La Cultura è un affare? Insieme alla Bellezza sembra proprio di sì

È una fotografia del sistema produttivo culturale e creativo italiano quella scattata dal Rapporto Symbola presentato nei giorni scorsi a Roma. Analizza l’evoluzione in termini di produzione di ricchezza e creazione di posti di lavoro.
Una filiera che comprende tutte le attività economiche che producono beni e servizi culturali (core), ma anche tutte quelle attività (creative-driven) che non producono beni o servizi strettamente culturali, ma che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la loro competitività.
Giunto alla sua dodicesima edizione, è realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, insieme a Regione Marche e Istituto per il Credito Sportivo, ed è stato presentato lo scorso 15 settembre al MAXXI, dal presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci, dal presidente Unioncamere, Andrea Prete, dal segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, dal presidente Museimpresa Cda Fondazione Symbola, Antonio Calabrò, dalla presidente Maxxi e Human Foundation, Giovanna Melandri.
Cultura e bellezza in Italia sono tratti identitari radicati nella società e nell’economia e grazie alla loro forte relazione con la manifattura – una manifattura che ha saputo incorporare professionisti e competenze culturali e creative nei processi produttivi, traducendo la bellezza in oggetti e diffondendoli ovunque – hanno dato vita ad una delle più forti identità produttive del mondo, il made in Italy. Da qui il titolo del Rapporto Symbola 2022, “Io sono cultura”.
E il sistema produttivo culturale e creativo del 2021 è un sistema che registra un segno positivo: +4,2% del valore aggiunto tra il 2020 ed il 2021. Vale 88,6 miliardi di euro, il 5,6% del valore aggiunto italiano ed attiva complessivamente 252 miliardi di euro.
Il che vuol dire tuttavia, come è stato specificato da Andrea Prete, “che nel 2021 le imprese culturali e creative sono apparse ancora lontane dai numeri del 2019, anno pre-crisi pandemica. La variazione del valore aggiunto nel biennio è infatti pari al -4,8%, rispetto al -1,2% a prezzi correnti del totale dell’economia. Sebbene nel 2021 si sia registrato un recupero del +3,6%, questo non ha compensato tuttavia le perdite del 2020. Il rilancio di questo articolato universo di aziende passerebbe invece per una rinnovata attenzione alla sostenibilità, ambientale e sociale; per una dimensione sempre più phigital dei servizi; per una crescente integrazione di settori, canali e contenuti”.
Non tutti i settori della cultura, quindi, sono fuori dalla crisi, ma la cultura continua ad avere un ruolo economico centrale. Assicurando lavoro a circa un milione e mezzo di persone (5,8% dell’occupazione).
Come evidenzia il Rapporto, i settori live e dello spettacolo sono quelli che nel biennio 2020-2021 perdono maggiormente (-21,9%, -1,2 miliardi di euro) così come le attività di valorizzazione del patrimonio storico e artistico (-11,8%; pari a -361 milioni di euro e con 9.000 addetti in meno), mentre registrano un successo le attività di videogiochi e software con un aumento della ricchezza prodotta del +7,6%. Anche lato occupazione emerge come siano le performing arts a scontare di più le criticità che già vedono la somministrazione di contratti per lo più atipici e registra un decremento del -15,6% e quindi 17.000 addetti in meno.
Ma seppure a fronte di questo calo che riguarda anche i settori dell’audiovisivo, della musica e dell’editoria, il Rapporto restituisce comunque l’immagine di un comparto che nel 2021 è stato capace di generare lavoro per 1,5 milioni di persone, che producono, come detto, ricchezza per 88,6 miliardi di euro, di cui 48,6 miliardi (il 54,9%) generati dai settori culturali e creativi e altri 40 miliardi (il 45,1%) dai professionisti culturali e creativi attivi. Un comparto composto da 270.318 imprese e 40.100 realtà del terzo settore.
È ragionevole quindi constatare come nel loro complesso le attività culturali e creative siano creatrici di valore anche in altri settori dell’economia, come quelli del turismo (dove ora però previsioni e analisi delle tendenze risentono delle attuali incertezze a livello geopolitico), dei trasporti e della manifattura, per un totale stimato per il 2021 di 162,9 miliardi di euro, facendo arrivare complessivamente l’impatto della cultura e della creatività a252 miliardi di euro, con una incidenza sull’intera economia pari al 15,8%.
Dal punto di vista geografico, è Milano la capitale della cultura italiana, prima per incidenza della filiera in termini di valore aggiunto (9,5%) e occupazione (9,9%) e l’intera regione Lombardia prima per ruolo della cultura. Accanto alla Lombardia, il Lazio. Insieme sono le regioni che producono più ricchezza con la cultura mentre tra le provincie spiccano Roma, seconda per valore aggiunto (8,5%) e quarta per occupazione (7,8%); Torino terza (8,2%); e per valore aggiunto, Arezzo (7,8%), Trieste (6,9%), Firenze (6,7%), Bologna (6,1%) e Padova (6 %). Evidente quindi ancora un profondo scarto tra Nord e Sud sia in termini di valore aggiunto che di occupazione.
C’è bisogno, ora, di un ulteriore sforzo verso la creatività e la bellezza. Ne è convinto Ermete Releacci che auspica una “Italia protagonista di un nuovo Bauhaus, fortemente voluto dalla commissione europea per rinsaldare i legami tra il mondo della cultura e della creatività e i mondi della produzione e della scienza e della tecnologia orientandoli alla transizione ecologica indicata da Next Generation. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza, favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo più competitiva e più capace di futuro”.