romanzo tra ascensione e verticalità
Il faggio e la quercia è il primo romanzo di Ivan Cammarasana, giovane autore che coniuga l’amore per la letteratura con la storia del suo territorio. Ambienta infatti la sua opera, incentrata sulle azioni militari di un giovane squadrista delle Brigate Nere, proprio nella sua città natale, Novara.
D’altronde, già il titolo del romanzo fa riferimento al territorio novarese, con la sua caratteristica vegetazione e le vette che il protagonista non manca di scalare, anche per ragioni belliche. Ma sapete che cosa fanno il faggio e la quercia? Le radici del faggio si introducono nelle fessure non occupate dalla quercia, si insinuano nel tronco e crescono lentamente grazie alle sostanze nutritive che la quercia riserva per sé. Come i partigiani che, penetrando nel tessuto sociale della Repubblica di Salò, ne divorano le fondamenta dall’interno.
L’RSI e Francesco
Francesco è il nome del protagonista che, come specificato dallo stesso autore, è un riferimento a un suo lontano parente, Francesco Rapellini, milite ferroviario prelevato dai partigiani nel 1944 e, da allora, scomparso. La vicenda è infatti ambientata durante gli anni della Repubblica sociale italiana e narra la storia di un giovane militare che, assieme ai compagni delle Brigate Nere, si oppone al ripetuto tentativo partigiano di conquistare la regione, all’interno di una caotica e mutevole situazione politica.
Francesco, che da bambino aveva marciato con i balilla e assistito alla glorificazione dei diciotto martiri fascisti del 1934 a Novara, crede fermamente nella repubblica che affonda le sue radici nel fascismo italiano, declinandolo nelle regioni del nord Italia di dominazione tedesca. Del resto, buon sangue non mente. Figlio di un fervente sostenitore del regime fascista, e con un fratello reduce dalla guerra in Russia, vive le speranze e le suggestioni dell’estrema destra del tempo. Ci crede tanto da dedicare la sua vita alla causa. Insegue un partigiano fino nel suo rifugio, dorme all’addiaccio e, mosso dalla passione per i miti e l’esplorazione, intraprende spedizioni personali alla ricerca di fantomatici tesori narrati nelle leggende. In tutto ciò, si intreccia la sua storia d’amore con Nemi, una ragazza divisa tra lui e l’ambiente partigiano, che rappresenta la spaccatura e al contempo l’unione tra i due mondi.
Lo spazio e il tempo di una storia
Al di là di che cosa si possa pensare, con la consapevolezza odierna, dell’ambiente e degli ideali di cui il libro narra, il romanzo è una storia di lealtà, motivazione, determinazione e convinzione in una causa che, con gli occhi del futuro potremmo definire fallimentare, ma che mostra uno spaccato degli anni in cui il successo partigiano era ancora tutt’altro che certo, e il popolo era diviso tra ideali politici opposti e contrastanti.
Non è il giudizio su cosa sia giusto a contare, quanto l’immedesimazione in un personaggio del suo tempo che, a torto o a ragione, ha fermamente creduto in un’idea e l’ha perseguita con la pelle in gioco, tra battaglie e incursioni, storie di vite reali e miti, in un territorio che fa da cornice e protagonista agli eventi. Gli alberi sopracitati, il faggio e la quercia, tipici dei monti novaresi, sono infatti metafora dell’ascensione dell’essere umano che, dal basso, ambisce a innalzarsi verso grandi imprese.
Lo stile, che varia dal sintetico e semplice della narrazione al prolisso nella lunga elencazione di nomi di luoghi e persone (come nel caso dei martiri di cui sopra, tutti accuratamente citati), talvolta risulta statico, e la storia lenta nella progressione, a beneficio di una certosina cura del dettaglio che rende i luoghi nominati vivi e corposi e i personaggi, sebbene non descritti meticolosamente, credibili e tridimensionali attraverso i loro comportamenti e le loro azioni. L’atmosfera che regna nel tempo e nello spazio della storia è rievocata da canti dell’epoca che parlano da soli, senza l’occorrenza di ulteriori spiegazioni e commenti.